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Il “no” di Cameron all’UE rinvigorisce i conservatori britannici

Il buon vecchio William Shakespeare ne avrebbe da scrivere su ciò che sta avvenendo nei contorti vicoli della politica britannica, tra le ombre di Downing Street e le guglie del Parlamento.

Sembra quasi che i personaggi più importanti della scena governativa londinese amino il palcoscenico teatrale assai più dei freddi banchi della Camera dei Comuni, tramandandosi ruoli fissi e ormai scolpiti nella Storia dalla Letteratura (e viceversa). Ecco perché non sorprende più di tanto la trama dello spettacolo in scena da una settimana sui maggiori media inglesi. Il pubblico anglosassone ha visto questa messinscena diverse volte e nelle più varie rappresentazioni, è abituato, ha il palato fine e apprezza plaudente.

Da una parte si erge il gigante patriottico per eccellenza, quel David Cameron che fu in disgrazia e ora guarda il futuro sotto una nuova luce. E già, perché il novello Enrico V non se la passava troppo bene fino alla scorsa settimana, indietro di 4 punti percentuali nei sondaggi rispetto al suo diretto rivale, nonché indiscusso condottiero delle armate Labour, Ed Miliband.

La fine di novembre con il roboante crollo delle borse del Vecchio Continente avevano travolto la fiducia nella compagine governativa, bloccando il Partito Conservatore su un 35% nelle intenzioni di voto, insufficiente a garantirgli la maggioranza in caso di elezioni. Non stava certo granché meglio il suo compagno al timone del comando, Sir Nick Clegg il Liberal-Democratico, costretto a gestire i malumori della base movimentista e un rovinoso indietreggiamento nei sondaggi rispetto alle ultime consultazioni (dal 23% del 6 maggio 2010 al 9% del 21 novembre 2011).

E invece, proprio quando tutti lo davano per spacciato, Cameron ha tirato fuori l’asso dalla manica (del tight, ovviamente). Il campo di battaglia non sarà stato quello di Azincourt (anche se Bruxelles non dista poi così tanto) e gli arcieri inglesi non avranno decimato la cavalleria nemica nelle stesse sanguinolente modalità, ma il “gran rifiuto” del Premier inglese all’ultimo vertice UE ha avuto effetti devastanti. C’era poco da aggiungere all’espressione tetra del Carlo VI della situazione, un Nicolas Sarkozy furente davanti ai giornalisti di tutto il mondo subito dopo la chiusura delle trattative.

Il ritorno in patria di “King David” ha fatto segnare un balzo della sua popolarità sul suolo natio. Strano “cast of mind”, quello britannico, che ogni volta in cui è toccato nel proprio orgoglio nazionale, si risveglia e riemerge con un piglio da Impero che fu, assai poco comprensibile dal di qua della Manica. Sta di fatto che, secondo un sondaggio del Daily Mail, il 62% degli inglesi è al fianco di Cameron e pensa che abbia fatto bene a esercitare il proprio diritto di veto.

Solo il 19% si schiera contro questa decisione. Ma il dato realmente importante è che, stando a quanto riportato dal Times, quasi la metà (49%) di coloro che avevano votato per il Partito Liberal-Democratico nel 2010 si dichiara favorevole alla decisione del Premier. Elemento decisamente sorprendente, considerato il ruolo che in questa strana pièce sta recitando Nick Clegg.

Degno erede del Conte di Cambridge nel dramma shakespeariano, il leader lib-dem ha accolto il compagno di governo con una intervista al vetriolo rilasciata alla BBC: da europeista convinto quale è sempre stato, Clegg si è detto “amaramente deluso” per la decisione del Premier, che rischierebbe di isolare ancora di più il Regno Unito in Europa.

Una posizione condivisa dall’intero partito europeo dei Liberali e Democratici ed ampliamente esplicitata da Sir Graham Watson (parlamentare europeo e neoleader dei lib-dem continentali), che in un recente discorso a Utrecht non ha usato mezzi termini per attaccare Cameron (“Avrebbe potuto preservare l’influenza del Regno Unito in Europa, agevolando la riforma del trattato: invece ha opposto resistenza alla regolazione bancaria, ha ignorato la Commissione e il Parlamento e ha indebolito il peso decisionale della Gran Bretagna nell’UE”).

Gli inglesi, invece, pare proprio che la pensino in maniera diversa. Secondo le ultime rilevazioni di YouGov, i Conservatori hanno guadagnato 5 punti percentuali in pochi giorni, arrivando a superare il 40% nelle intenzioni di voto e balzando in testa ai sondaggi dopo quasi un anno. Cameron torna dalla guerra con una base ricompattata e nuovi consensi tra i suoi elettori, finor delusi da quanto era riuscito a (non) fare.

La linea del dissenso sembra premiare anche Clegg, che raccoglie consensi nelle frange europeiste e progressiste della popolazione e spinge il Partito Liberal-Democratico ad un confortante 11%. Spettatore interessato e pronto a gettar zizzania tra i duellanti, Miliband gestisce uno stabile 39% e confida in una faida interna al governo per assicurarsi la posizione migliore in vista delle prossime elezioni amministrative.

Resta tutto da scoprire lo scenario che apparirà davanti agli occhi dei sudditi di Sua Maestà con l’arrivo dell’anno nuovo. King David mostra i muscoli e si prepara a giocare una partita sul filo del rasoio con il conte Clegg: che la posta in gioco vada ben oltre l’idea di “Europa” dei due contendenti è ormai al di là di ogni ragionevole dubbio, soprattutto dopo l’ultimo pesante attacco del leader lib-dem nei confronti del premier su un campo non esattamente lieve come la concezione di “famiglia” (secondo l’Observer di domenica, il vice premier si prepara ad contrastare in maniera decisa la teoria cameroniana della “Big Society” basata su matrimonio, casa, chiesa e volontariato).

Ciò che è certo è che gli avventori del Globe Theatre che all’inizio del prossimo atto prenderanno posto nella platea polverosa, difficilmente avranno speso invano i pochi pound del biglietto d’ingresso. Lo spettacolo, nel bene o nel male, sarà assicurato.

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