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I fermenti dei cattolici e la lezione ungherese di Montanelli

Non ha trovato estimatori la lezione di giornalismo di Indro Montanelli, inviato speciale a Budapest per raccontare la rivolta di un popolo contro l’Armata Rossa.

Allora il grande giornalista toscano non ha raccontato quello che i suoi lettori vagamente si aspettavano di leggere, anzi ha con puntiglio registrato i fatti sottolinenandone la fondamentale diversità, che vedeva in prima linea contro l’oppressore sovietico proprio le forze operaie ungheresi. Dalle nostre parti si preferisce la lezione di Bel Ami, il personaggio di Guy de Maupassant, che utilizzava il giornalismo per la sua formidabile “scalata sociale” e che si inventava di sana pianta reportage ed interviste, scrivendo, invece, quello che i lettori si aspettavano di vedere scritto.

Il vostro reporter si riferisce al Forum delle Associazioni Cattoliche riunitesi a Todi, che ha fatto balenare sui media la rinascita della Balena Bianca, ossia della Democrazia Cristiana o, in subordine, la nascita di un nuovo partito politico dei cattolici. E’ questo che fa audience nei lettori, l’ipotesi di rinascita di quel formidabile polo di potere politico, ma così non è affatto.

Il vostro reporter vorrebbe riportarvi al riguardo un passo dell’intervento di Luca Diotallevi, esponente di spicco del movimento delle Settimane Sociali, al seminario inaugurale del corso di Dottrina Sociale della Chiesa, tenutosi circa un anno orsono a Messina. Il professore Diotallevi è ricorso ad una analogia : se una finestra mostra un bel panorama agricolo che sollecita alla cura di una azienda agricola, la finestra è cosa diversa dal panorama ; dove la finestra è la CEI – Conferenza Episcopale Italiana ed il panorama è la società civile nazionale.

Insomma, malgrado il pruriginoso interesse per una riedizione della Democrazia Cristiana, i vescovi italiani hanno ben altro obiettivo, e precisamente la nascita di una nuova generazione di politici cattolici.

Occorre, però, notare che questo obiettivo non è certo facile da perseguire e ciò per l’anomalia italiana, che vede gravi ed insormontabili impedimenti al rinnovamento generazionale della classe politica. Il contesto italiano non consente la corretta formazione delle nuove classi dirigenti. Occorre capire perché questo accade e porvi rimedio.

Le istituzioni di sfondo della nostra comunità nazionale non hanno nelle loro procedure i meccanismi perché si attui con continuità il necessario rinnovamento della loro dirigenza e coloro che hanno la ventura di entrare a far parte di questa dirigenza ne approfittano per cercare di "restare a cavallo" per il maggior tempo possibile, inibendo alle nuove generazioni l’avvicendamento. Insomma non amano la nostra collettività, ma amano piuttosto se stessi e, di scendere da cavallo, proprio non vogliono sentirne parlare.

L’esempio più immediato è quello del Premier. Si è introdotta una legge elettorale con l’elezione diretta di fatto del Premier senza introdurre una normativa che limiti il numero di rielezioni come, invece, accade negli Stati Uniti; ed oggi abbiamo un premier, sempre lo stesso e da tanto lungo tempo, che non ha proprio nulla di nuovo da dire in politica, al punto da preferire di dedicarsi a certe altre pratiche che dire discutibili è un eufemismo.

Questo principio dell’avvicendamento dovrebbe diventare un “principio guida” sociale: ogni carica sociale dovrebbe avere una durata di mandato sufficiente a consentire a chi la occupa di svolgere il proprio programma politico, ma dovrebbe anche essere consentito un numero limitato di rielezioni possibili per dar modo alla generazione successiva di avvicendarsi.

E’ questo il rimedio da adottare. Esso è elementare. La difficoltà consiste nel convincere i tanti Berlusconi che occupano da decenni la scena politica ed istituzionale italiana, ad accettare che anche per loro deve venire il momento di scendere da cavallo. Su questo punto le ingiustizie della società italiana possono essere affrontate solamente scontrandosi con tutti costoro;

e si può anche decidere di non scontrarsi con tutti costoro, ma allora si perderebbe solo tempo nel perseguire il bene comune, obiettivo della CEI e del Cardinale Bagnasco.

Se si vuole riformare la società italiana introducendo quelle riforme strutturali, cui peraltro anche la Comunità Europea ci spinge, su questo punto occorre essere folli ed essere affamati, come diceva Steve Jobs, come lo era Indro Montanelli, reporter a Budapest.

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