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Il rischio Grecia per l’Italia

Quelli a seguire saranno mesi fondamentali per verificare se l’intervento congiunto Europa-Fmi riuscirà a scongiurare il rischio default della Grecia (anche se banche e investitori continuano ad approvvigionarsi di credit default swap, certificati di assicurazione contro il rischio fallimento, alimentando le speculazioni sull’ipotesi insolvenza).

In attesa di ulteriori sviluppi è utile analizzare il grado di esposizione dell’Italia davanti la prospettiva di un crollo finanziario dello stato ellenico.

Dal punto di vista delle nostre imprese che operano in Grecia, sembra serpeggiare un clima di sostanziale fiducia, con quasi tutte le grandi società italiane impegnate a confermare i rispettivi programmi.

Edison, il secondo operatore elettrico nel paese, punta a migliorare gli investimenti nel settore del gas naturale (approfittando delle grandi reti di trasporto provenienti dalle repubbliche ex sovietiche).

Nessuna revisione dei piani strategici invece per le altre big italiane: Riva, Impregilo, Italcementi, Barilla (che controlla Misko, il primo pastificio del paese) Inso, Fiat (quarto produttore di auto), Italgas e Ghizzoni, ad eccezione di Autogrill che ha investito 6 milioni per l’apertura di nuovi punti ristoro su autostrade e aeroporti. Se, a quanto pare, nulla si complica (per ora) sul fronte degli affari, gli scambi commerciali Grecia-Italia hanno subito un crollo vertiginoso, riducendosi di ¼ nel 2009.

Le nostre esportazioni sono calate del 23,8% (1 miliardo e mezzo di euro) mentre l’import greco è sceso del 24,8%.

Il livello di investimenti delle imprese italiane resta comunque limitato ad appena 557 milioni di euro, uno scarno 1,5% sul totale, che ci posiziona al nono posto dopo Lussemburgo, Francia, Usa, Olanda, Cipro, Regno Unito, Germania e Spagna.

Sul fonte dell’esposizione bancaria, il credito dei nostri istituti verso la Grecia è pari a 7,78 miliardi di dollari (5,5 miliardi di euro), molto poco rispetto ai ben 300 miliardi delle banche tedesche (dati della Bri, Banca dei Regolamenti Internazionali).
Inoltre va aggiunta la quota media di titoli greci sul portafoglio di fondi comuni e delle tasche dei risparmiatori, che si attesta al 5%.

Alcuni ne sono usciti, come i fondi di Azimut, Bnl e Generali, altri si sono maggiormente esposti (ad esempio Dexia e Banca Leonardo) superando il 15% nella composizione di titoli obbligazionari greci, che per ora garantiscono ottimi guadagni e rendimenti molto alti (il governo greco paga ormai il 9% sui titoli decennali e il 12% sui Bot a due mesi, con uno spread sull’Italia di 90 punti).
Se la ripresa non arriverà, la Grecia potrebbe rischiare di abbandonare l’euro, anche se il Trattato Ue non contempla ipotesi del genere.

Le conseguenze naturali saranno disastrose per l’economia del paese ellenico, con la dracma enormemente svalutata (340 dracme per un euro) che comporterebbe uno scenario drammatico: corsa alle banche per ritirare i risparmi, fuga dei capitali, inevitabile fallimento degli istituti di credito (con ripercussioni a catena su paesi europei vicini come la Bulgaria dove è concentrato il 30% di mercato delle banche greche), chiusura delle imprese, crollo della Borsa e dei tassi d’interesse, inflazione alle stelle.

Forse, proprio per scongiurare uno scenario così apocalittico, bene ha fatto il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti a rivendicare il ruolo dell’Italia (che contribuirà al risanamento della Grecia con 5,5 miliardi di euro) nel piano di salvataggio dell’Europa: “Se la casa del vicino va a fuoco, bisogna aiutarlo a spegnerlo, se ce l’hai e noi l’abbiamo, l’estintore”.

Per evitare che le fiamme divampino sull’intero quartiere.

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