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Il ritorno della parola stagflazione

Prosegue la sequela di shock di offerta globale. Al punto che sta tornando di moda il termine stagflazione. E ulteriore superlavoro per imbonitori di ogni risma

 

Viviamo tempi inequivocabilmente caotici. La ripresa post pandemica rischia di non essere sufficientemente post-, con le incertezze sulla circolazione virale e la costante minaccia di varianti, con contrasti (o comunque mancanza di univocità) tra autorità sanitarie e politiche, in giro per il mondo, sulla necessità e utilità della terza dose. Le pressioni inflazionistiche sono ormai pervasive e in atto da mesi ma le banche centrali insistono sul loro carattere transitorio, mentre compaiono i primi autorevoli commentatori che utilizzano il sempreverde e un filo abusato -in passato- termine “stagflazione“.

In Italia, il governo di Mario Draghi ha ormai imboccato con decisione la strada di quello che è un obbligo vaccinale de facto, con estensione del greenpass anche al lavoro privato e tamponi a carico dei lavoratori, pur se probabilmente calmierati nei costi.

L’Italia battistrada

Posizione interessante, quella italiana, perché appare la più drastica tra i paesi occidentali sviluppati. Presumibilmente il premier ha deciso che, per sostenere gli investimenti del PNRR, occorre avere un paese non frenato dalla pandemia. C’è tuttavia il rischio che questo freno operi comunque, visto che anche i vaccinati si contagiano, sia pure in forma meno severa. Al momento, il vero beneficio rilevante della vaccinazione massiva è quello di tenere relativamente libere le strutture sanitarie.

Detto questo, poiché l’Italia non è un’isola ma parte integrante dell’economia globale, inutile illudersi di correre se gli altri camminano con dei pesi alle caviglie.

La ripresa è minacciata, oltre che dagli ormai celeberrimi “colli di bottiglia” nelle filiere di produzione, anche da quella che è ormai una conclamata crisi energetica, che ha mandato alle stelle i costi. Le molteplici cause sono note: affidamento elevato al gas nella generazione, mancato completamento degli stoccaggi in Europa nel periodo estivo; minore apporto di fonti alternative per motivazioni specifiche (meno vento sul Mare del Nord nella generazione eolica britannica); sospetti di comportamenti opportunistici della Russia nelle forniture, anche in relazione alla imminente autorizzazione ed entrata in servizio della controversa pipeline Nord Stream 2, che aggira l’Ucraina; forte domanda asiatica di gas naturale liquefatto.

La crisi energetica si abbatte, assieme ad altre concause, anche sui prezzi degli alimentari, a cui i paesi produttori di materie prime rispondono restringendo l’export e accentuando gli squilibri. La finanziarizzazione dell’economia fa il resto, accentuando i movimenti di prezzo e impattando sull’economia reale.

Ripresa minacciata

Tutto questo per dire che, in presenza di simili shock di offerta, la ripresa globale è minacciata di soffocamento. Inoltre, politiche monetarie espansive restano inutili o controproducenti, in casi del genere, visto che loro funzione è quella di stimolare la domanda. Shock negativi di offerta accoppiati a stimoli fiscali e monetari uguale, appunto, a stagflazione.

Ci siamo quindi ritrovati a leggere commenti compiaciuti al dato di inflazione statunitense di agosto, per il solo fatto che è uscito un soffio inferiore alle stime, sia a livello complessivo che core, cioè al netto delle componenti volatili di energia e alimentari.

Futile anche leggere gli aumenti dei prezzi legati alla componente energetica come non rilevanti perché “volatili”: questa fase potrebbe durare non poco. E abbiamo comunque scoperto che il “calo” di inflazione americana è in larga misura figlio della variante delta e del calo di domanda relativa ai trasporti e in parte ai servizi.

Nel frattempo, le trascurate serie storiche sul sentiment dei consumatori e sulle loro percezioni inflazionistiche sono tornate di moda, con una plastica impennata. Anche qui, inutile compiacersi per il recupero delle retribuzioni nominali delle fasce più povere di popolazione, se poi l’inflazione causa un calo di tutte le retribuzioni reali e rischia di scatenare una rincorsa prezzi-salari, accentuata dal fenomeno del disallineamento (mismatch) tra domanda e offerta di lavoro per profili professionali. Anche questo esibisce una ossimorica transitorietà persistente da mesi.

Regno Unito, lo shock tra gli shock

In tutto questo rosario di disruption, il Regno Unito merita un posto a parte. L’economia britannica è ripartita con vigore ma già infuria il dibattito sull’inflazione e sulle strozzature di filiera. Che sono riconducibili anche agli esiti della Brexit, ma che al contempo li occultano e mettono in secondo piano. Ad esempio, il governo di Boris Johnson ha deciso di rinviare i controlli sulle importazioni alimentari di ulteriori sei mesi, a luglio 2022.

I prodotti europei continueranno quindi a entrare in Regno Unito senza verifiche doganali, mentre l’opposto non accade. Mossa necessaria, data la forte dipendenza britannica dalle importazioni alimentari dalla Ue e dalla moltiplicazione di scene “sovietiche” di scaffali di supermercati vuoti. Le vittime predestinate di questa situazione sono i produttori britannici di alimenti lavorati, che si vedono contemporaneamente esposti alla concorrenza del continente e gravemente ostacolati nelle proprie esportazioni dagli adempimenti doganali.

Ora il governo di Londra aprirà un’indagine sulle penurie, come sempre si fa in questi casi. Vedremo se riusciranno correttamente a identificare e separare gli shock esogeni e globali di offerta da quello autoinflitto chiamato Brexit. Per parte mia, posso solo rivolgere un pensiero divertito a tutti gli scienziati di casa nostra che immaginavano un percorso trionfale per la Brexit, “perché la Ue è in surplus commerciale col Regno Unito, quindi ha solo da perdere”.

Venditori di olio di serpente cercansi

Di certo, in giro per l’Europa e non solo, avremo abbondanza di carne per la polemica politica e i dibattiti pubblici basati su fallacie, quelli dove ogni correlazione è causa e ogni fenomeno è rigorosamente unicausato. Una nuova età dell’oro per le semplificazioni giornalistiche e per la politica, quella di “e che fa il governo, eh? Eh?”. E, ripeto, non sarà esclusiva italiana, anche se da noi fischieranno proiettili d’argento come mai prima e legioni di imbonitori sfileranno a mostrare il loro miracoloso olio di serpente.

Da noi, ad esempio, è già ripreso il teatrino sul nucleare. Non finirò mai di sorprendermi e affascinarmi per il surreale schiacciamento temporale di questo tipo di polemiche. C’è uno shock energetico, qui e ora? Rispondiamo con tecnologie inesistenti e con l’immancabile quarta, quinta, sesta generazione di qualcosa. Poi, per marcare il territorio facendo pipì in faccia ai creduli elettori, che se la bevono con voluttà, dibattiamo se mettere una centrale nucleare in cantina o vicino al bar del paese.

Il mondo si trova nell’ennesima fase delicata e complessa. La ripresa è avvolta dalla nebbia e rischia di restare senza corrente. Il pensiero magico della ipersemplificazione ansiolitica ne verrà ulteriormente fertilizzato, oltre i confini della psicopatologia collettiva. Non mancherà lavoro per produttori di letame, scritto e parlato. Il tutto ricordando che, quando la gente fatica a fare la spesa, cucinare e scaldarsi, s’incazza e tende a prestare orecchio a tali soggetti più di quanto già abitualmente faccia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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