• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Il futuro del Venezuela

Il futuro del Venezuela

Scenari post-elettorali dopo la vittoria di Nicolás Maduro, successore designato da Hugo Chávez alla guida della rivoluzione bolivariana

Occorre raccogliere alcune considerazioni post elettorali dopo la vittoria alle presidenziali di Nicolas Maduro, successore designato di Hugo Chávez, il presidente scomparso lo scorso 5 marzo. L’ex autista di bus (ma anche ex Ministro degli Esteri, sindacalista e presidente del parlamento) ha battuto con poco più di un punto e mezzo di distacco (circa 235mila voti) lo sfidante conservatore, il quarantenne Henrique Capriles.

Maduro ha ottenuto il 50,66% dei suffragi (il 7 ottobre scorso Chávez era arrivato al 55,2% contro il 44,1% dello stesso Capriles) e Capriles il 49,07%. L’affluenza alle urne è scesa di 3 punti rispetto al voto di ottobre 2012 in cui era stata molto alta superando l’81% degli aventi diritto.

L’opposizione si avvicina, ma non vince e chiede un nuovo conteggio di tutti i voti. Maduro, anche se lontano dal tanto propagandato obiettivo dei 10 milioni di voti (ne ha presi 7 milioni e mezzo), è sicuro della vittoria ed ha accettato una verifica. Intanto, già la sera del 14 aprile, ha proferito il suo primo discorso come virtuale presidente del Venezuela rilanciando il discorso bolivariano e il Socialismo del secolo XXI in totale continuità con la visione di Hugo Chávez.

Nonostante il sistema elettorale venezuelano sia considerato sicuro e “blindato” da eventuali brogli anche dagli osservatori internazionali, ci si attendeva una richiesta di verifica da parte di Capriles (specialmente se il distacco tra i due contendenti non avesse superato il 5% come in effetti è stato) come parte di un esercizio democratico legittimo, ma anche (e soprattutto) come prima azione di un’opposizione che per tutta la campagna elettorale ha ripetuto lo slogan ”Maduro NON è Chávez”, che comincia a logorare il consenso del blocco governativo e vuole sfruttare le sue divisioni interne.

La situazione del paese non è facile in questo momento. Ci sono colli di bottiglia nella distribuzione di alcuni beni di prima necessità, così come nelle forniture di elettricità e acqua ed è un problema che attanaglia da tempo la popolazione. Stesso discorso per gli indici di criminalità che non sono scesi come hanno fatto, al contrario, la povertà, la miseria e le disuguaglianze sociali. Ad ogni modo ho provato a tracciare un bilancio (non esaustivo) dei 14 anni di governo di Hugo Chávez a questo link cui rimando. Oggi l’inflazione s’attesta intorno al 40% e tra le prime azioni di governo è attesa una svalutazione del bolivar nei confronti del dollaro.

Oltre alle questioni economiche, i nodi da sciogliere per il nuovo governo sono tanti nonostante la sua ampia maggioranza in parlamento (98 deputati del Partito Socialista Unito del Venezuela e del Partito Comunista contro i 64 della coalizione Unidad Democrática 3 di Monagas Patriota). Prima del voto si diceva che se Maduro avesse vinto con un margine ristretto, non avrebbe potuto governare. Non credo che questa idea sia corretta: la sua capacità di concludere “felicemente” (senza colpi di stato o crisi di ingovernabilità) il mandato di 6 anni (2013-2019) che il popolo gli ha consegnato e la tenuta della “rivoluzione boliviariana” in Venezuela e nei paesi alleati in America Latina dipende da altri fattori.

Dipende dalla relazione che Maduro sceglierà di mantenere con le forze armate e con il presidente del parlamento (l’assemblea nazionale), l’ex tenente, rispettato e influente nell’esercito venezuelano, Diosdado Cabello. La già consumata appropriazione del discorso chavista da parte di Maduro e l’aurea mitologica e carismatica dell’ex presidente-assente non saranno eterne e non gli garantiranno da sole, nel lungo periodo, la fedeltà dei settori castrensi e delle diverse anime del PSUV che lo sostengono in parlamento.

Infatti, Maduro, a differenza di Chávez e Cabello, non proviene dal mondo militare e dovrà conquistare i consensi di quella parte dell’esercito (circa il 60% delle forze armate) che non si considera legata allo scomparso leader boliviariano, oltre a mantenere quelli del restante 40% che, invece, è entrato nell’arena politica in diversi modi (per esempio, occupando i ministeri strategici che gestiscono la ricchezza petrolifera, ricoprendo incarichi nelle amministrazioni locali e negli organi di controllo economico e sociale) o comunque è passato da un processo di ideologizzazione.

Per esempio, 11 governatori di stati, sui 20 ottenuti nella tornata elettorale del 2012 dal partito di governo, sono in mano a ex militari (di cui 4 sono ex Ministri della Difesa). Inoltre le strutture militari sono quelle incaricate di gestire i sistemi assistenziali e di aiuto alla popolazione, specialmente la distribuzione di alimenti, istituiti dal chavismo. Il Plan Bolivar 2000 e le “missioni” sociali contro la povertà avevano avuto bisogno, solo per cominciare, di oltre 40mila militari e ad oggi la situazione non è cambiata.

Il mese scorso il Ministro della Difesa, Diego Molero, in piena campagna elettorale ha preso una posizione chiara in favore di Maduro invitando l’esercito a votare per lui mentre Capriles denunciava l’incostituzionalità delle sue dichiarazioni. Il controllo di questa situazione sarà strategico per Maduro durante il prossimo sessennio di governo (e lo sarebbe stato anche per Capriles se avesse vinto, ma con l’aggravante di avere un parlamento avverso).

In caso di crisi economiche, andamento altalenante del prezzo del petrolio, destabilizzazioni esterne favorite dall’opposizione e dagli Stati Uniti (come già visto in passato col golpe del 2002 e i ripetuti finanziamenti ai gruppi oppositori) Maduro avrà bisogno della fedeltà delle forze armate che lo stesso Chávez decise di reintrodurre fortemente nella vita politica del paese, ma che rischiano di diventare un boomerang per il suo delfino.

Per evitare il boomerang potrebbe servire anche una sistemata dei conti pubblici e delle variabili macroeconomiche che vada oltre una svalutazione congiunturale e scongiuri l’esplosione dello scontento popolare (e della classe media), pur mantenendo il modello attuale, il controllo statale delle risorse, l’uso della “leva petrolifera” e i programmi popolari che in qualche modo controllano un’ampia base di beneficiari. Il mantenimento del “modello” internamente e tramite le alleanze dell’Alba (Alleanza Bolivariana per le Americhe) e Unasur (Unione Nazioni Sudamericane) è un altro elemento di continuità che Maduro ha promesso di garantire, ma che dipenderà, oltre che dagli accordi politici e dall’azione dell’opposizione, dalla tenuta economica del sistema e dai prezzi del petrolio (il Venezuela è il paese con maggiori riserve al mondo di crudo).

D’altro canto non è da escludere che Cabello (ex commilitone di Chávez nel tentativo di golpe del 1992) che cominci a costruire la sua candidatura per le presidenziali del 2019 adombrando la figura di Maduro e mettendolo di fronte a un logorio progressivo che potrebbe, a sua volta, sfaldare la coalizione di governo a livello parlamentare e polarizzare i settori della “destra chavista”. Twt @FabrizioLorusso

PS. Aggiornamento. Nel frattempo (lunedì sera) Henrique Capriles dichiara di non riconoscere i risultati, chiede la sospensione dell’atto di proclamazione del nuovo presidente (definito “illegittimo”) e incita i suoi sostenitori a scendere in piazza questa sera alle 20 (ora di Caracas) per protestare allo stile “cacerolazo”, pentole alla mano… Finché non saranno ricontate tutte le schede elettorali, il voto non sarà riconosciuto. Quindi Capriles ha chiesto la revisione del processo elettorale al CNE (Consiglio Nazionale Elettorale).

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares