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(In)ter(per)culturando: tra libri, fiere, statistiche e liste, quanti morti

Si rintraccia sul blog della giornalista Loredana Lipperini, una lista degli editori a pagamento e di quelli ‘a doppio binaro’ che dunque pubblicano in parte a pagamento in parte no: l’elenco è stato stilato originariamente da Writer’s Dream che ha poi deciso di eliminarlo dalla pubblicazione on line. “Un’ammissione di sconfitta da parte degli amministratori: troppe minacce, troppe querele annunciate. Via la lista”: questo è quello che Lipperini spiega sul suo blog a chiarire l’intervento che – ad oggi – salva la lista dall’oblio.
 
Ora, al di là della tentazione a cui gli italiani non riescono a fare a meno, quella di stabilire chi è il Principe Azzurro e chi la Strega Nera (ma sarebbe uguale per Clark Kent e Lex Luthor, Batman e Joker…): anche un elenco può essere un modo per riflettere, non tanto su questioni ‘nuove’, per carità, l’editoria a pagamento in Italia è tutto meno che realtà nuova, però notare che è ancora ben più che florida ma anche che s’è insinuata in contesti che se ne avvalgono saltuariamente (ma lo fanno, salvo prova contraria ovviamente) può essere già un punto da cui partire. Se dunque, qualcuna delle parti in causa volesse chiarire la propria posizione o motivare scelte e realtà d’un mercato (quello editoriale) che tanto equo in Italia non è (ma anche questa non è una novità, la dittatura della distribuzione in tasca ai grandi colossi taglia piedi e ginocchia a chiunque tenti di fare qualcosa): comunque sia, se qualcuno vuole intervenire son ben lieta di proseguire nella discussione proponendo repliche, magari smentite o altre dichiarazioni (non che ci resterò sveglia la notte, se in questi anni qualcosa ho imparato, è proprio che agli italiani piace un sacco gridare ‘al lupo al lupo’ ma se poi c’è da prenderlo sul serio, il lupo, o se c’è da metterci la faccia, allora si sente fischiettare da lontano, laggiù nel bosco fitto...).
 
Proprio a proposito di ‘difficoltà’, ‘distribuzione’ e dimensioni diverse delle editrici: dopo la Fiera a Roma, impazzano i dati a sottolineare (ancora ce n’è bisogno, a quanto pare) quanto la crisi è sempre più nera, si cala sempre di più (in Italia da anni) in termini di pubblicazioni in conseguenza dei cali nella domanda, e quanto le previsioni proprio non lasciano spiragli. Un esempio, da Affaritaliani in un pezzo di Antonio Prudenzano:
 
"Più libri più liberi", la Fiera della piccola e media editoria appena archiviata, ha purtroppo confermato che l'intero settore vive un momento difficile. I dati presentati a Roma dall'Associazione Italiana Editori (che ha commissionato la ricerca a NielsenBookScan) dicono infatti che oltre ai grandi gruppi editoriali (e alla grande distribuzione, che nel 2010 era al 17,2% mentre in questo 2011 si attesta al 16.6%) soffrono anche, e addirittura di più, piccoli e medi editori: questi ultimi perdono il 4,8%, e valgono il 12,8% del mercato (escluso la GdO citata prima). In particolare, gli editori indipendenti rispetto al passato fanno fatica a vendere romanzi (-9,2%), mentre va un po' meglio con i testi per bambini e ragazzi e con la cosiddetta "non fiction pratica".” 
 
D’altra parte, come già accennato qui su AgoraVox ‘raccontando’ la Fiera conclusasi a Roma domenica scorsa, l’affluenza dei visitatori era ridotta anche ‘a occhio’ senza dover ricorrere a numeri ufficiali o altre parzialità matematiche, e avevo avuto l’impressione che l’interesse e la curiosità si fossero ampiamente persi per strada (oltre i confini dello Stivale, comunque).
 
In tutto questo, tra le prospettive (neanche poi tanto rare) di sentirsi chiedere ‘denari’ per pubblicare, con gli acquisti in drastico e continuo calo, editori che corrono ai ripari (ad esempio pubblicando libri ‘non inediti’ o dimezzando le uscite, o intervenendo sul prezzo o ancora tentando la strada della virtualità che in Italia resta controversa e dibattuta o semplicemente chiudendo e amen…); insomma, in tutto questo mi resta un forte sospetto aumentato esponenzialmente da iniziative pubbliche (come la Fiera romana o quella torinese) dove la gente è di carne, i libri si possono toccare, qualche parola a eventi o incontri la si spende anche: non sarà che sotto, sotto siamo tutti più morti che vivi? Ogni tanto andiamo anche a questa o quell’iniziativa, ascoltiamo o leggiamo notizie, magari leggiamo, magari scriviamo: ma poi?
 
Da ‘dentro’ l’editoria si scuote la testa, lamentele, magari tagli al personale o riduzione di stipendi (accordi balzani, posizioni non riconosciute, professionalità negate…). Da ‘fuori’ l’editoria, forse c’è ancora qualcuno che con l’arrivo delle festività natalizie spera di ‘togliersi’ qualche regalo scomodo spendendo una decina di euro (poi entra in libreria e ne esce scosso, ma qualcosa c’è tra promozioni, ipermercati e grandi catene l’offerta è assicurata), c’è poi chi non vede l’ora di rintracciare il nuovo best di cucina di questo o quel personaggio…
 
Ma poi?
Resta qualcosa di quel ‘coltivare’ che è la prima radice di ‘coltura’? O meglio: cosa coltiviamo a parte apatia, rassegnazione, omologazioni, silenzi, assenza di confronti, chiusure di ogni tipo e forma, al punto che perfino l’operatore allo stand rischia di ringhiarti contro per non parlare degli autori-operatori di settore che parlano fitto tra loro senza guardarsi attorno, o anche gli eventi dove le posizioni sono ben definite – Relattore, Autore, Editore, Giornalista, Artista, Intellettuale (qualunque significato si attribuisca ai termini) e pubblico/osservatore come macro categoria a parte.
 
Non è che in mezzo a tutti i sacrosanti motivi (tra economie individuali, fatiche, prospettive future incerte, precariati di ogni possibile declinazione…) di ognuno, abbiamo perso le ‘sane speranze’ che ci tirano fuori pizzichi di coraggio magari per deviare rotte consolidate anche in situazioni ufficialmente riconosciute come fiere, eventi singoli, dibattiti, lanci promozionali fino al concept di una collana o un’intera linea editoriale…?
 
Certo, c’è anche il ‘fronte acquirente’, come no: ed è vero che se la domanda cerca precisi oggetti editoriali è lì che il mercato deve orientarsi, per carità, dunque siamo tutti responsabili del nostro male… ma poi? Quanto ancora resteremo fermi, magari voltandoci indietro ogni tanto rammaricati o rancorosi, figli degli anni Settanta-Ottanta e Novanta ma anche no (anche no davvero, figli di quest'Italia di questo Oggi e finiamola di cercare alibi nelle etichette)…
 
 
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Immagine scattata da Bg, 2011.

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