Come si parla a un nazista
Ma le sfumature, pur diverse, restano. «Bisogna essere rispettosi?», chiede ancora. «Ma se si è troppo rispettosi non c’è il rischio di legittimarlo?». Oppure «si potrebbe ignorarlo, fare finta che sia un’anomalia». Finendo però potenzialmente per rafforzare i neonazisti, farli apparire emarginati, ribelli, perseguitati «dal sistema e dai media». Controargomentare? Presta il fianco alle banalizzazioni e agli «attacchi demagogici» in cui sono maestri. Dire apertamente che le tesi di un nazista sono folli? «Il rischio è che appaia come un sognatore perverso, un bandito affascinante, un utopista incompreso».
C’è la legge, replicano alcuni. Dichiarare il neonazismo incompatibile con le istituzioni democratiche, sbattere gli eletti fuori dal Parlamento e in galera – come poi avvenuto In Grecia. O ancora, mettere al bando il solo negazionismo, la giustificazione dell’innocenza storica dell’ideologia nazista: farne un reato perseguibile con il carcere e multe salatissime, come allo studio nel nostro Senato proprio in queste ore. Ma nessuna delle due soluzioni sembra eliminare «i motivi che hanno portato parte dell’elettorato a schierarsi in favore degli estremisti», dice Deliolanes. Il che significa che tantomeno smetterà di pensare da nazista: un pensiero vietato, al contrario, diventa attraente, seduce. Specie quando il sistema stesso che impone il divieto viene percepito come poco o nulla autorevole.
«Il problema», scrive l’autore e io sono perfettamente d’accordo, «è di restituire al sistema democratico la credibilità perduta». L’alternativa al riemergere di tentazioni naziste dalle fogne della storia è solo e unicamente contrapporvi «uno stato di diritto forte, una democrazia forte». «Ma non abbiamo nessun indizio che si stia andando in questa direzione», commenta l’editorialista Stavros Lygeros per la situazione greca, nel libro di Deliolanes. Altrettanto vale per l’Italia. La soluzione non è resuscitare canti partigiani, prendere a calci e pugni un carro funebre, mettere nero su bianco nel codice penale che negare l’Olocausto non è solo inumano e antistorico, ma anche illegale. Magari bastasse così poco. La soluzione è fornire risposte democratiche ai problemi che gli estremisti propongono di risolvere con i semplici, diretti slogan antidemocratici.
Dalla violenza neonazista in Russia contro gli immigrati ai sondaggi che danno al primo posto in Francia il Front National di Marine Le Pen, passando per Ungheria e Crozia, «la democrazia non può più essere data per scontata in Europa», come scrive il think tank Demos. Deve, al contrario, dimostrare di essere in grado di affrontare le sfide della contemporaneità. Perché, a mettere in fila le ragioni evidenziate da Deliolanes nell’avanzata di Alba Dorata, si comprende come sia proprio l’inadeguatezza a rispondervi ad aver lasciato campo all’estremismo.
L’incapacità di affrontare i fenomeni migratori, evidenziata tragicamente dalla polemica estenuante e continua tra Europa e istituzioni italiane a Lampedusa – ma decisiva anche in Grecia; il relativo terrore di smarrire una propria identità culturale; la debolezza di culture democratiche che si fanno commissariare politicamente ed economicamente da un’Europa, le soluzioni proposte sembrano aggravare, più che risolvere, la crisi finanziaria che sta impoverendo e rendendo più ciniche popolazioni sempre più facili al populismo; un sistema dei media in mano a pochi e che esaspera regolarmente i toni dello scontro sociale, sostituendo alla cronaca resoconti emotivi o scandalistici per fare audience o vendere qualche copia in più; e le connessioni tra forze dell’ordine ed estrema destra e cultura della violenza. Sono questi gli elementi principali che hanno portato Alba Dorata al successo, argomenta Deliolanes.
E gela i polsi pensare a quanto siano attuali nel nostro Paese. A quanto saremmo impreparati e deboli se, domani, invece di un nazista morto dovessimo trovarci a fronteggiare a una serie di nazisti vivi e soprattutto organizzati in un movimento politico capace di sfruttare l’insoddisfazione che percorre l’Italia con argomenti e azioni più o meno velatamente naziste. Come in Grecia, veniamo da una cultura del controllo e dell’autoritarismo, da una democrazia imperfetta, mai compiuta, da un sistema partitico corrotto e in cui gli elettori non si riconoscono – e all’orizzonte non sembrano esserci soluzioni credibili.
Restano, certo, le differenze nella struttura economica, oltre al fatto che la storia e la politica restano sempre più complicate e imprevedibili delle analisi che provano a raccontarle. Eppure quella domanda, «come si parla a un nazista?», ha un suono particolarmente sinistro in questi giorni, e in questo tempo. E tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi, lavarsi la coscienza con un emendamento o l’indignazione non aiuterà a trovare una risposta.
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