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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Il ‘Tokyo Dageki Dan’ porta l’entusiasmo a Fuchu

Il ‘Tokyo Dageki Dan’ porta l’entusiasmo a Fuchu

Con la puntualità tipica che è una delle tante doti che contraddistinguono la società giapponese, l’ottetto ‘Tokyo Dageki Dan’ è ritornato ad esibirsi, a due anni esatti, in uno dei comodi e acusticamente felici, auditorium del teatro “Fuchu no mori”, nel comune di Fuchu, che concorre a formare l’immensa metropoli di Tokyo.

È sempre piacevole immergersi nelle diverse tonalità timbriche dei tamburi giapponesi artigianali. Anche in questa occasione il concerto si è sviluppato in due tempi - il primo di 43 minuti, il secondo di 52 - per una durata totale, che ha superato di cinque minuti quella precedente.

Nuovamente dieci brani in scaletta, sette dei quali facevano parte anche del repertorio della precedente esibizione.

È una gioia per gli occhi e per le orecchie assistere dal vivo a simili Performance. Si alternano tamburi (“Taiko”, lemma che diventa “Daiko” per facilità di pronuncia) di dimensioni e forme diverse : quelli a barile e quelli le cui pelli sono tese mediante delle spesse corde.

Oltre ai tamburi compaiono una coppia di piatti e, in uno tra i brani più belli, “Kangetsu”, ‘guardare la luna’, un flauto ed una serie di gong e simili, appesi a strutture metalliche. L’introduzione spetta al flauto solo. Il protagonista è Murayama Jiro, nato a Yokohama nel 1968, l’unico membro sopravvissuto della formazione iniziale, costituitasi nel 1995.

È un tema melodico pieno di tristezza. È l’estate che se ne va, portando con sè il calore, mentre arriva, inesorabile, il freddo, annunciato dall’autunno. Intanto che Murayama si esibisce, silenziosamente vengono portati e collocati sul palco sei tamburi, cinque in primo piano, il sesto l’O-Daiko (“grande tamburo”), dietro di loro, sostenuto da un maestoso piedistallo. Il flauto si dilegua nell’oscurità. Affiorano sempre più presenti i suoni dei tamburi, con numerose sincopazioni e un repertorio di rullate e di stacchi effettuati con estrema precisione. Accanto ai tamburi operano due coppie di Gong di dimensioni medie, dal suono profondo e una serie di similgong di piccole dimensioni, i quali, suonati delicatamente, creano una soave melodia.

Impressiona anche questa volta, il pezzo per un gigantesco O-Daiko, suonato da due percussionisti, i quali, anche se impossibilitati a vedersi, perché coperti dalla mole dello strumento, interagiscono senza sbagliare un colpo, ognuno a far da base a turno per il solismo dell’altro. I musicisti sono visibilmente provati dallo sforzo fisico, ciò non ostante mettono in evidenza una delle caratteristiche nel suonare i tamburi tradizionali (“Wa-Daiko”) : oltre alla tecnica è importante la posizione di chi esegue rispetto allo strumento e la gestualità nel dirigere i colpi.

Spettacolare, nel secondo tempo, ”Rin”, ‘Cerchio. Due soli musicisti percuotono un piccolo tamburo a barile, improvvisando danze, passando ognuno da una pelle all’altra, incrociandosi, e dando vita a torrenti sonori ad alta velocità ed intensità.

Poiché tutti meritano l’encomio in egual misura, mi sembra giusto concludere il pezzo elencandone i nomi.

Detto del leader, al flauto orizzontale tradizionale giapponese in legno, “Shinobue” e, in un paio di occasioni, anche alle percussioni, hanno suonato Tagawa Tomofuni, Yokoyama Ryosuke, Sato Akihiro, Hasegawa Yo, Fujimoto Kyohei, Tsuyuki Kazuhiro, Kato Takuya.

Una nota circa il pubblico. Meno presenze dello scorso anno, non ostante la giornata non piovosa, meno giovani. La maggioranza spetta a persone di mezza età, maschi e femmine, con quest’ultime in leggera prevalenza.

 

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