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Il calciatore palestinese Mahmoud Sarsak sta morendo, il mondo del calcio è indifferente

Il calciatore palestinese, detenuto dalle autorità israeliane dal giugno del 2009, si sta lasciando morire di fame in segno di protesta verso la detenzione illegale.

Mahmoud Sarsak è un calciatore. Non è certo famoso come i suoi colleghi occidentali, non è Messi né CR7 e la sua squadra non gioca gli Europei, né la Champions League.
 
La partita di Sarsak, 25 anni palestinese, è di quelle importanti: è davvero la partita della vita, senza beceri riferimenti a qualcosa che si gioca su un campo di calcio, rincorrendo una palla di cuoio in mutande.
Sarsak pratica lo sciopero della fame da quasi novanta giorni. La maggior parte di noi inizia a dare segni di squilibrio se non ingerisce nulla per novanta minuti, ma l’ideale di Sarsak è un ideale di giustizia profonda, di legalità, di certezza del diritto che in Israele è sempre più un concetto astratto, soprattutto per i palestinesi. Dal giorno del suo arresto, il calciatore originario della striscia di Gaza, non ha potuto incontrare la famiglia né conoscere il motivo della sua detenzione.
 
Arrestato mentre raggiungeva la sua squadra, per disputare una partita in Cisgiordania, Sarsak ha iniziato lo sciopero della fame per puntare i riflettori su una nazione martoriata e non riconosciuta, che vede nel calcio una possibilità di riscatto e di riconoscimento internazionale. Aveva il sogno di vestire la maglia della Palestina, Mahmoud, una trentina di kg fa, quando era in grado di ambire ad un posto nell’undici titolare del suo paese.

Adesso quel tempo è solo un ricordo: l’assurda legislazione israeliana permette di sottoporre chicchessia ad un regime di “carcerazione amministrativa” se sussistono sospetti di affiliazione a gruppi eversivi. Ovviamente il sospetto è da interpretare in maniera estensiva, comprendendovi anche il voler attraversare il varco di Erez per andare a giocare a pallone.
 
L’ennesima assurdità dello stato di Israele, che non assicura ai detenuti in regime di carcerazione amministrativa alcuna tutela giuridica, e ne riduce quasi totalmente i diritti umani.
 
Anche Anat Litvin, portavoce dell’organizzazione dei medici israeliani in difesa dei diritti umani, si è detto molto preoccupato per le condizioni di salute del detenuto, che potrebbero precipitare da un momento all’altro senza. Difficilmente le autorità israeliane disporranno un trattamento sanitario per salvare la vita a chi è stato ingiustamente incarcerato tre anni fa, senza conoscere i capi di imputazione. Una palese violazione dei diritti umani, che non differenzia poi tanto Israele da tanti altri paesi che vengono sanzionati duramente dalla comunità internazionale.

Tutto questo accade nel silenzio dei media, troppo indaffarati a raccontare dei gay del mondo del calcio, o degli svedesi che si prendono a pallonate sulle chiappe.

The show must go on. E speriamo che anche per la vita di Mahmoud non si spengano le luci dei riflettori.

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