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(In)ter(per)culturando: ’La felicità esiste’ di Paolo Zardi

Baganis provò a rispondere: - Le cose non stanno come pensi tu. Io non ho mai rovinato nessuna famiglia, tranne forse la mia. Le coppie si sfasciano da sole, per poco amore, per poco rispetto. Per poco di tutto. Io sono uno scarabeo stercorario, il mio lavoro è fare palle con la cacca degli altri. Qualche volta può essere che qualcuno mi abbia usato come scusa, come alibi per dare il colpo di grazia a una storia che non funzionava, a un amore che era un cadavere ambulante. Nessuna persona felice mi ha mai cercato, e io non saprei nemmeno come convincerla, una donna che ha già tutto, per il semplice motivo che non ho niente da offrire.
(pag.82)
 
In ‘La felicità esiste’ (Alet, gennaio 2012, pag.280 a euro 10), Paolo Zardi decide di raccontare una storia non particolarmente complessa né, nelle tematiche, poi così sorprendente. Eppure la racconta come fosse un fiore pieno di petali inquadrati in tanti modi differenti, avvicinandosi sempre più a stame e pistillo.
 
Marco Baganis è un uomo che ama le donne, le cerca, le vuole, purché non ci sia altro che uno (o al massimo un numero limitato) di incontri sessuali: nessun coinvolgimento sentimentale o affettivo, nessuna promessa, nessun orizzonte comune o crescita assieme. Ma Baganis è anche un uomo dal passato diverso, lasciato dalla moglie prima della morte improvvisa e prematura del figlio di sei anni. Un uomo abituato a lavorare viaggiando, vedendo tanti volti, annusando tanti corpi che poi, quando finisce nell’open space dell’azienda milanese si ritrova ingabbiato, la ‘vecchia’ privacy violata perché fare sesso con le mogli dei colleghi ha più complicazioni che farlo con le donne incontrate tra clienti e spostamenti. Baganis però incontra Sveva che era la maestra di suo figlio ma finché il bimbo era vivo non si erano mai nemmeno incrociati, poi una di quelle circostante impreviste e per Baganis tutto cambia. Proprio una donna diversa da tutte le altre fin ora frequentate, che fossero sposate o meno; proprio una donna silenziosa e misteriosa che – in realtà – capovolgerà ruoli e aspettative, progetti e prospettive: proprio lei mostrerà a Baganis una vita possibile.
O forse no.
 
Non mancano i colpi di scena, specialmente nell’ultima sessantina di pagine quando si aprono i primi capovolgimenti e anche il lettore ‘rizza le antenne’ cogliendo virate negli approcci e nei legami ma soprattutto nel protagonista che, tutto sommato, una volta conosciuto a fondo si dimostra abbastanza prevedibile, di certo coerente rispetto a una precisa ‘linea di condotta individuale’ che asseconda pulsioni sessuali negando altre sfere e diramazioni.
 
Ma il vero punto di forza, a mio avviso, in questa narrazione è la modalità con cui Zardi ha scelto di raccontare. Una modalità che mi ha ricordato taluni approcci di Caio Fernando Abreu. Si tratta, in sostanza, di introdurre un’inquadratura o uno svolgimento per poi riprenderlo nei capitoli successivi ‘ingrandendo progressivamente’ la lente che osserva, propone, scava e analizza. In un qualche modo è come se la bobina venisse srotolata fino a un certo punto poi ci fosse una battuta d’arresto per riavvolgere fino a un certo punto e riproporre con maggiore dettaglio, con più lentezza, a svelare e scoprire quanto è sfuggito in precedenza. E a ogni nuovo sbobinamento le angolazioni leggermente virano, emergono nuovi punti di vista ed implicazioni.
 
Di fatto è una narrazione lineare perché partendo da un preciso punto della vita di Baganis, il narratore prosegue raccontando ciò che gli succede ma non lo fa in modo lineare, il continuo entrare e uscire dalla linea narrativa principale per recuperare precedenti sviluppi della stessa linea ma qualche punto indietro, ingrandendo questa ‘lente’: è una dinamica che permette di raccontare approfondendo, per nulla affaticante perché il lettore s’accorge subito che a ogni nuovo ‘recupero’ deve fare attenzione ai dettagli, le aggiunte che si celano tra i periodare.
 
