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Il rapporto del Censis: la rivoluzione del supermercato

Il rapporto del Censis parla anche al mondo della comunicazione.

Annuncia una nuova stagione, che vedrà il mondo della rete, anche in Italia, candidarsi a nuova spina dorsale del sistema culturale, produttivo e, conseguentemente, anche politico. 

E’ la prima volta - va notato - che si apre una prospettiva di rottura del vecchio modello assistenzialistico - industriale, quella specie di fordismo in salsa di pomodoro, quel mercato temperato dalla Cassa per il Mezzogiorno, che ha visto l’Italia prima prosperare, nei decenni 50 e 60, e poi galleggiare, nel successivo trentennio. 

De Rita, nell’annuale rapporto Censis che scannerizza la società italiana da oltre 40 anni, coglie l’elemento di rottura insito in ogni crisi dalle dimensioni di quella che ci sta avvolgendo. 

Si stanno sbriciolando le categorie politiche ed economiche che legavano la società italiana, e si apre la strada ad una trasformazione radicale. 
Siamo alla seconda metamorfosi, scrive De Rita, dando per conclusa la prima metamorfosi, che viene datata dal dopo guerra fino all’inizio degli anni 70.
La crisi economico finanziaria che sta montando è destinata a segnare profondamento le nostre abitudini, riposizionando comportamenti ed identità. A cominciare dalle modalità di quel rito globale che al momento sembra l’unica manifestazione comune che lega tutti gli esseri umani del pianeta: il consumo.

Il modo di consumare, di approvvigionarsi, di soddisfare i propri bisogni e i propri desideri, con sempre una più totale identificazione fra i due generi, è destinato ad uscire del tutto stravolto dal tunnel della congiuntura economica. 
La paura ci porterà a rompere le nostre abitudini ed a guardare con più interesse e curiosità a nuove proposte. Ma come, tempestivamente, ci segnalava Nova, il supplemento del Sole 24 Ore, di questa settimana la metamorfosi del consumo si intreccia con le nuove culture digitali.

Andrea Granelli nell’articolo guida del dossier consumo di Nova ci spiegava, giustamente, come le pratiche di acquisto stiano già profondamente modificandosi. 
Secondo due tendenze: l’emozione e la relazione.
La prima è il sentimento che ormai sempre con più forza deve esprimere un brand per attirare e persuadere il singolo consumatore. Bisogna produrre emozioni per spingere all’acquisto.
La seconda tendenza è quella di una relazione che sempre con maggiore metodicità deve legare l’acquirente alla comunità che si raccoglie attorno al
prodotto.
 
La rottura di un’istintività individuale che ormai porta ognuno di noi a cercare ormai di separarsi dai grandi gruppi di consumatori, per individuare prodotti e servizi se non esclusivi, certo almeno dedicati, mirati a se stessi, deve essere giustificata da una grande condivisione sentimentale che si costruisce appunto lungo le due direttive: l’emozione e la relazione.
 
Due direttive che sono esattamente i due motori che alimentano e inducono ad
immergersi nella società della rete. 
E’ infatti proprio la rete, la cultura digitale, il potere di pretendere accesso e interattività immediata a chiunque e per qualunque cosa, che oggi determina il nuovo paradigma, che offre la piattaforma per sostenere e gestire il nuovo
cambiamento.

Il consumatore diventa, anche nel processo di stipula dei singoli contratti di acquisto di un bene o di un servizio, un coprodottore, si determina anche nello scambio mercantile un modello user generated content, dove entrambi le parti, seppur in via asimmetrica, concertano lo scambio. 
Il venditore non è più l’unico titolare ne l’esclusivo ideatore della micro operazione commerciale. Ha sempre più bisogno di prevedere una complicità, un’associazione attiva del suo singolo cliente.
 
Questo riconoscimento è destinato ad aprire le porta ad una nuova società, ad un nuovo modello di sistema paese, nuovo dal punto di vista economico, commerciale, ma anche istituzionale e politico. 
Del resto l’eco che ci arriva d’oltre atlantico con l’elezione di Obama è fin troppo chiaro: il social network si è messo in politica.
La metamorfosi intuita dal Censis, avrà un’ampia pervasività, e orienterà ogni singola sfera delle nostre attività; inducendo, inevitabilmente, quella discontinuità nei singoli piani. 

Le nuove pretese di questa innovativa figura di acquirente attivo e dotato
culturalmente e strumentalmente, selezionerà duramente e spietatamente il mercato e le istituzioni. 

