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I ghiacci dei circoli polari sono destinati a sciogliersi

Anche assecondando le stime più ottimistiche sulle future emissioni di carbonio, le aree caratterizzate da zone periglaciali si ridurranno drammaticamente entro il 2050.

 di Giovanni De Benedictis 

Il declino delle regioni fredde a ridosso dei poli è inevitabile. La causa? Il cambiamento climatico. A dirlo sono i ricercatori degli atenei di Helsinki e di Exeter in uno studio pubblicato su Nature Communications.

Le cosiddette zone periglaciali – in cui spesso si presenta uno strato di terreno congelato noto come permafrost – costituiscono circa un quarto della superficie della terraferma e si trovano per lo più a latitudini e ad altitudini elevate. Sostenuti dall’Accademia di Finlandia e dalla UE, oltre che in collaborazione con l’Istituto meteorologico finlandese, i due gruppi di scienziati hanno esaminato i processi naturali causati dal gelo e dalla neve nelle suddette zone.

I risultati suggeriscono che, anche assecondando le stime più ottimistiche sulle future emissioni di carbonio, le aree caratterizzate da zone periglaciali si ridurranno drammaticamente entro il 2050 e “quasi scompariranno” entro il 2100.

Ciò avrebbe un considerevole impatto sia sui paesaggi che sulla biodiversità e potrebbe innescare “feedback” climatici, ovvero quei processi che possono amplificare o diminuire gli effetti del cambiamento climatico.

“I risultati suggeriscono che si possono prevedere profondi cambiamenti nelle attuali zone periglaciali indipendentemente dalle politiche di riduzione del cambiamento climatico”, spiega il dottor Juha Aalto dell’Università di Helsinki e dell’Istituto Meteorologico Finlandese. “Sfortunatamente sembra che molti dei processi guidati dal gelo che abbiamo studiato siano già al limite del clima in cui possono esistere”.

Gli scienziati hanno studiato quattro processi che si verificano in zone periglaciali, tra cui i siti di accumulo della neve e il “frost churning”, cioè la miscelazione di materiali causata da congelamento e scongelamento. “I nostri risultati prevedono un punto critico futuro nello svolgersi di questi processi, e predicono cambiamenti fondamentali nelle condizioni del suolo e nei relativi feedback atmosferici”, aggiunge Aalto.

“Il progetto ha utilizzato modelli ad alta risoluzione del clima e della superficie terrestre per dimostrare che i processi geologici e gli ecosistemi a elevate latitudini (nel profondo nord e sud) saranno radicalmente alterati da cambiamenti climatici nel corso di questo secolo” sottolinea il dottor Stephan Harrison del Penryn Campus – Università di Exeter, in Cornovaglia.

Anche a volersi basare sull’ottimistica valutazione RCP2.6 per le emissioni di carbonio future, i ricercatori prevedono una riduzione del 72% della zona periglaciale attuale nell’area dell’Europa settentrionale oggetto di studio.

Il professor Miska Luoto, dell’ateneo finlandese, fornisce ulteriori dettagli: “I cambiamenti previsti nei processi della superficie del terreno possono dare un feedback al sistema climatico regionale tramite alterazioni del ciclo del carbonio e della riflettanza della superficie del suolo (la luce riflessa dalla neve e dal ghiaccio) causata dall’aumento di vegetazione arbustiva nella tundra alpina”.

E conclude: “I nostri risultati indicano cambiamenti significativi nella vita delle piante del Nord Europa. Molte specie rare possono ricevere sostentamento solo in aree di intensa attività di gelo o di tardivi manti nevosi, in modo che la scomparsa di ambienti così unici ridurrà la biodiversità”.

In definitiva, secondo gli studiosi entro il 2100 le zone periglaciali esisteranno solo nelle regioni di alta montagna.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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