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I sindacati della Transilvania: “i vostri imprenditori ci trattano come schiavi"

I lavoratori rumeni sperano in un ingaggio da parte di tedeschi e francesi.

Il capo del personale della manifattura tessile di proprietà italiana si è suicidata nei giorni scorsi lasciando scritto: “ Con gli italiani non si può lavorare, ci trattano come schiavi”
 

C’era una volta la Romania, terra ospitale per gli italiani, luogo di lavoro dove molte nostre aziende, soprattutto provenienti dal Nord-est e dalla dorsale adriatica della penisola, potevano investire attratte dal basso costo della manodopera e dalla fame di lavoro che attanagliava i lavoratori e le lavoratrici del luogo. Fu così che in molte lande della Moldavia romena, della Valacchia, la regione di Bucarest, e della Transilvania al posto degli obsoleti e dismessi mega- opifici dell’epoca comunista iniziarono a pullulare piccoli capannoni di proprietà di aziende provenienti dalla penisola. In poche parole il modello che pochi decenni fa aveva trasformato il Triveneto da zona economicamente depressa nella più ricca plaga industriale d’Italia aveva attecchito anche in Romania tanto che ormai il Banato, la regione attorno a Timisoara, veniva comunemente chiamata “l’ottava provincia del Veneto”. Tutto ciò avveniva quando la Romania era ancora un paese extra-comunitario. “Romeni brava gente e grandi lavoratori” dicevano del popolo danubiano gli italiani. Poi il primo gennaio 2007 ci fu l’ingresso di Bucarest nell’Unione europea e, complici alcuni gravissimi fatti di cronaca nera commessi da delinquenti romeni anche di etnia rom alla periferia di Roma, l’immagine del paese danubiano presso gli italiani cambiò radicalmente. Fu ordita in Italia, a tavolino, una volgare campagna di stampa che vide nella veste di protagonisti alcuni quotidiani del “belpaese” come La Stampa, allora diretta da quel Minzolini ora direttore del Tg1 Rai, Il Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, Libero, allora diretto dal noto Vittorio Feltri ancor oggi impegnato in feroci campagne denigratorie, ma anche giornali di sinistra quali L’Unità ed Il Riformista. A farne le spese innanzitutto gli immigrati romeni presenti in Italia, bollati indistintamente come appartenenti ad un popolo di stupratori, prostitute ed assassini, ma pure i tantissimi lavoratori romeni rimasti in patria ed ingaggiati da ditte italiane.

I nostri imprenditori infatti, pur se operanti sul suolo romeno, iniziarono ad apostrofare le loro operaie con insulti volgari quali “ meretrice romena o lavori bene per me e non ti lamenti o vai pure per la strada a battere il marciapiede” e così via. Tanto, pensavano con protervia, “le autorità romene non possono dirci nulla perché se ce ne andiamo questi ritornano a livelli di sviluppo africani”. I sindacati della Transilvania centrale invece si sono ribellati, dopo l’ennesimo suicidio di un’impiegata romena vessata dalla sua imprenditrice italiana, ed ora chiedono al governo di Bucarest un intervento forte. “Altro che Italia primo partner commerciale della Romania come ha chiesto il premier di Roma Berlusconi al nostro Primo Ministro. Voi siete schiavisti, volgari e razzisti. Preferiamo di gran lunga imprenditori tedeschi, francesi e spagnoli. Sono più seri e ligi sul lavoro”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso lo scorso diciotto settembre ad Abrud, paese della Transilvania centrale nella provincia di Alba Iulia famoso per le miniere d’oro d’epoca romana di Rosia Montana. Qui nella manifattura tessile il capo del personale Mihaela Truta si è tolta la vita lasciando scritto che era stanca dei continui soprusi della proprietaria italiana della fabbrica, la signora Brigida Guarisi.E’ una collega della donna morta suicida, Maria Coniag, a svelare alla stampa la storia : “ Non è certo la prima volta che le nostre operaie si tolgono al vita dopo indicibili soprusi patiti a causa dei capi italiani. Continui ammiccamenti a sfondo sessuale, richieste di prestazioni extra di una certa natura alle operaie più carine, insulti volgari continui come “ voi romene siete delle fannullone ma i soldi li volete per questo siete tutte prostitute”, costanti riduzioni dello stipendio, ci portano alla fine alla disperazione ed alla pazzia. Nelle fabbriche dirette da polacchi, tedeschi, spagnoli e francesi tutto ciò non accade. Perché?”. Nella manifattura tessile italiana di Abrud sino a tre anni fa non si lavorava poi tanto male, le operaie guadagnavano 270 Euro al mese raddoppiabili quasi con gli straordinari. Da quando la signora Guarisi ha rilevato l’opificio invece i turni di lavoro sono diventati massacranti, anche più di nove ore al giorno, le molestie ai danni delle lavoratrici non si contano più, gli straordinari sono stati aboliti, la paga mensile è scesa a novanta euro al mese. Purtroppo l’esempio della signora Guarisi è seguito da tantissimi altri imprenditori italiani e ciò porta ad un odio innato dei romeni verso tutti gli abitanti della penisola. Un’imprenditoria italiana da magliari, che sicuramente appanna l’immagine del nostro paese all’estero, purtroppo affianca tutti quei nostri imprenditori che invece in Romania hanno deciso di investire e si comportano seriamente, arrecando alla loro immagine un danno incalcolabile.  

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