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(In)ter(per)culturando: ’Italian Sharia’ di Paolo Grugni - ultima parte

Come per i precedenti romanzi (la prima parte del pezzo e l’anticipazione, link dopo le fonti - n.d.r.), ciò che Grugni ha da dire non tarda ad arrivare tra le pagine. Colpi forti, diretti. La scelta stessa di inserire fatti di cronaca reale, riproponendoli esattamente come sono stati divulgati dai mass media, a volte con la cruda sequenza della ’lista della spesa’, in altri casi per bocca di personaggi che hanno occhi, labbra e mani di carne, che restituiscono ai meri fatti la tridimensionalità dell’umano: queste scelte scarnificano la narrazione. 
 
Mi risveglio un’ora più tardi, ma ancora una volta mi risveglio in questo paese di merda e mi domando se uno dei tanti delinquenti predicatori del falso che ci governa ci dirà invece cosa è successo a Ustica, cosa è successo alla stazione di Bologna, cosa è successo a Piazza Fontana, cosa è successo a Moby Prince, chi pagherà per gli operai uccisi dall’Enichem di Marghera, chi pagherà per gli operai devastati dall’Eternit di Casale Monferrato, ma so che nessuno ce lo verrà mai a dire perché in Italia è più che mai necessario un nuovo popolo al posto della massa di cialtroni che lo abita, un popolo connivente all’illegale, un popolo accecato dai miracoli alla San Gennaro…
(pag.103 - il periodare si conclude con un ‘meno male che ci sono gli immigrati’ a chiudere quest’unica sorsata densa, urticante).
 
Si resta storditi, incerti, con lo stomaco pesante.
Italian Sharia non è romanzo da intrattenimento ‘alla moda’, gli affondi sociali non sono mai casuali. E non ci sono soluzioni.
Per l’Italia come non-nazione, come <paese di fantasia> (espressione estrapolata da una dichiarazione di Cossiga che Grugni mette in bocca al narratore), come contraddizione di se stessa.
Per gli italiani acciecati da religione, politica azzera logiche, dal quotidiano fatto di impegni sordi, affettività mutevoli, insensibilità ossidate tra la pelle di chi non sfiora più in là del proprio palmo, tra violenze per le strade, degradi strutturali, luoghi pubblici come mattatoi.
Per i mussulmani spaccati da leggi controverse, che decidono anche per la morte di chi le rispetta (tali leggi), che impongono differenze di genere, che impediscono ascolti e comprensioni.
Per le donne, italiane e mussulmane, che si alternano tra gabbie differenti eppure uguali nella sostanza, che le trasmutano in oggetti, corpi di proprietà altrui, schiacciate tra aspettative, mestieri, affetti e figli.
 
[…]Credo solo che se fai un lavoro decente, se hai da mangiare e se scopi quanto basta, dèi, profeti e apocalissi ti interessano molto meno. E soprattutto non vivi le donne come un incubo o una minaccia. Il che ti porta a essere sessualmente frustrato a livello patologico
E secondo te noi lo saremmo?
Credo che si commetta un grave errore se si giudica l’Islam solo in chiave religiosa tralasciando l’interpretazione psicanalitica. I mussulmani sono terrorizzati dalle donne […]
(pag.142 – il dialogo è tra il protagonista e Aziz, ed è probabilmente uno dei più significativi, simbolici e pregni di spunti; i due personaggi non risparmiano argomentazioni dure contro gli islamici quanto gli italiani, tra religioni, fedi, infibulazioni, psicologie, azioni illogiche e storia).
 
Non c’è soluzione, insomma. E allo stesso tempo probabilmente è la dimensione dell’ ’umano’, la capacità di rimanere lucidi, onesti quanto spietati verso ciò che si è e ciò che è l’esterno tutto (persone, territori, azioni, conseguenze); probabilmente è questo che alla fine comunque impedisce la distruzione di ogni possibile briciola meno-male (che non è ’bene’, solo una sottrazione al male cieco e insensibile). Restano piccoli gesti, bagliori fugaci a riscaldare le ossa come fare l’amore con la propria compagna la mattina presto, come il sorriso di un figlio adolescente che trasuda sincera emozione nel rivede il padre, come fare più d’una follia per aiutare una sconosciuta. 

