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Il miracolo spagnolo spiegato

La settimana scorsa la banca centrale spagnola ha comunicato la prima stima di variazione del Pil del paese nel primo trimestre 2014. Si tratta di un confortante più 0,4% che, calcolato secondo il criterio americano, cioè annualizzato, renderebbe un più 1,6% (e un filo di più, in capitalizzazione composta). Grattando sotto la superficie, tuttavia, si scopre che il numero potrebbe non essere così lusinghiero come appare.

Per capirne di più, è fondamentale leggere Edward Hugh, l’economista gallese trapiantato da un ventennio in Catalogna, che in uno dei suoi torrenziali post spiega le aree grigie di questo numero. Le ricordiamo, in una sintesi estrema.

Intanto, la componente di crescita riferita al commercio estero, che da sola rappresenta metà della crescita reale del trimestre. Peccato che questo contributo alla “crescita” sia frutto di una contrazione dell’import che è doppia di quella dell’export. E’ probabilmente difficile da cogliere, per i non addetti ai lavori, ma il commercio estero produce contributo positivo alla crescita del Pil anche in caso di contrazione dell’export; basta che l’import si contragga di più. Non esattamente un concetto di crescita di senso comune. A questo proposito, Hugh ricorre ad un grafico per mostrare che l’export spagnolo, espresso in termini reali, dallo scorso settembre ha smesso di crescere. Peraltro, nell’ultimo anno l’export spagnolo pare aver avuto una ricomposizione: più in Eurozona, meno verso il resto del mondo. Non stupisce, vista la destabilizzazione dei paesi emergenti, soprattutto sudamericani, che ha fatto seguito al primo annuncio di fuoriuscita della Fed dall’easing quantitativo, un anno addietro.

Altro dato che lascia perplessi è quello degli ordinativi industriali: quelli ascrivibili a domanda interna restano in contrazione su base annuale (ultimo dato disponibile, febbraio), mentre si confermano espansione per domanda da Eurozona e forte contrazione per domanda extra-Ue. Parlando di ripresa vibrante, cosa c’è di meglio del grafico della produzione industriale? Ve lo riproduciamo anche qui. Come vedete, segna calma piatta.

Spaindustrial output

Poi c’è il capitolo del rapporto deficit-Pil. La Spagna ha chiuso il 2013 con un dato al 6,6%, che pare vicino al nuovo target concordato con la Ue dopo ennesima agevolazione, ma secondo Hugh sarebbe stato conseguito con una serie di acrobazie contabili creative, come l’utilizzo del fondo di stabilizzazione delle pensioni (ne avevamo scritto qui) e del Fondo Fornitori, quello che serve per saldare i debiti della pubblica amministrazione verso imprese private. Inoltre, Hugh segnala che il governo spagnolo, per il secondo anno consecutivo, avrebbe chiuso con forte anticipo (lo scorso 25 novembre) i termini di richiesta di approvazione di mandati di spesa pubblica. In tal modo, molte decisioni di spesa non sarebbero giunte per tempo, slittando quindi al 2014.

Hugh segnala a questo proposito il commento della banca centrale spagnola ai dati di Pil del primo trimestre, in cui si parla di ripresa di spesa pubblica corrente e per investimenti, rispetto al “marcato declino” degli ultimi mesi del 2013. Sfortunatamente, dal dato di variazione del Pil non c’è disaggregazione tra settore pubblico e privato. Il sospetto che ci sia stato uno “scavallamento” di anno, per ottenere un rapporto deficit-Pil in linea con il target europeo è piuttosto evidente.

Da ultimo c’è il ruolo del deflatore del Pil, che serve per trasformare il dato nominale in reale. Per un paese che sta flirtando con la deflazione, avere un deflatore negativo significa far crescere il Pil reale rispetto al dato nominale (perché sottrarre un numero negativo vuol dire sommarlo). Hugh segnala che, nel 2013, il Pil nominale spagnolo non si è praticamente mosso, e se lo ha fatto è stato all’ingiù, lievemente. Quindi si confermerebbe che la “crescita spagnola” è figlia di un contesto in cui la deflazione sta ponendo radici. Attendiamo quindi maggiore dettaglio sulla composizione del Pil del primo trimestre, ma quello che appare già ora molto chiaro è che la cosiddetta ripresa spagnola è figlia di un export netto fatto in realtà da un crollo dell’import; in cui all’economia continua a mancare credito (creditless recovery); in cui la domanda interna di consumi ed investimenti resta in stato comatoso. E del resto, il ministro spagnolo dell’Economia, Luis de Guindos, ha definito la ripresa del paese come “debole, fragile e diseguale”. Un minimo di onestà intellettuale non guasta, soprattutto per noi italiani, alle prese in queste settimane con vere e proprie farneticazioni di fonte governativa.

E ora, via con gli editoriali italiani di elogio del “modello spagnolo”.

 

 

Foto: Maurizio Mori/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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