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Il lato oscuro del giornalismo italiano. La Carta di Firenze e i diritti e doveri dei giornalisti

Qual è la condizione dei precari, collaboratori e free lance in questo settore? "Articoli pagati poco più di un euro (lordo) e un esercito di persone che vive con meno di 600 euro al mese" la denuncia di Antonella Cardone, consigliera nazionale dell'Ordine. Approvata a Firenze una Carta deontologica per provare a cambiare lo stato dell'arte.

Una Carta deontologica per dire no allo sfruttamento dei collaboratori, dei precari e dei free lance del mondo del giornalismo italiano. Questa, in estrema sintesi, l’iniziativa messa in piedi e approvata a Firenze solo poche settimane or sono, di cui ci parla Antonella Cardone, del Coordinamento emiliano giornalisti precari e freelance e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

Che cos'è la Carta di Firenze, con che intenti è nata?

E' una Carta deontologica, ovvero un testo con valore di legge "deontologica", che impone una serie di doveri agli iscritti all'Ordine dei giornalisti (Odg) che, se non rispettati, faranno scattare sanzioni che possono arrivare anche alla sospensione dello stipendio e dei contributi previdenziali per un anno, sino alla radiazione. Per intendersi, una Carta nota è quella di Treviso, che detta le regole cui attenersi quando si tratta la comunicazione sull'infanzia.

La Carta di Firenze sviluppa la legge fondativa del nostro ordine professionale (la 63 del ‘69), che all'articolo 2 impone la collaborazione tra colleghi. Un concetto vago che ora è ben argomentato: un caporedattore per l'Odg è pari all'ultimo dei collaboratori saltuari, essendo entrambi iscritti allo stesso Ordine. Quindi, il caporedattore non potrà più ad esempio mandare il collaboratore a lavorare la domenica quando sa che questi non prenderà neanche un euro per l’opera svolta. Idem non potrà più mandare il giornalista senza contratto a una conferenza stampa - laddove c'è il rischio non ci sia da scrivere niente, e quindi nessun tipo di compenso per il lavoro compiuto. Anche pagare una miseria gli articoli è, con questa Carta, proibito. Come si fa? O il direttore responsabile va dall'editore a chiedere più soldi per pagare i collaboratori, o si organizza l'azienda di modo che ci siano pochi collaboratori, ma ben pagati. Allo stesso modo, è fatto divieto ai giornalisti di “svendere” la propria professionalità offrendo lavoro a titolo gratuito o accettando compensi esigui (sul "quanto è esiguo un compenso?" giace in Parlamento la legge Moffa sull'equo compenso - indicativamente la base di partenza è 12,5 euro l'ora - cioè lo stipendio orario da contratto per gli assunti cui vanno aggiunte le spese di produzione e quelle di previdenza e assicurazione professionale). Abbiamo il privilegio di avere istituzioni che governano la professione, come l'Ordine: facciamole funzionare.

Qual è la condizione dei precari nel settore giornalistico?


I precari nel giornalismo sono messi malissimo. In Italia ci sono quasi 110 mila iscritti all'Odg, di cui 50 mila pubblicisti che hanno la tessera perché si sono iscritti a loro tempo e non producono più, 45 mila attivi di cui 20 mila hanno tutte le tutele, il contratto e stipendi dignitosi, e 25 mila “straccioni” che campano con una media di 7.000 euro l'anno, nemmeno 600 euro al mese. Gli articoli, anche su testate prestigiose, vengono pagati in alcuni casi poco più di un euro (lordo). Aggiungo: è estremamente grave che si lavori in queste condizioni, è una danno per tutto il Paese che la sua informazione sia costruita su queste basi. Esiste il rischio concreto che un giornalista mal pagato e senza diritti (ricordo che precari e collaboratori non hanno ammortizzatori sociali) sia ricattabile e accetti compromessi.

L'avvento del web ha migliorato o peggiorato l'offerta professionale per i giornalisti precari?

Non esistono ricerche sul tema, come tempistica posso dire che è dal 2009 che tutto è decisamente peggiorato. La crisi finanziaria mondiale ha colpito: ci sono state riduzioni dei compensi e tagli agli spazi in pagina da offrire ai collaboratori.

Va meglio negli States dove, ad esempio, un giornalista può offrirsi di fare un'inchiesta su un tema caro ai lettori che danno contributi volontari per sostenere tutte le spese. Si è provato a farlo anche da noi, ma per adesso non ha funzionato.

Per elaborare la Carta siete partiti da segnalazioni, casi specifici che hanno ispirato il vostro lavoro?

Per elaborare la Carta siamo partiti da storie personali: a promuoverla sono stati i free lance e precari che ricoprono ruoli nel Gruppo osservatorio precariato dell'Ordine nazionale e nella Commissione nazionale Lavoro autonomo del sindacato Fnsi, a scriverla le centinaia di colleghi che si sono visti fisicamente a Firenze in una apposita convention e che si sono raccolti on line. Questo è importante: è il primo prodotto concreto che viene da quel movimento spontaneo nato un paio di anni fa, in Emilia come in Campania, Veneto, Friuli - ora anche Toscana, Roma e Abruzzo - di giornalisti che si sono autorganizzati, si sono fatti eleggere nelle loro istituzioni (Odg e sindacato, che hanno avuto elezioni in questi anni. Ora tocca all'Inpgi) e stanno lavorando in prima persona.

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