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Il Pdl e l’organizzazione di un partito

Come tutti sanno, nel Lazio e in Lombardia, le liste del Pdl non sono state registrate in tribunale e, pertanto, non possono partecipare (salvo salvataggio all’ultimo minuto) alle prossime elezioni amministrative. La storia sul come e il perché penso la sappiano tutti.

Il Pdl e l'organizzazione di un partito

Premetto che l’esclusione del maggior (attualmente) partito italiano significherebbe un ulteriore deterioramento della democrazia in Italia; chiunque vinca le elezioni nel Lazio e in Lombardia, si troverebbe a governare una regione dove, parte degli elettori, non si sono presentati alle urne o hanno dato il voto a partiti minori, non perché l’esclusione è avvenuta per brogli o perché "sfiduciati dalla politica", ma perché il "partito" a cui avrebbero dato il voto, non ha potuto presentarsi per errori burocratici, creando, così, una realtà sfalsata. Per ciò, il vincitore non potrà mai affermare di rappresentare la maggioranza e, di conseguenza, di governare in suo nome. Vincere le elezioni in questo modo non serve a niente e, comunque, non è democratico

La situazione che si è venuta a creare, a cui il centro destra imputa la responsabilità alla burocrazia ma che, in realtà, è imputabile unicamente alla mancanza di serietà del partito, pone un problema di fondo: se è vero che le regole vanno rispettate, è altrettanto vero che non devono servire ad escludere nessuno dalla competizione; spetta agli elettori selezionare, col proprio voto, i partiti in "gara".

Quello che è accaduto dovrebbe far riflettere sull’opportunità di rivedere la legge elettorale vigente anche in merito alla parte burocratica, la dove la regola potrebbe essere meno rigida affinché un errore non comprometta l’esito. Tutt’al più si potrebbero, invece della pena massima (l’esclusione), penalizzare chi sbaglia con multe, magari salate.

Quanto detto sopra non vuole giustificare errori che, sicuramente, sono stati commessi o per troppa leggerezza o per mancanza di organizzazione. Comportamenti, questi, che danno la giusta misura di quel che è un partito, in questo caso il Pdl.

La troppa leggerezza e la mancanza di organizzazione nascono, sia dalla certezza di vincere, tipica di chi crede di essere il più forte, sia dall’arroganza di chi crede di poter, comunque, manipolare gli eventi.

Il Pdl esiste ormai da 15 anni e dovrebbe aver aquisito l’esperienza e la conoscenza necessaria per tenere un comportamento responsabile nei confronti dei propri elettori, ma così non è.

Questo perché la sua essenza risiede nelle idee e capacità di una persona che, essendone il "capo" indiscusso, ha creato la dipendenza, da lui, dei componenti; dipendenza che impedisce il formarsi di un dibattito al suo interno necessarie ad organizzarlo. Tutti dipendono dal leader, lui solo ne è l’ideatore e il responsabile e a lui solo è demandato il compito proporre idee, pertanto, la sua incapacità diventa di tutti.

Un partito basato su questi presupposti, non sarà mai in grado di avere una coesione nazionale proprio per la mancanza di organizzazione; i fatti lo dimostrano chiaramente. Il problema grosso è che l’incapacità interna si riflette sulla politica del governo; il continuo richiamo al voto di fiducia, in parlamento, ne è la conseguenza. 
Anche il governo Prodi, formato da più partiti che non riuscivano a trovare una linea comune, ne pagò le conseguenze, in quel caso, però, si trattava, appunto, di più partiti. Nel caso del Pdl, il partito è unico.

Se il partito al governo non ha la necessaria coesione, o meglio, se la coesione deriva esclusivamente dalla sottomissione dei componenti al leader, è impossibile che riesca a fare una politica nel bene del paese senplicemente perché tutte le energie sono rivolte a soddisfare le esigenze del leader.

Tornando alle liste, non giova a nessuno la sua eslusione; gli stessi leader dell’opposizione si sino detti contrari; una vittoria a tavolino, anche se valorizzata da una sentenza legislativa, è cosa diversa, e comunque svalorizzata, da una vittoria sul campo.

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