Il federalismo al di là della Lega

Come scrive Alexander Stille nel suo blog su Repubblica (7 aprile 2012), "nonostante la volgarità della sua retorica antimeridionale, Bossi ha messo il dito su una piaga vera: l'eccessiva centralizzazione dello Stato italiano e la tendenza di uno stato invasivo e predatore di soffocare le migliori energie del paese".
Il paradosso più clamoroso, infatti, è che proprio la Lega costituisca, oggi, il più grande impedimento al cambiamento dell'assetto geopolitico di questa nazione, rendendo pressoché impossibile la realizzazione di quell'obiettivo tanto desiderato, con cui da anni si assicura i voti.
Radicati nei loro limiti xenofobi e accecati dal delirio di onnipotenza - che trasforma in stato ciò che neppure esiste - i leghisti non sono in grado di osservare quel che accade al di là del Po, precludendosi ogni possibilità di dialogo con i (sempre più crescenti) movimenti autonomisti e indipendentisti, che desiderano porre fine all'unificazione fittizia di questo paese, per ragioni che vanno ben oltre gli slogan populisti finalizzati ad acchiappare poltrone nella tanto odiata "Roma ladrona".
In questo modo, non si limitano a risultare essi stessi poco credibili, ma vanificano le battaglie di chi è consapevole che solo attraverso il decentramento nella gestione pubblica e la valorizzazione delle diversità - imprigionate in un'unità tanto decantata e mai veramente realizzata - l'Italia può, forse, sperare in un reale sviluppo.
La Lega non è soltanto venuta meno alle sue promesse elettorali, ma ha intriso il federalismo di concetti che non gli appartengono, riducendo un modello politico (di successo in molti paesi del mondo) a sinonimo di inciviltà, razzismo e intolleranza.
Il vero dramma, dunque, è che proprio quell'ideale passaggio dalla democrazia federale auspicata da Carlo Cattaneo al dito medio di Umberto Bossi, ha determinato l'impossibilità di attuare la conversione di questo paese da Repubblica Parlamentare, figlia di un referendum discutibile, a Repubblica Federale, prodotto di un processo di consapevolezza e crescita di uno stato e dell'autodeterminazione delle diverse nazioni (o regioni) che lo compongono.
Ciò che gli elettori leghisti faticano a comprendere, quindi, è il fatto che il loro desiderio più grande sia reso inattuabile proprio dal partito che sostengono e dall'aver reso difficile parlare di federalismo, senza essere immediatamente accostati ai beceri sentimenti dei suoi maggiori promotori.
Questo articolo è stato pubblicato quiLasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox