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Il mito di Ulisse nel tempo, un tòpos letterario

Il personaggio di Ulisse, le cui avventure sono narrate nei libri dell’Odissea (che proprio dall’eroe greco prende il nome), ha agito con gran forza sull’immaginario di numerosi scrittori, fra Ottocento e Novecento, fino ad entrare a far parte della cultura comune Europea. La sua proverbiale curiositas, la sua intraprendenza e la sua (non meno proverbiale) astuzia ne fa un vero e proprio simbolo dell’essere umano, oggettivazione concreta di tutte quelle capacità ed abilità che lo rendono tale, esempio per la cultura greca e non solo.

Forse l’Ulisse più noto è quello della commedia dantesca, reso da Dante un exemplum della concezione della conoscenza medievale. Ulisse, infatti, è stato condotto alla morte dalla sua sete di sapere. Superate le colonne d’Ercole giunge fino alla vista della montagna del Purgatorio, ma qui una terribile tempesta, strumento della giustizia divina, inghiotte per sempre la sua nave.

Il “folle volo” di Ulisse, come Dante stesso lo definisce, è allegoria della degenerazione delle capacità e della curiosità umana: l’arroganza.

Il viaggio di Ulisse è folle proprio perché va contro la volontà divina e senza la sua benedizione l’uomo non ha alcuna possibilità di successo.

L’exemplum ha l’obiettivo di fornire un codice di comportamento (ottenuto rovesciando le caratteristiche di Ulisse) all’uomo cristiano: che deve sottostare alla volontà divina, la quale pone dei limiti alla conoscenza umana nella sua vita terrena.

Ulisse compare in uno dei sonetti più celebri di Ugo Foscolo, A Zacinto, in cui l’eroe omerico è tornato finalmente a casa “bello di fama e di sventura” e può finalmente baciare la sua “petrosa Itaca”. In questo caso Ulisse si rivela il personaggio più adatto al tema romantico dell’esilio, che tocca in maniera concreta lo stesso Foscolo.

L’esilio, infatti, testimonia non solo un allontanamento fisico dalla propria terra, ma anche un allontanamento morale dalla società in cui l’uomo romantico inizia a non riconoscersi più, mostrando già i segni di quella crisi che investirà in pieno il Novecento.

La vicenda è vista con sguardo malinconico e quasi d’invidia dal momento che il poeta, al contrario di Ulisse, ha perso ormai la speranza di un ritorno nella sua patria, rassegnatosi ormai ad una “illacrimata sepoltura”.

All’ambiente culturale romantico appartiene poi il celebre Ulisse del poeta inglese Alfred Tennyson. Il testo è un monologo dell’eroe che, tornato in patria, non riesce ad abituarsi alla nuova vita, dedicata agli ozi e alla tranquillità, alla quale si mostra insofferente. Ulisse decide così di salpare per un altro viaggio verso l’ignoto.

Con queste parole Ulisse si rivolge ai suoi compagni “E’ stupido fermarsi, imporsi una fine: e sarebbe vile, per pochi anni, mettere da parte e risparmiare me stesso e questo spirito che si strugge nel desiderio di seguir conoscenza”. E’ evidente come Tennyson guardi più all’Ulisse dantesco che non a quello di Omero, (lo dimostrano anche alcune formule riprense in inglese “seguir conoscenza/ to follow knowledge”) con una sostanziale differenza. I due poeti guardano con prospettive opposte il personaggio di Ulisse: mentre Dante lega Ulisse ad un giudizio morale negativo (Ulisse è posto nella cantica dell’Inferno) Tennyson vede l’eroe romantico per eccellenza, il Faust con la sua Sehnsucht, la malattia del desiderio e dell’ansia di conoscenza, l’uomo che vuole spingersi oltre i limiti imposti ed affermare se stesso.

Al clima decadente fanno capo due interpretazioni simmetriche e speculari del mito di Ulisse come quelle di Pascoli e di D’Annunzio.

In Pascoli Ulisse è il protagonista di “L’ultimo viaggio”, appartenente ai Poemi conviviali che, lo stesso Pascoli ammette, è enormemente debitore non solo verso Omero ma soprattutto verso Tennyson e Dante.

Ulisse, ormai vecchio e prossimo alla morte, decide di voler rivivere le sue imprese passate, in quanto il ricordo si sta in lui affievolendo. Ritrovati i luoghi, tappe della sua avventura, ma chi vive lì afferma di non aver mai sentito parlare dell’esistenza di maghe e ciclopi.

Ulisse non riesce ormai a ricordare più nulla, né tanto meno a distinguere fra la sua memoria e i suoi sogni. “Il mio sogno non era altro che un sogno” esclama disperato. 

Pascoli, rileggendo l’antico mito nella nuova chiave esistenziale tipica del Novecento, trasforma il viaggio di Ulisse in un viaggio al ritroso nella memoria umana e nella concezione del tempo, un viaggio che va incontro ad una tragica sconfitta.

Ulisse non chiede di conoscere il segreto del mondo esterno in cui si trova, ma si accontenterebbe di quello “interno a se”, del suo mondo personale in cui ha vissuto e si è realizzato, ma anche questa gli viene negata. Allora, sospeso fra un passato illusorio e un futuro in cui ad attendere l’uomo non c’è altro che la morte, sarebbe meglio “Non essere mai nati!” come grida Calipso sul corpo dell’eroe greco.

D’Annunzio, invece, assume Ulisse come modello di vita attiva ed eroica che lo stesso poeta va predicando, un interpretazione superomistica praticamente opposta a quella di Pascoli.

In Maia il poeta e i suoi compagni, in viaggio verso la Grecia, incontrano Ulisse che però, alle richieste di questi di portarli con se, non risponde e continua dritto e fiero verso nuove avventure. Ulisse è il modello dell’uomo che vuole “sempre combatter contro le tempeste, i fati, gli dei , per crescere e spandere immensa l’anima d’uom perituro”.

Innovativa e quanto mai complessa opera è poi l’Ulisse dello scrittore irlandese James Joyce, diviso in tre libri ( Telemachia, Odissea, Nostos) è la storia di semplici uomini e donne irlandesi che vagano, per un motivo o per un altro, nella caotica Dublino d’inizio secolo. In particolare i personaggi su cui si focalizza l’attenzione sono Leopold Bloom, Stephen Dedalus e la moglie Molly. Ogni capitolo, legato ad una situazione diversa, è messo in parallelo con un evento o con un avventura dell’Odissea di Omero. Una celebre e condivisa interpretazione è stata fornita dall’intellettuale inglese Thomas Stearns Eliot, secondo il quale è espressa la distanza tra la mediocre realtà contemporanea e e la grandezza eroica del mondo greco; è esaltato il valore del mito in quanto mezzo dell’uomo per riscattare un esistenza altrimenti priva di senso.

In Ulisse di Umberto Saba, invece, l’avventura e la curiosità di Ulisse per la vita è trasposta, tramite una grande allegoria, sul piano morale e esistenziale: mentre alcuni si rifugiano nella sicurezza del porto, accettando le cose come sono senza mettere in dubbio le proprie certezze, il poeta si spinge verso il mare aperto, pronto a mettersi in gioco e a correre dei rischi.

“Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore”

Non rischi materiali ma, nell’allegoria, l’incomprensione e il doversi accontentar di quella “terra di nessuno”.

Il “non domato spirito” accomuna il poeta alla figura di Ulisse, entrambi non si accontentano di vivere in maniera passiva e acritica ma desiderano andare oltre, l’uno dal punto di vista materiale, l’altro nell’ambito di una riflessione non solo letteraria ma esistenziale.

Ma Ulisse è anche simbolo della purezza dell’uomo e del suo volersi distinguere dallo stadio di pura naturalità. In questo senso Ulisse rappresenta tutto ciò che è propriamente umano, quindi è l’orsa polare per chi lotta per mantenere la propria umanità

E proprio con questa particolare interpretazione è presente l’Ulisse in Se questo è un uomo di Primo Levi. Durante l’esperienza di abbrutimento e spersonalizzazione del lager nazista, il poeta e il suo compagno di sofferenze vengono come illuminati dalle parole del canto dantesco “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. Il discorso di Ulisse ai suoi compagni è in realtà rivolto a tutti gli uomini.

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