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Il Premier "scenderà da cavallo"?

"Durerò anche questa volta cinque anni grazie alla mia autorevolezza''. (Dichiarazione di Silvio Berlusconi al primo congresso del Movimento di Responsabilità Nazionale, neonata formazione politica guidata da Domenico Scilipoti)

Sono tre i fondamenti su cui Il Grande Inquisitore di Fëdor Dostoevskij basa il suo rapporto di signoria sull’umanità, e precisamente il miracolo, il mistero e l’autorità. Guardando le cose dal punto di vista del Premier, il miracolo non è molto alla sua portata: certamente un tempo poteva vantarsi di una qualche attitudine alla moltiplicazione dei denari, ma oggi, dopo la sentenza sul lodo Mondadori, vede molto appannata questa sua qualità.

Quanto al mistero, dopo l’elefantiaca mole di intercettazioni che lo vedono protagonista, proprio non è il caso di parlarne. Resta dunque l’autorità, da lui prontamente reclamata per ritardare al massimo il momento di “scendere da cavallo” in occasione del primo congresso della neonata formazione politica a guida di Domenico Scilipoti.

A dire il vero questo richiamo appare eccessivo, nel senso che le regole sulla formazione delle Istituzioni elettive, dopo il porcellum, sono conformate per consentire grande stabilità all’esecutivo. Infatti i soli che possono far “scendere da cavallo” il Premier sono i parlamentari e, in tal caso, senatori e deputati rischierebbero di "scendere da cavallo” anche loro insieme a lui.

Orbene, per restare in campo evangelico, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un componente della nostra classe dirigente decida, sua sponte, di “scendere da cavallo”; neanche per far “scendere da cavallo” anche l’odiato nemico politico dell’avversa fazione.

Questa regola del gioco ha introdotto nel sistema delle Istituzioni politiche di sfondo del Paese (governo centrale, governi regionali, governi provinciali e governi municipali) una straordinaria stabilità che, tutto sommato, non dispiace al cittadino dopo i decenni di Prima Repubblica, durante i quali correva la battuta che il governo era come il costume da bagno di certe formose signore, sempre in bilico e con tutti lì a tifare per la sua caduta. Oggi come oggi, c’è poco da sperare.

Il vero problema resta un altro, e precisamente l’annullamento, nella Seconda Repubblica, di ogni remota possibilità di rinnovamento della classe politica. Questa, al riparo del porcellum, celebra i suoi fasti gozzovigliando con i tanti privilegi, che da sola si è assegnata, e mira chiaramente ad attingere l’immortalità attaccata saldamente alle proprie poltrone.

Nessuna norma che stabilisca il divieto di partecipazione alle competizioni elettorali dopo un dato numero di successi, come, invece, accade ad esempio negli Stati Uniti.

Difficilmente questa classe politica e dirigente metterà all’ordine del giorno l’abolizione dei propri privilegi e l’accoglienza delle nuove generazioni nella politica. Sarebbe come se i tacchini aspettassero con ansia l’arrivo del Natale.

Cosa fare dinanzi a questo vero e proprio dilemma? Steve Jobs avrebbe detto che i cittadini del nostro Paese dovrebbero essere folli e dovrebbero essere affamati (affamati di democrazia, di libertà e di giustizia sociale); soprattutto folli, folli come lo studente cinese di piazza Tien’anmen, quello che inerme sfidava il carro armato della repressione.

Altrimenti, Il Grande Inquisitore è dietro l’angolo a pretendere obbedienza e rinunzia alla libertà per poter così continuare a “stare a cavallo” in eterno.

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