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“Istifa”: in Turchia il vento di Gezi soffia ancora

È il maggio del 2013. Ceyda Süngür è la studentessa, conosciuta come “la donna in rosso”, che riceve una spruzzata di spray urticante sul volto da parte di un poliziotto turco. 

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L’immagine fa presto il giro del mondo e diventa la foto più emblematica della primavera turca, in quell’ancor precoce delirio di onnipotenza di Recep Tayyip Erdogan. I movimenti ambientalisti e le forze progressiste della sinistra turca fanno da barriera al progetto ecocida del futuro sultano, pronto a costruire un centro commerciale al posto del parco di Gezi. Tutto ciò al prezzo di un bilancio finale di 11 morti, 8.163 feriti e intossicati, oltre 4.900 arrestati, che ha segnato per sempre la società del paese.

Purtroppo, da quell’ormai lontano 2013, la situazione democratica nel paese è crollata: il regime di Erdogan detiene pressoché ogni controllo sui media e possiede i suoi uomini più fedeli in tutti i posti chiave della nazione. D’altra parte, l’indipendenza della magistratura rimane oggi un romantico e remoto ricordo.

Eppure quello che sta accadendo nella Turchia di oggi ci ricorda sicuramente i tempi d’oro di Gezi: il movimento rivoluzionario goliardico degli studenti della Bogazici si sta infatti allargando agli altri atenei del paese creando una capillare rete di lotta non-violenta contro il regime islamista.

La nomina di Melih Bulu, uomo fedele del tiranno, a nuovo rettore dell’Università del Bosforo ha creato una serie di reazioni a catena contro tutti i rettori fiduciari, visti come il tentativo da parte del dittatore neo-ottomano di impadronirsi di quel poco che è rimasto di autonomia intellettuale del paese.

L’Università del Bosforo è sempre stata legata ad ambienti laici e politicamente di sinistra. Nonostante Melih Bulu abbia provato ad ingraziarsi gli studenti dicendo di essere un “fan dei Metallica e del rock estremo”, nel tentativo di ripulire la sua immagine di islamista reietto, omofobo, bigotto e tirapiedi del regime, gli studenti non solo non si sono fatti abbindolare, ma hanno aggiunto la simpatica beffa.

Difatti è da circa due settimane che la protesta si propaga sulle note di Master Of Puppets, uno dei brani più iconici di quei Metallica che il tapino rettore voleva retoricamente utilizzare per rabbonire la gioventù laica e democratica del Bosforo. Che continua a danzare e cantare a ritmo di rock. 

Le oscure figure della polizia, mentre avanzano verso i giovani come una indomita testuggine, hanno rafforzato il movimento goliardico della Bogazici, arricchito dalla partecipazione di collettivi femministi ed LGBT+.

Di fronte al diffondersi capillarmente delle rivolte di ateneo in ateneo – toccando anche regioni più conservatrici e la città di Ankara – Erdogan ha accusato gli studenti di “terrorismo”, suscitando sdegno internazionale. Bahceli, leader dei neofascisti turchi, ha intimato ad Erdogan lo scioglimento immediato di tutti i movimenti di sinistra parlando di “tentativo di replicare le proteste del 2013” ma ribadendo poi la fedeltà alla coalizione fascio-islamista con l’AKP.

Gli studenti della Bogazici hanno inoltre rilasciato un video rap, che mostra gli attacchi contro i manifestanti e la libertà accademica, concludendolo con frasi in lingua curda: un raro esempio di solidarietà curdo-turca in funzione anti-AKP.

Nelle sere precedenti è capitato di assistere ai giovani intonare cori osceni contro Bulu dalle finestre dei collegi di Istanbul, dove dormono molti studenti della Bogazici. Rilevante è infine il dialogo recentemente instaurato tra i rappresentanti degli studenti con i movimenti dei lavoratori, in particolare con quello dei magazzinieri.

Il regime teme ora seriamente un allargamento della base della rivolta e una confluenza con un popolo già arrabbiato ed impoverito dalla crisi economica del coronavirus.

Le nuove generazioni stanno lottando in Turchia. E lo stanno facendo in nome della libertà accademica. Per l’amore di conoscenza del mondo intero. Il vento di Gezi soffia ancora.

 

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