Non si tratta solo di buttare fuori quel sottobosco di improvvisati e vessatori operatori economici, che ancora lavorano con il modello broadcasting in
economia – da uno a tanti e senza tante discussioni - quanto di far
affiorare una nuova cultura, nuovi profili professionali, una nuova logica, dove il consenso, la soddisfazione, la compartecipazione del cliente viene verificata in tempo reale.

Lo stesso approccio si riverserà sul versante dei servizi pubblici, del welfare. 
La statualità, il modo di essere stato, il rapporto fra governanti e governati non potrà non essere investito da questa emancipazione dell’individiduo. 
Il poter sperimentare, quotidianamente, il proprio potere di condizionamento della controparte non potrà non pesare nel farsi dell’organizzazione del consenso politico e nell’itinerario della decisione istituzionale. 

Per questo penso che siamo entrati in un tornante che ci condurrà in una nuova società che si costruirà attorno alla cultura del social network o ancora meglio del cloud computing, di quella straordinaria logica della distribuzione e dell’accesso alle risorse che la rete sta architettando. 
E’ questa la cultura dell’accesso - diamo merito a Jeremy Rifkin che ce la
segnalava almeno cinque anni fa - rispetto agli statuti proprietari. 
E’ la cultura dell’ambiente, depurata da scorie ideologiche, che determina un nuovo paradigma di vivibilità e di partecipazione.
E’ la cultura della comunicazione a rete. Qualcosa di concreto e non indolore si sta gia configurando. Pensiamo, ad esempio, alla crisi che sta investendo il mondo dell’editoria. 

Che cosa è se non il segnale che le nuove logiche sociali e le nuove possibilità tecnologiche, stanno rendendo insostenibile il vecchio modello dell’impresa
editoriale. 
Negli Usa, ma fra non molto anche nel nostro paese, è ormai visibile l’inadeguatezza delle aziende che gestiscono i quotidiani e le catene televisive generaliste. 
Siamo ad un modello ormai fuori mercato. 

Le fonti di finanziamento, pubblicità e revenue a vario titolo, decrescono sia per la crisi economica, e sia per lo sventagliamento della gamma di media che estende le possibilità di scelta per utenti e inserzionisti. 
Dobbiamo rimodulare la catena del valore: il ciclo di produzione delle news e dell’intrattenimento deve essere radicalmente rivisto. 

Meno duplicazione di funzioni, nuove figure professionali, centralità della rete non solo come infrastruttura connettiva ma anche come linguaggio e modello di
partecipazione. 
Siamo ad una svolta: i mediatori si devono rivisitare. 
Ma abbiamo anche dinanzi una straordinaria opportunità: dopo un secolo, il ‘900, trascorso a cercare un nuovo modo di vivere e produrre, abbiamo ora dinanzi la parte migliore del capitalismo, i segmenti più creativi, colti, dotati, e giovani, a tutte le latitudini del globo, che si stanno incamminando lungo una nuova strada. 

Tutto ciò che era verticale tende a diventare orizzontale e tutto ciò che era stato lasciato in orizzontale si sta verticalizzando, si potrebbe dire parafrasando il Negroponte switch della meta degli anni ’90, sul passaggio su cavo di quanto era via etere e viceversa. 

In effetti, mercato, politica, istituzioni e comunità stanno riscoprendo il gusto di un intreccio orizzontale fra produttore e utente, a tutti i livelli, mentre quelle attività
che venivano orizzontalizzate per renderle marginali e occasionali, i servizi territoriali, l’assistenza, la formazione, diventano funzioni primarie e unitarie dell’essere stato.

Non è questo uno straordinario cambiamento al quale dare un’anima più compiuta, senza lasciare che sia la crisi a compiere anche l’ultimo miglio della mediamorfosi? 

Come diceva Einstein, i problemi non possono essere risolti con la stessa
cultura che li ha generati. 
Siamo davvero all’inizio del nuovo.
Ora tocca al popolo della rete.

Commenti all'articolo

  • Di DD (---.---.---.140) 10 dicembre 2008 11:10

    Non ho capito perché nominare il Censis per questo tipo di informazioni. Penso sia da tempo che si facciano in migliaia di altre fonti e insomma, nulla di nuovo. Cmq non é importante. La cosa importante da dire é che fatalità proprio il tema principale dei nostri tempi viene tralasciato. Qui come in migliaia di altre riflessioni: il rapporto di potere tra cittadino e istituzioni. Finché non si riflette veramente su questo tema e non si comincia a pretendere un onesto rapporto tra politici e apparato industriale (di tutti i generi) con noi cittadini ogni riflessione sarà vana.
    Sono loro che hanno in mano tutto il potere. Se non facciamo valere i nostri diritti adesso sarà sempre più difficile un giorno riconquistarli.
     

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