Il potere senza cultura è mero dominio

Riflessioni sopra un tappeto afghano
"Da qualche tempo, infatti, serpeggia in Occidente una sottile inquietudine alla cui base c’è come il sentore di avere raggiunto il punto critico dell’ascesa della civiltà occidentale, nel quale coincidono l’apice del successo e l’inizio del declino..."
di Agostino Spataro
E’ vero: per riconoscere un’opera d’arte non sempre è necessario essere dei valenti critici o dei navigati intenditori. Quando è arte vera scatta un’emozione che scuote, e coinvolge, nell’intimo l’osservatore.
Tentativo vano, il mio. Poiché il tappeto è stato confezionato non secondo la logica sopra citata, ma secondo la più elementare nozione geografica che considera i punti cardinali come le principali coordinate del pianeta, rivelatori dei più spettacolari fenomeni della natura (l’alba, il tramonto, la notte, il giorno, le calotte polari e quant’altro) e non come indicatori di una pervertita toponomastica della storia delle civiltà.
Siamo di fronte ad una colossale mistificazione di valori etici e identitari che per meglio esaltare le “virtù” dell’Occidente riduce il resto del mondo ad un ammasso indistinto di popoli senza referenti culturali, razziali, storici.
Queste cose ho letto in quel tappeto, ma anche altre. A ben guardare, fra quella massa di fili annodati si possono leggere la denuncia della mistificazione della geografia umana e politica e anche il dramma, paradossale, che sta vivendo l’Occidente nel momento in cui sembra aver toccato il massimo della sua potenza egemonica, culturale e militare.
3. Il potere senza cultura è solo dominio
Da qualche tempo, infatti, serpeggia in Occidente una sottile inquietudine alla cui base c’è come il sentore di avere raggiunto il punto critico dell’ascesa della civiltà occidentale, nel quale coincidono l’apice del successo e l’inizio del declino.
E gli Usa, che pure tanto hanno dato al mondo in termini di progresso tecnologico e di organizzazione democratica della società, si arrogano il diritto di portare a termine la “santa” missione con metodi sbrigativi e violenti. In sintonia, del resto, con le loro esperienze storiche costitutive: il massacro degli indiani e la guerra civile.
Forse, s’ignorano taluni particolari di sommo rilievo: l’Iraq non era solo uno Stato asservito al regime tirannico di Saddam Hussein, ma è, soprattutto, l’antica Mesopotamia, la terra e le città degli Assiri e dei Babilonesi, popoli civilissimi che hanno trasmesso all’Occidente i fondamenti della cultura e i primi rudimenti, scientifici e pratici, dell’organizzazione economica e sociale dell’uomo. Più che dalla lotta al “terrorismo”, che in Iraq non c’era, sembra che questa nuova follia bellica sia stata ispirata dalla bramosia petroliera frammista con un rozzo sentimento di rivalsa nei confronti di una civiltà-madre che si ritiene di non poter dominare con altri mezzi. Del resto, la storia insegna che, quasi sempre, alla base delle più grandi sciagure c’è stato un risvolto psicologico a condizionare il comportamento dei protagonisti.
Ecco, allora, la pregnanza e la drammatica attualità del tema della conoscenza delle “culture non occidentali”. In verità, più che un tema, mi sembra un enorme ed urgente problema che l’Europa e l’Occidente debbono porsi e risolvere nell’ambito di una visione multiculturale globale.
Si vedono, uno sopra l’altro, carri armati ed elicotteri appartenuti ai russi invasori, fucili e bombe micidiali forniti da centrali antisovietiche ai talebani che hanno “liberato” il paese da un’odiosa occupazione straniera per annichilirlo con una fanatica dittatura religiosa che aborre e perseguita le idee e le culture altre.
Da una dittatura all’altra, da una guerra tribale ad una religiosa, ad una “internazionale” come quella in corso contro il “terrorismo”. Non c’è pace per i poveri afgani trasformati da un popolo di fieri contadini a massa vagante di rifugiati. Ed è qui, nei campi profughi, che le donne e i bambini hanno creato questi tappeti che sembrano intessuti coi ricordi di un terrore indelebile che li perseguita. Un bell’esempio d’arte genuina, una sorta di verità documentale che illumina una storia tragica, purtroppo, non ancora conclusa.
Una supponente ignoranza che crea un divario fra ceti intellettuali, questa volta a favore dei “non occidentali” i quali, per necessità o virtù, conoscono le culture “altre”, e in primo luogo quella occidentale.
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