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Il fraintendimento dei valori

Da qualche tempo si assiste, su tutti i mezzi d’informazione, a discussioni talvolta faziose e accanite sul significato di termini come laicismo e identità; si dibatte su quale debba essere il rapporto tra laici e cattolici, tra cristiani e socialisti, tra ex-comunisti e liberali, tra stato ed economia di mercato, sulle libertà civili e i vincoli morali nella vita quotidiana.

 

Tutte discussioni che hanno la pretesa di dimostrare la necessità o l’utilità politica di un incontro tra cattolici e laico-socialisti, e invece rischiano di mandare in frantumi questa collaborazione sempre precaria, perché riaccendono continuamente il dibattito sulle caratteristiche delle due “culture”, di cui si cercano i valori distintivi o comuni, ma con spirito di parte e con distinguo e sottigliezze, che minano spesso la credibilità degli stessi contendenti.

Si dimentica che la vera cultura non sopporta aggettivi che ne limitino il vero significato, che non può essere definita cattolica o laico-socialista, ma è sforzo di elevazione civile e morale degli individui e delle comunità.

Invece, in un crescendo sempre più chiassoso e stucchevole, dobbiamo sorbirci affermazioni del tipo che il Cristianesimo può trovare “la dimensione della realizzazione storica”, ed il socialismo “l’uso della categoria del futuro” e via discorrendo con simili amenità.

Ma il Cristianesimo è una filosofia, una concezione del mondo, nobile ed utile come ogni vera filosofia, perché recante in sé, sin dal suo primo apparire, il germe fecondo dell’idea di libertà, intesa come l’ideale morale dell’umanità, e quindi intollerante di realizzazioni storiche di sorta, di cristallizzazioni in dottrine religiose, politiche e sociali, fatte di dogmi, regole fisse e astute casistiche.

Ogni tentativo di realizzazione storica segnerebbe la morte del vero sentimento cristiano, che alberga solo nelle menti e nei cuori umani, dove ha la possibilità di ripararsi e rifiorire, e non in evangeli e libri di dottrina, dove rimane lettera morta o diventa talvolta pericoloso “instrumentum regni”.

Non si può pensare di confondere cristianesimo e cattolicesimo, ossia filosofia ed istituzioni temporali, senza causare ambigue conseguenze pratiche. Così come non si può concepire l’identificazione di una filosofia, sia pure la più realistica, con una ben definita forma statuale, senza cadere nell’utopia.

Lo stesso dicasi del socialismo, che, come interpretazione della realtà, ipotizza la creazione di una società perennemente giusta; ma come prassi politica, che mira alla realizzazione di quell’idea di società giusta, spesso ha invece prodotto esempi di dissesto morale e materiale, di repressione poliziesca, di libertà conculcate, di incredibili tragedie umane.

Nella “Storia d’Europa nel secolo XIX” Benedetto Croce ha scritto che il socialismo, ove prescinda dall’utopia di redenzione dell’umanità, per mezzo di un rivolgimento puramente economico e materialistico, è un movimento di ascensione di quegli strati sociali, di quelle moltitudini, rimaste piuttosto passive ai margini della vita pubblica; è “realtà formatrice di nuovi cittadini e rinnovatrice della classe dirigente, azione non diversa da ogni altra di umano avanzamento, da ogni altra opera etico-politica, pertinente al mondo della libertà. Socialismo senza libertà, o non attuato mercè la libertà, non è vero socialismo”.

Concludendo, la sconfitta della nostra classe politica, di destra o di sinistra, è culturale, è l’incapacità d’intendere la realtà come sintesi dialettica di contenuto e forma, teoria e pratica, senza che l’un termine della sintesi possa identificarsi con l’altro. Teoria e pratica, pensiero ed azione possono influenzarsi e prepararsi a vicenda ma non identificarsi, generando confusione e scetticismo.

Insomma i valori ideali sono patrimonio universale umano, cioè di tutti; i programmi politici, culturali economici costituiscono, invece, l’identità, il modo di essere di istituzioni, partiti, associazioni varie, siano esse laiche o religiose.

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