Messico: prima settimana di campagna elettorale
Entra nel vivo la campagna elttorale in Messico e si prospetta come la più grande della storia per le risorse investite e per i progetti di nazione contrapposti che si presentano. Nei sondaggi in testa il leader di morena (sinistra), Andres Manuel lopez Obrador, ma la possibile unione delle destre, per ora divise, potrebbe mettere fine alla posizione dominante di Obrador. I candidati promettono di lottare contro il femminicidio e la violenza. Sulle urne pesano anche l’eredità delle politiche neoliberali e la nuova minaccia che arriva da Trump.
Si è aperta in Messico la campagna per le elezioni del primo luglio, quando 88,3 milioni di aventi diritto, su un totale di 128 milioni di abitanti, eleggeranno il nuovo presidente, i membri delle due camere, 9 governatori e altri 2700 rappresentanti locali. L’elezione più ampia della storia per numero di votanti e cariche.
IN TESTA NEI SONDAGGI, con preferenze del 40%, c’è l’ex sindaco di Città del Messico, il sessantaquattrenne Andrés Manuel López Obrador, noto come Amlo, fondatore del partito di sinistra Morena (Movimiento de regeneración nacional) che ci prova per la terza volta dopo le sconfitte del 2006 e del 2012.
Morena ha l’appoggio di buona parte dell’intellighenzia progressista, anche se ha stabilito una polemica alleanza, chiamata Juntos Haremos Historia (Insieme faremo storia), con Encuentro Social (Pes), partito di destra legato alle chiese evangeliche, e con il progressista Partido del Trabajo (Pt). Il programma della coalizione parte dalla denuncia di disuguaglianze e povertà e propone un maggior intervento statale, politiche di sviluppo e redistributive, tagli ai costi della politica, fermezza di fronte a Trump e lotta dura contro corruzione e impunità, «dando il buon esempio a partire dal presidente».
Amlo propone dunque un cambio di rotta, almeno in parte, rispetto alle politiche neoliberali, anche se su temi come l’aborto, la legalizzazione delle droghe e i matrimoni tra persone dello stesso sesso non si esprime, rimandando la decisione a futuri referendum. «Non accettiamo il muro né la militarizzazione, i problemi non si risolvono così», ha detto Obrador in risposta all’ordine di Trump d’inviare la Guardia nazionale alla frontiera col Messico, proponendo anche che i consolati messicani siano messi al servizio dei migranti.
Con circa il il 30% nei sondaggi Ricardo Anaya, 39 anni, è il candidato che, malgrado sia accusato di corruzione e al centro di scandali sull’origine del suo enorme patrimonio, pretende di svecchiare l’immagine del partito conservatore Acción Nacional (Pan) con una coalizione molto eterogenea: Por México al Frente (Per il Messico avanti). L’alleanza riunisce il Pan, tradizionalista nel sociale e neoliberista in economia, e due partiti di centrosinistra: quello della Revolución Democrática (Prd), da vent’anni al governo nella capitale ma in calo nei sondaggi un po’ ovunque, e Movimiento Ciudadano (Mc).
I partiti Mc e Prd, che prima sostenevano López Obrador, durante l’amministrazione attuale hanno votato molte delle riforme strutturali neoliberiste del presidente Peña e hanno sancito un patto con il Pan, vicino alle frange più reazionarie della Chiesa. «Le donne messicane saranno il centro della mia campagna e delle mie proposte per risolvere i grandi problemi nazionali», ha affermato, tuttavia, Anaya, dopo aver ribadito la sua proposta di reddito universale e la ricerca di una relazione di «responsabilità condivisa» con gli Usa, malgrado “l’atto ostile” di inviare truppe al confine.
AL TERZO POSTO col 20% c’è il 49 enne governativo José Antonio Meade, un tecnico scelto dal Partido Revolucionario Institucional (Pri), e sostenuto dai partiti della coalizione Todos por México (Tutti per il Messico), Nueva Alianza (Panal) e il Verde Ecologista (Pvem). Peña punta su Meade perché è percepito come un funzionario onesto, un padre di famiglia estraneo sia all’apparato del Pri, partito che è stato al potere in Messico per 71 anni nel secolo XX, e allo stesso governo, screditato da scandali di corruzione, dai nessi narco-politici, dagli omicidi in aumento e dal caso irrisolto dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa.
In realtà Meade è un economista di Yale, propone continuità con il rigorismo finanziario e ha avuto incarichi politici sia nel governo Peña, ai dicasteri delle finanze, degli esteri e dello sviluppo, che nel precedente di Calderón, come Ministro delle finanze e dell’energia. «La priorità sono le donne, che vivano senza paura e senza femminicidi», ha detto a Meade, aprendo la campagna, e ha annunciato il suo impegno contro la corruzione e per un governo di «gente decente».
SOLA CANDIDATA INDIPENDENTE che, malgrado le denunce di irregolarità nella raccolta delle firme, ha ottenuto il via libera dell’Istituto nazionale elettorale, è Margarita Zavala, moglie dell’ex presidente Calderón, che raccoglie poco più del 5% nei sondaggi. Non ce l’ha fatta invece, la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Ezln, María de Jesús Patricio, che ha mostrato come sia possibile fare campagna dal basso con pochi mezzi, ma anche che il sistema elettorale è escludente per i popoli indigeni e rurali. «La violenza, la corruzione e le disuguaglianze saranno i tre assi della campagna, secondo il politologo Sergio Aguayo, «e si profilano due blocchi: Amlo da una parte e gli altri tre dall’altra, come diverse sfumature della destra».
Su Zavala aleggia l’ombra del marito, che è ricordato per l’uso dell’esercito nella “guerra al narcotraffico” e i 100 mila omicidi nel suo mandato. La violenza non risparmia i processi elettorali: da dicembre sono stati 62 i politici e candidati assassinati. La militarizzazione della sicurezza ha peggiorato la situazione, favorito gli espropri, il land grabbing delle multinazionali e la repressione delle proteste, ma né Zavala, né Meade o Anaya prospettano una modifica della strategia attuale, mentre López Obrador propone un cambiamento basato sulla prevenzione, le pene alternative alla prigione e un coordinamento più centralizzato della sicurezza.
Fabrizio Lorusso @fabriziolorusso
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