È come se i tasselli s’incastrassero con una linearità spezzata, perché ogni tassello ha forme variabili, dalla una piccola a un'altra grande e nitida. Al lettore si chiede il tempo e la pazienza di incastrare ogni tassello sopra ai precedente e nell’arco della linea narrativa principale.
 
Un’altra caratteristica di questa scrittura la s’individua dalle prime pagine: Zardi sceglie di non spiegare alcunché dei contesti e dei suoi personaggi bensì è il narrare che progressivamente aggiunge specifiche, flash back, elementi che chiariscono il passato e il presente in divenire. La storia di Marco quanto quella di Anna, Sveva e del figlio Leonardo già morto al momento in cui inizia la narrazione; tutte le storie si spiegano pian piano, senza fretta. E il lettore facilmente finisce per entrare in queste storie dapprima in punta di piedi, cogliendone i buchi e le informazioni mancanti poi aggiungendo e sistemando i pezzi che via via acciuffano.
 
Ecco che Marco è - sì - un uomo che vive annusando le donne, cercandole poi scaricandole per ricominciare ma è anche un padre che si trascina due pesantissimi sensi di colpa mai confessati, un padre che non si è dimenticato del sorriso del figlio, del suo odore quanto di tutte le volte che è stato assente per scoparsi questa o quell’altra nuova conquista. Da metà libro, in un qualche modo emergono echi di ‘Tutti i bambini tranne uno’ di Philippe Forest, non tanto per gli approcci che sono diversissimi, quanto per quel costante recupero di frame passati legati ai momenti in cui il figlio era ancora in vita. Forest scrive per far uscire ogni singola inquadratura di ciò che ha vissuto con la malattia e la morte di Pauline. Zardi propone il personaggio di un padre che dentro si sé ha rinchiuso molte inquadrature dove resta suo figlio da vivo, dove lo ritrova e che non smettono gli ricordargli ciò che poteva e non è stato né mai potrà più essere. E, sia per Forest quanto per Zardi, la morte d’un figlio porta comunque alla distruzione di qualcosa di interiore oltre che di dinamiche e relazioni. Baganis è già stato lasciato dalla moglie, anni prima che il figlio muoia, e il personaggio ce la mette tutta per darsi una precisa ‘collocazione nel mondo’, quella dello stronzo irrecuperabile che respira per far lavorare il suo pene e per concedersi minuti fugaci d’un surrogato della felicità durante i rapporti sessuali. Ce la metta tutta finché gli scricchiolii sono più rumorosi.
 
C’erano stati incontri di corpi, ma le anime (o perlomeno la sua) si erano trattenute altrove, in salvo. In quelle lotte convulse, in quelle rappresentazioni meccaniche di un amore che non c’era, nulla era stato messo in gioco. E con il tempo Baganis si era reso conto, in modo sempre più preciso, che la memoria è una facoltà che non appartiene al corpo e che non risiede nel cervello, ma che vive, si nutre e cresce nel cuore: per questo quando si voltava indietro, per guardare cosa era successo negli ultimi anni non trovava nulla, se non l’enorme, invalicabile montagna della morte di Leonardo.
(pag.175)
 
Non è un romanzo sugli assoluti bensì sui relativismi mutevoli e variabili. Zardi si concentra sul raccontare quante varianti ci possono essere tra il nero e il bianco.
 
Nel corso della narrazione si rintracciano piccoli ‘cameo’ a collegare il mondo del romanzo con quello dell’autore: per chi ha avuto modo d’incrociare Zardi on line o in occasione di altri scritti - ha partecipato all’antologia ‘Giovani cosmetici’(Sartorio, 2008) e ha pubblicato la raccolta di racconti ‘Antropometria’ (Neo edizioni, 2010) - rintracciare una citazione di Nobokov in un dialogo strappa un sorriso.
 
Un libro convincente sotto diversi punti di vista, che nel complesso risente – secondo me – di qualche parola di troppo (specialmente nella prima metà). Il finale resta in quella bolla di ‘sospensione’ da ‘potrebbe andare bene quanto male’ che è sensato rispetto alla prospettiva di un improbabile happy end laddove la storia una fine non ce l’ha (non per definitiva chiusura di filoni narrativi o morti di personaggi centrali). Tuttavia è quel genere di ‘sospensione’ che lascia molto amaro in bocca (forse troppo) perché restano aperte alcune domande anche sugli immediati accadimenti appena avviati (due ex, e una situazione potenzialmente pericolosa innescata da un marito geloso) e subito ‘bloccati’ in questa sorta di ‘stand-by’ come a dire al lettore: ne sai abbastanza, se ti va prova a vederci tu un seguito. Qualche imperfezione, sempre dal mio punto di vista, anche nel personaggio di Anna che fatica ad arrivare nella sua interezza, pur riconoscendo che la ‘prima donna della scena’ è Marco, l’autore aveva a disposizione un narratore in terza persona da poter gestire a piacimento o quasi, lavorando su un personaggio femminile determinante per il passato e gli sviluppi nonché fortemente a rischio ‘cliché’ (non si tratta di un'annotazione 'tecnica assoluta', Zardi può con assoluta ragione non aver avuto alcun interesse o senso nell'inspessire il personaggio di Anna, la mia è un'osservazione da lettrice 'di pancia').
 
La notte che aveva raggiunto Anna, Marco le aveva richiesto un’intelligenza emotiva che fino ad allora non aveva potuto, o voluto, apprezzare. L’aveva sposata così tanto tempo prima che ormai non ricordava più il perché, ma era sicuro che ci fossero stati buoni motivi, per il Baganis trentenne, uscito da poco dal nido, o dalla gabbia, della sua famiglia. Poi le cose erano cambiate, e di questo aveva ricordi più precisi: aveva perso interesse per lei. Quando parlavano, a tavola, a letto, in salotto davanti alla televisione, gli sembrava di sapere già cosa avrebbe detto, con un anticipo di due o tre frasi. Ogni tanto facevano l’amore, ma lei era distratta, pensava ad altro, sbadigliava. Per un po’ si era chiesto se il problema potesse essere lui. Magari lei avrebbe preferito tenerezze diverse: più carezze, meno furore. Aveva provato a spiegarle, con molto imbarazzo, che se avessero aumentato la frequenza dei loro rapporti (una volta al mese, a trentacinque anni, era una media al limite della sopportazione fisica) lui sarebbe stato più dolce, e un po’ più attento alle sue esigenze.
(pag.252)
 
La scrittura di Zardi è scorrevole e ricercata, ponderata ovunque, s’avverte la limatura e il lavoro duro con lo scalpello, quanto la scelta di un registro in grado di scivolare sul palato alternando tra le frasi termini che appartengono a un’esprimersi selezionato, che non si adagia sul ‘parlato’ o sulle gergalità che tutto sommato son quasi diventate ‘di moda’ nella letteratura contemporanea italiana degli ultimi tre-cinque anni. Allo stesso modo Zardi non s’abbandona con facilità ai virtuosismi (che pure io credo siano assolutamente nelle sue capacità), nemmeno gli ‘a capo’ servono a dare ‘ingressi in scena’ tutt’altro. I periodare sono molto compatti, quasi una ricetta perfezionata negli anni dove ogni ingrediente è ciò che è senza cercare trucco e parrucco o effetti speciali nella gestione del ritmo.
 
L’oggetto libro è figlio d’una cura che s’avverte tenendolo in mano, molto intensa la foto scelta per la copertina, uno scatto della fotografa danese Amanda Johansen ‘rielaborato’ giocando col contrasto del chiaro sul nero di fondo. ‘La felicità esiste’ è la quarta uscita nella collana ‘Iconoclasti’ diretta da Giulia Belloni.
 
Sul fatto poi che la felicità esista o meno, rassicuro il lettore che Zardi una riposta, a modo suo, la fa arrivare.
 
 
Link
La scheda del libro sul sito della casa editrice.
 
 
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Immagine in apertura: la copertina. Seconda immagine dentro il pezzo: Zardi e Giulia Belloni a una presentazione.

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