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Il berlusconismo e la sinistra

Il motivo principale per cui la sinistra italiana, a 16 anni dalla discesa in campo di Berlusconi, non è ancora riuscita a sconfiggerlo è che i suoi dirigenti conoscono Berlusconi ma non hanno ancora compreso l’essenza del berlusconismo.

Il berlusconismo non è una teoria politica in senso stretto; non descrive nessuna situazione sociale da cambiare, non si pone obbiettivi collettivi: il berlusconismo è una metodologia della conquista e del mantenimento del potere a fini esclusivamente personali, sfruttando un potere mediatico anomalo per ottenere consenso tramite un linguaggio demagogio e populista.

Questo in pochi sembrano capirlo: più volte durante una discussione con amici (anche non di destra) ho sentito frasi del tipo “Berlusconi sicuramente non è un santo, ma se ha il seguito che ha qualcosa di buono l’avrà pur fatto”. Chi afferma questo non tiene in considerazione lo strapotere comunicativo di cui gode il premier, grazie al quale egli ha letteralmente allevato un’intera generazione di italiani.

Tra i cittadini più chiaramente identificabili con la sinistra è diffusa un’altra convinzione, altrettanto curiosa. La forza di Berlusconi sarebbe innanzitutto culturale, perché egli rappresenterebbe tutti i vizi e i difetti degli italiani e quindi costituirebbe il leader naturale per il nostro paese, quello che gli italiani si meritano in quanto italiani. C’è addirittura gente che sostiene una predisposizione tutta italiana al populismo e alla dittatura. Il tentativo di instaurare una corrispondenza biunivoca tra cultura italiana e Berlusconi è il segnale che la sinistra ha rinunciato a comprendere il fenomeno che deve affrontare e si è rifugiata nello sterile snobismo radical-chic che da tempo la contraddistingue.

Dall’incomprensione del belrusconismo deriva un’altra opinione molto diffusa a sinistra, secondo la quale Berlusconi va contrastato non solo perché sfrutta le sue aziende e il potere politico delegatogli dai cittadini per fini personali, ma perché sarebbe il simbolo della globalizzazione e del neo-liberismo. Quest’accusa non fa che confermare la straordinaria capacità di Berlusconi di far fessi non soltanto i suoi telespettatori, ma anche l’opposizione, molti intellettuali e gran parte della stampa. Paradossalmente la balla più sfacciata ed inverosimile tra tutte quelle che dice è anche quella a cui forse più persone credono: il suo presunto liberalismo. Sono anni che le parole “liberismo”, “libertà”, “liberali” vengono associate al PdL e a Berlusconi anche da intellettuali e commentatori di sinistra.

E' liberista chi crede che lo Stato si debba fare garante del corretto funzionamento del mercato concorrenziale; è liberale chi pensa che lo Stato non debba intervenire nell’economia, lasciando i mercati liberi di autoregolarsi. Ciò che a mio parere rende nettamente diverse queste due definizioni, da molti filosofi politici intese invece come sinonimi, è il mercato concorrenziale, che nella pratica è quasi del tutto assente. L’estrema rarità del mercato concorrenziale nella vita economica emana fa si che, nella maggior parte dei casi, lasciare un mercato libero significa consentire che vi venga raggiunto un equilibrio non concorrenziale (oligopolio, monopolio, ecc.). La teoria economica ha dimostrato che il sistema concorrenziale è quello socialmente desiderabile, perché il surplus totale che si ottiene è maggiore di quello ottenibile dagli altri. Gli altri sistemi sono al più desiderabili individualmente (es. il monopolio per il monopolista). Dunque chi ottiene più vantaggi in un mercato non concorrenziale che in uno concorrenziale (i capitalisti) cercherà di impedire che lo Stato imponga la concorrenza tra le imprese.

Berlusconi controlla i 2/3 dei maggiori canali televisivi nazionali, possiede una squadra di calcio, la più grande casa cinematografica italiana, la più importante casa editrice, una banca di rilevanza nazionale, un quotidiano ad alta tiratura, il secondo settimanale d’informazione, ha costruito due quartieri ad est di Milano e possedeva una catena di supermercati.

Pensare che un uomo che vanta posizioni così importanti in molti settori dell’economia italiana possa veramente essere liberale (cioè, in sostanza, mantenere separate la sfera economica e quella politica) nella sua condotta politica è da pazzi. Se Berlusconi, con gli interessi che ha, fosse un liberale, o addirittura un liberista, sarebbe più che altro un ingenuo. Il Presidente del Consiglio vive sul conflitto d’interessi: senza la compresenza di potere politico ed economico sarebbe in galera già da un pezzo.

Per questi motivi Berlusconi non può essere liberale, e tantomeno liberista; ma la sinistra non se ne accorge, o fa finta di non accorgersene, e si lascia tranquillamente accusare di totalitarismo da un monopolista con cattive amicizie e una strana concezione del potere.

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