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Il Decreto Penale ed il caso Dino Boffo

La vicenda giudiziaria del direttore del quotidiano Avvenire, attualmente al centro dell’attenzione dei media, ha avuto come esito nel 2004 la sua condanna al pagamento di una pena pecuniaria per un reato perseguibile d’ufficio, condanna emessa tramite Decreto Penale.

Sono tanti gli aspetti di questa vicenda che lasciano perplessi. Per prima cosa il suo essere divenuta di pubblico dominio dopo ben cinque anni ed in aperta reazione all’attività professionale svolta dal dottor Boffo, come se essa fosse il classico scheletro nell’armadio fatto saltar fuori all’improvviso.
 
A dire il vero sono trascorsi quasi 160 anni dalla reintroduzione nell’Italia post-napoleonica dei principi del modello processuale accusatorio francese (dopo i noti moti del ’48), caratterizzato da quattro grandi istituzioni: la procedura pubblica ed orale, la giuria e la libera difesa. Dunque la pubblicità è uno dei quattro pilastri su cui esso si fonda.
 
Il primo numero della rivista "L’eco dei tribunali" di Venezia, datato 4 agosto 1850, accoglie questo modello con le parole "questo sistema è il solo che raggiunga i tre supremi scopi d’ogni buon legislazione penale, vale a dire la sicura punizione del reo, la salvaguardia dell’innocente e la moralizzazione del popolo". Ed è certamente impossibile “moralizzare il popolo” attraverso il processo penale se non lo si informa compiutamente del suo contenuto.
 
Insomma, che l’esito di un procedimento penale possa andare a finire in un armadio di scheletri sembrerebbe impossibile; oppure, ancor oggi, qualcosa non funziona nell’introduzione nel nostro Paese del procedimento penale continentale, detto dagli addetti ai lavori di civil law (per contrapporlo a quello anglosassone detto di common law). A dire il vero esiste una fase del procedimento penale in cui è imposta la riservatezza, e cioè quella delle indagini: l’inquisito potrebbe cercare di alterarne l’esito. Ma anche essa non lo è in modo assoluto: è evidente che, acquisite e consolidate talune certezze, per lo stesso buon esito delle indagini sentire la versione dei fatti dell’imputato può diventare utile, anzi essenziale. Per questo motivo il Pubblico Ministero ha la facoltà di interrogarlo.
 
Comunque sia di ciò, la conclusione delle indagini fa finire ogni riservatezza: il processo sarà pubblico ed orale. Ma questo non sempre accade: con il Decreto Penale si passa direttamente dalle indagini alla sentenza. Occorre dire che questa procedura semplificata non è sempre applicabile: lo è per condanne sino ad un massimo di sei mesi di reclusione e la pena deve essere sempre trasformata in pena pecuniaria. Inoltre la parte lesa non ha diritto ad alcun indennizzo, salvo che il decreto penale sia opposto ed essa possa costituirsi nel processo penale, del tutto normale, che segue all’opposizione.
 
Sulla costituzionalità del Decreto Penale sono state sollevate più volte eccezioni presso la Corte Costituzionale, sempre respinte. Resta il dubbio che esso sia conforme all’art. 6 – Diritto ad un equo processo della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La stessa applicazione di principi di riservatezza sul contenuto delle indagini, che hanno portato all’emissione del Decreto Penale di condanna in nome del popolo italiano, come sta accadendo per il caso Dino Boffo, ne fanno una sorta di provvedimento anomalo ed in oggettivo contrasto con i principi fondamentali del procedimento penale.
 
Ma forse il nostro Paese non si abituerà mai alla trasparenza. Le vedete le truppe italiane in guerra accogliere al proprio interno giornalisti come quelli che l’esercito americano chiama embedded, ossia che dormono insieme ai soldati?
 
Ed ancora, nei casi in cui viene applicato il Decreto Penale, perché non è possibile che un giudice faccia una breve udienza, chieda all’imputato se si ritiene colpevole e, in caso di risposta positiva, si ritiri brevemente per scrivere un’immediata e pubblica sentenza? E’ proprio così difficile ed impegnativo?
 
Questo eviterebbe i casi come quello del dottor Dino Boffo ed i relativi mal di testa per la pubblica opinione, impossibilitata a formarsi correttamente ed al momento giusto, e soprattutto eviterebbe di generare scheletri di qualsivoglia tipo.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.174) 3 settembre 2009 12:25

    Il procedimento civile e penale è talmente "contorto" che l’Avvocato fa sempre la differenza. Lo sanno bene coloro che non hanno adeguate risorse economiche. Questo non basta a spostare il nocciolo dell’azione di "killeraggio" tentata contro il Direttore dell’Avvenire. Non è la solita schermaglia tra differenti testate giornalistiche. Colpirne uno per colpirne cento è usare la diffamazione er intimidire una intera categoria. Voci dentro l’eclissi è la sola valida risposta ai Lanci in caduta libera di una politica che ... segue => http://forum.wineuropa.it

  • Di sergio (---.---.---.230) 3 settembre 2009 23:26

    Chi e’ senza peccato scagli la prima pietra.
    Peccato pero’ che Dino Boffo la sua pietra l’abbia scagliata, eccome!
    Evidentemente pensava che i vari cardinali l’avrebbero sempre salvato da ogni forma di rappresaglia.
    Eccolo conciato per le feste.

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