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Inascoltabili le parole della Chiesa su pace, unioni omosessuali, aborto e eutanasia

Le parole della Chiesa, accostando a sproposito pace, unioni omosessuali, aborto e eutanasia.

Vorrei rassicurare il Cardinal Scola, il Papa e tutti suoi portavoce di Avvenire. L’Italia non è ancora veramente uno Stato laico, come vuole la Costituzione. La secolarizzazione di cui dovrebbero preoccuparsi non è quella dello Stato Italiano, ma quella della Chiesa. Il declino di una religione che ha sempre meno a che fare con la spiritualità, che si aggrappa disperatamente ad un presunto primato culturale per giustificare la propria autodifesa e la necessità di essere difesa niente meno che da uno Stato. Le parole echeggiate in questi giorni sono inascoltabili, impronunciabili e inqualificabili.

Si stringe la mano a chi si fa promotore nel proprio Paese di leggi repressive, fino all’estrema conseguenza della pena capitale, per l’omosessualità considerata ancora come reato. Si mettono insieme eutanasia, aborto, matrimonio e adozioni per i gay nello stesso calderone delle pratiche considerate, “un’offesa contro la verità della persona umana”. Non c’è limite all’arroganza di chi si crede unico depositario della sola verità possibile. La verità, è anche altra, sono molte altre. La verità è che la sacralità dell’unione fra due individui va ben oltre il genere e l’orientamento sessuale, e ancora oltre la possibilità di generare figli. La verità, per esempio, è che la capacità di accudire e crescere un bambino prescinde dalla possibilità o dalla scelta di procrearne.

La verità, è che all’inizio e alla fine, alla nascita e alla morte, siamo tutti inevitabilmente da soli, e questa solitudine non solo va rispettata, ma tutelata. Garantire il diritto di esercitare una opzione di scelta in questi momenti non è un’offesa né un attentato alla dignità umana, al contrario ne è la massima affermazione. Due persone dello stesso sesso che hanno trascorso un’intera vita insieme e che, alla fine di essa, non possano garantirsi reciproca assistenza o prendere decisioni l’una per l’altra al cospetto dei medici, poiché non riconosciuti come famiglia: questo sì è offensivo. Per chi direttamente o indirettamente lo pronuncia e lo persegue, e per chi sulla propria vita lo sente e lo vive.

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