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In memoria di Lea Garofalo

Era il 20 novembre del 2010, quando come donna di questo sperduto lembo di territorio ho avvertito l'esigenza di scrivere qualcosa su di lei. Qualcosa che avesse attinenza di quanto sia difficile essere donna, donna in un sud che ti avvelena la vita e ti condanna a vivere ai margini.

Difficile vivere in un territorio aspro, avvitato su se stesso, radicato a usanze retrive, che non permettono nemmeno ad uno spiraglio di vento di alitare per scompigliare l'ordine preesistente. In alcune realtà interne poi, dell'entroterra crotonese con una popolazione attiva composta solo da vecchi, donne e bambini il tempo rimane immobile e la vita scorre sempre uguale, scandita dalla luce del giorno e dalle ombre buie della notte quando avvolgono nelle loro spire l'ultimo granello della giornata passata. Nascere donna in simili luoghi, è già essere perdenti in partenza. Si viene allevati per diventare agnelli sacrificali e se decidi di risalire la corrente, sai già che prima o poi rimmarrai spiaggiata prima di abbandonare con gli occhi l'ultimo filo di luce.

La storia di Lea Garofalo inizia da questa terra, nella quale già sin dalla nascita il destino appare segnato, scontato, inevitabile. Lea Garofalo rappresenta un po' tutte noi donne di un sud depredato, che non lascia scampo che non ti permette di determinarti. Nel proprio dna sono scritte le fasi dell'esistenza di donna, madre e moglie. E anche quando si avverte forte il senso dell'ingiustizia, di una vita che ti obbliga a fare un percorso, questa vita cruda violenta non ti dà scampo, ti si rivolta contro ed è lei a dettarti le sue regole e a condurre il gioco. Tutti sappiamo che Lea Garofalo era una collaboratrice di giustizia uccisa e sciolta nell'acido dal suo stesso compagno per aver osato parlare, rompere la cortina asfissiante dell'omertà. Decide a un certo punto di aprire il cofanetto dei suoi segreti, pesanti come macigni e con la sua sensibilità di donna e madre, avverte che è ora di invertire il corso della sua esistenza, vincendo la paura, sperando che la vita poi non può solo significare: paura di dover prima o poi un giorno vestire il lutto e inaridire i propri occhi perché anche le lacrime versate si sono esaurite.

Ma è nella decisione di voltare pagina che il libro si scolla e i fogli cominciano a volare via e solo uno ne rimane con la parola Fine. E' violenza dipendere da un contesto che non ti lascia nessuna chance. Si dipende prima dai genitori, poi da un marito e dai figli per i quali daresti i tuoi occhi, usureresti anche il tuo respiro, facendo di tutto per affrancarli da un mondo chiuso, barbaro che uccide desideri e ambizioni di donne non tutelate, che hanno dalla loro il coraggio di aprire una porta per non morire, per scegliere, per far entrare nella finestra del cuore suoni, colori emozioni che per le invisibili di questa terra è necessario soffocare, quasi come fosse peccato.

Il peccato di Lea Garofalo è stato quello di rigettare l'appartenenza a una famiglia di affiliati, dove ciò che più conta è l'onore e la capacità di dettare regole e leggi. Ha capito che quel vivere ai margini l'avrebbe condannata in eterno a condividere quei segreti facendo radicare all'interno di quella sfera affettiva il comportamento di uomini senza scrupoli. In una sola parola ha deciso di parlare e intraprendere un cammino diverso dove la quotidianità è rappresentata dalla voglia di lavorare e guardare il mondo non dai vetri di una finestra chiusa ma buttandosi a capofitto dentro come protagonista. Evidentemente aldilà di chi l'ha punita e aldilà del fatto di rigettare l'origine della propria famiglia nativa e acquisita, Lea non era nessuno per offrirle scampo, darle la possibilità di raccontare un giorno che anche seguendo rotte tempestose puoi toccare terra...

 

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