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L’Unità in crisi: ma il PD non sta meglio

In questi giorni sta facendo discutere l’abbandono della direzione de L’Unità da parte di Concita De Gregorio. Molti all’interno del PD criticano la scelta dell’editore Soru, probabilmente ispirata dalla volontà di Bersani di sostituire Concita, arrivata all’Unità sotto gli auspici di Veltroni, con un direttore più allineato alla corrente dalemiana che attualmente domina nel partito.

In un articolo uscito su iMille, Cristiana Alicata critica Bersani per quella che considera “la cosa più berlusconiana che vedo fare al PD (ex DS, exPDS, exPCI) da quando sono al mondo”. Potrei anche essere d’accordo con lei, ma allo stesso tempo mi pare che l’articolo affronti solo un problema, evitando di toccare quello a mio avviso più importante: l’Unità vende sempre di meno ed incide in misura sempre minore sul dibattito pubblico. Così scrive Alicata:

Concita è una delle penne più condivise sul WEB. Non porta soldi, certo. Porta consenso, perché comunque la gente il nostro popolo – quello fuori dalle dinamiche che capiamo solo noi, la identifica ancora con il PD l’Unità. Concita è invitata in tv a parlare e quando parla tutti la considerano una delle voci del PD. Gente come Concita tiene unito al PD quel pezzo border line che riesce a dialogare con i movimenti, con gli incazzati, con le donne, con i giovani, con i gay. Insomma con quel pezzo non rappresentato dal partito adeguatamente e che però rappresenta la complessità di una società moderna. Concita è stata un punto di riferimento per tutti coloro che credono ancora che questo partito possa migliorare e quindi ha contribuito a farlo votare. Concita è, doveva essere, l’altra faccia di Bersani. I due volti, vivendo contemporaneamente, erano l’esercizio di gestione interna e di dialogo con l’esterno. Organizzazione e comunicazione. Tradizione e innovazione. Declinare più fortemente la convivenza di questi due aspetti era la direzione da prendere adesso.

Ammesso e non concesso che l’Unità, sotto la direzione De Gregorio, abbia ottenuto un grande seguito sul Web, le vendite dell’edizione cartacea negli ultimi anni sono crollate a poco più di 50.000 copie e attualmente il quotidiano sopravvive solo grazie all’abbondante filone dei finanziamenti pubblici (più di 6 milioni di euro nel 2009). Le facce del problema son due: una è tecnologica, l’altra è politica.

L’Unità, analogamente al resto della stampa italiana, è in difficoltà perché non ha il coraggio di trasferirsi definitivamente dal cartaceo all’online. Le recenti esperienze di Lettera43 e Linkiesta mostrano che fare un giornale senza dipendere dal cartaceo è economicamente conveniente e garantisce enormi prospettive di sviluppo e diffusione. Basta decidersi a fare il grande passo. Da una parte c’è la possibilità di intraprendere un percorso di modernizzazione e ristrutturazione; dall’altra parte l’unica prospettiva realistica è ridursi come il Manifesto, Liberazione e simili: giornali che vendono poche migliaia di copie, non incidono affatto sulla formazione dell’opinione pubblica ed hanno l’unica funzione di riproporre idee stantie bocciate dalla Storia e dai cittadini.

E' chiaro che non basta decidere come diffondere le proprie opinioni se poi la politica del PD è quella di evitare che queste opinioni si confrontino. Perché tutta la questione, in realtà, si riduce a questo: ogni dibattito, ogni discussione non fine a sè stessa si conclude con l’affermazione di un punto di vista sull’altro. Cosa di cui il PD ha sempre avuto paura: ecco perché siamo passati dal “maanchismo” veltroniano alla strategia delle grandi alleanze che Bersani sembra voler portare avanti. Perché nessuno all’interno del partito vuole aprire un dibattito costruttivo volto a rispondere a tre domande fondamentali: chi siamo? Cosa vogliamo? Come vogliamo realizzarlo?

Queste risposte devono creare qualcosa di nuovo, non riportarci alle vecchie ideologie ormai fallimentari (dal postcomunismo al cattolicesimo popolare). Il punto centrale, insomma, non è quello della rilevanza dell’Unità come luogo di dibattito della sinistra italiana, ma è l’esistenza stessa di questo dibattito. Io non lo vedo, voi?

Lorenzo Tondi

 
 
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