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Il libero web nel 2012 secondo Freedom House

Freedom House ha pubblicato ieri il suo rapporto sullo stato della libertà della Rete nel 2012. Eccone i punti salienti:

  • Le restrizioni della libertà online «hanno continuato a crescere, anche se i metodi di controllo si stanno lentamente evolvendo e diventano meno visibili».
  • Anche se i principali metodi di censura restano blocco e filtraggio, «nel 2011 e nel 2012 alcuni metodi in precedenza impiegati solo negli ambienti più oppressivi sono stati utilizzati in modo maggiormente diffuso»: per esempio, la manipolazione proattiva dei contenuti online («che rende più difficile per gli utenti distinguere informazioni affidabili e propaganda governativa») e l’ingaggio di eserciti di blogger e troll filo-governativi (una prassi prima in uso nelle sole Cina e Russia, e oggi estesa a un quarto dei Paesi studiati).
  • Dei 47 Paesi esaminati, 20 hanno conosciuto una «traiettoria negativa» rispetto a gennaio 2011 (tra loro Egitto, Bahrain, Giordania, Messico, Etiopia, Pakistan); 14, al contrario, una «positiva» (Tunisia, Libia, Birmania, Kenya, Indonesia, tra gli altri).
  • Quattro dei Paesi in cui la censura cresce sono democrazie elettorali: India, Turchia, Corea del Sud e Messico.
  • Aumentano le capacità di sorveglianza di 12 degli Stati in cui la censura avanza, e aumentano gli abusi a scopi politici di quelle capacità di sorveglianza. Nei Paesi non democratici, significa «prigione, tortura e perfino la morte». In Bielorussia, Bahrain, Etiopia e non solo i dati privati rubati tramite tecnologie di sorveglianza sono stati presentati ai dissidenti come prove durante processi politici.
  • La sorveglianza aumenta – spesso a discapito del controllo – anche in Paesi semi-democratici come Thailandia, Indonesia, Malesia, India. Il che significa leggi che conferiscono all’intelligence il potere di intercettare le proprie comunicazioni senza un ordine del giudice. E dunque meno privacy. Un trend analogo si sta manifestando in nuove proposte di legge in discussione in Gran Bretagna e Stati Uniti.
  • Crescono anche i blackout della Rete: oltre a quello totale in Egitto, è diventata più comune la prassi di interruzioni locali e temporanee del servizio (per esempio durante rivolte, o per prevenirle). E’ accaduto in Libia, parti della Siria, Cina e Bahrain.
  • Parallelamente a censura e propaganda, sono aumentate le intimidazioni, le violenze e i cyber-attacchi a giornalisti e blogger.
  • Di buono c’è che è aumentato anche l’attivismo legato al mantenimento della libertà di espressione in Rete, con campagne di successo come quelle contro ACTA, SOPA/PIPA e contro sistemi di filtraggio in Turchia.
  • Importante anche il ruolo della giustizia, che nei sistemi democratici si è ripetutamente opposta a misure liberticide, sventando per esempio il tentativo in Ungheria di applicare le nuove leggi restrittive sui media anche alla Rete e contro la real name policy in Corea del Sud.
  • Il modello più sofisticato di controllo dei contenuti online resta la Cina.

E l’Italia?

Migliora di tre punti e con un punteggio di 23 risulta «Paese libero» rispetto alla libertà della Rete (lo è solo in parte, secondo Freedom House, quanto a libertà di stampa):

Fonte: Freedom of the Net 2012, p. 22.

Fonte: Freedom of the Net 2012, p. 22.

Nel rapporto sul nostro Paese, Freedom House specifica che tra le ragioni del miglioramento in classifica c’è il fatto che «nel 2011 diversi decreti che minacciavano la libertà della Rete sono o scaduti (come il decreto Pisanu, che qui diventa Pisano) o sono stati bloccati». E, naturalmente, la caduta di Berlusconi («sembra aver ridotto la pressione del governo per restringere le comunicazioni online» – anche se su questo è lecito avere più di qualche dubbio). Nonostante questo, il rapporto segnala casi di interpretazione troppo ampia del diritto d’autore e decisioni giudiziarie che hanno comportato responsabilità eccessive per i provider.

Freedom of the Net 2012 – A Global Assessment of Internet and Digital Media [Pdf]

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