Poi c’è Michael Jackson.
Del quale andrebbe fatta un’analisi a parte. Personaggio-non-personaggio, rumore di fondo mai veramente tralasciato dagli sviluppi, uomo dalla pelle nera che la trasforma in bianca (non solo la pelle, trasforma l’intero corpo) tra magie chimiche, chirurgiche e malattie, per poi tornare nero, da morto, in una scena finale che ne restituisce un’immagine ’sporcata’ dai business sulla sua carne morta, sui pezzi di cose da lui volute, possedute, o anche solo sfiorate in vita, insudiciate dalle ossessioni estreme dei fans, dalle divulgazioni mediatiche che ne spolpano perfino il processo di decomposizione carnale.
E’ un Michael Jackson per cui non c’è venerazione, nemmeno pietà probabilmente. Tra le pagine, lentamente, in una sorta di sottotraccia che sussurra, non si impone ma resta, viene restituito un individuo intrappolato in carni mai volute, mai accettate, mai soddisfacenti per una mente distrutta da esperienze, talenti, ossessioni, eccessi, manie, popolarità, inadeguatezze minanti, legami di vetro. 
 
I riferimenti ai corpi, le carnalità, sono presenti ovunque.
Interessante e con sotto livelli non del tutto esplorati dalla narrazione, la figura della moglie, che lavora come radiologa all’Ospedale di Prato e ha l’abitudine di duplicare alcune delle radiografie che fa per conservarle appese su un telo bianco retroilluminato, nella taverna di casa, e il protagonista-narratore spiega che "quando scendo a prendere il vino e accendo la luce entro in un enorme corpo umano dove è presente ogni forma di degenerazione cellulare, polmoni dove è ancora calda la cenere di sigaretta, pancreas alcolizzati, reni lastricati di sassi, fegati ricoperti di grasso, Chiara cerca di dare un ordine alla morte... "(pag.49) 

Ci sono, infine, alcuni spunti legati alla scrittura, lo scrivere, la letteratura italiana contemporanea che si mescolano a svolgimenti, cronaca e pensieri, annotazioni ironiche e dure. L’autore non dimentica (né rinuncia a ricordare al lettore) cos’è - per alcuni e in alcuni contesti - lo scrivere e il pubblicare, oggi in Italia.
 
Non trascorrevo un pomeriggio a casa da solo da diverso tempo e ne approfitto per rivedere la trama del nuovo romanzo, i personaggi non hanno ancora preso vita che già li vorrei morti, ma è sempre così, dovrebbero agire da soli e non aspettare sempre che gli dica cosa fare. Forse lo fanno e sono io che non me ne accorgo. Il titolo è Autopsia di un amore. Non sono ancora del tutto sicuro su cosa metterci dentro, ma il titolo mi sembra sufficiente per fare fesso qualcuno. Lo spero, visto che i primi quattro non mi hanno rese né ricco né famoso, almeno scrivo senza che nessuno abbia la presunzione di dirmi come. […] Vivo la scrittura come reazione alla ferita infetta, la scrittura è scontro e pertanto non può essere guarigione o catarsi, sebbene ne sia la parte iniziale, nel momento in cui il male inizia a sentirsi meno, la scrittura muore, non so scrivere di quando le cose vanno bene, e non amo nemmeno leggerne, la scrittura deve avere un fondo doloroso…
(pag.29-30 – una curiosità: ‘Autopsia di un amore’ è anche il titolo con cui a fine gennaio 2010 è stato distribuito per la vendita in Italia il film ‘Vital’ di Shinya Tsukamoto del 2004 – link tra le fonti)
 
 

Fonti
Intervista a Paolo Grugni su Lib(e)ro Libro, di Lucia Cucciolotti, 09-01-2010.
Mondoserpente, da ThePopuli. 
Aiutami, parte I e II (assieme a ’Chi c’è nel tuo piatto’ di Jeffrey Moussaieff Masson) su AgoraVox. 
Sharia su wikipedia in italiano, ma molto più completa su wikipedia in inglese.
Paolo Grugni su Ibs
Italian Sharia sul sito di Perdisa.
Vital-Autopsia di un amore di Shinya Tsukamoto, su hwd.it.      
Immagina una Sharia a Prato di Barbara Burzi su Il Tirreno del 31-01-2010.
 
 

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