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Hanno la pelle scura o gli occhi a mandorla, ma sono e vogliono sentirsi italiani

"Il fatto che non venga riconosciuta la cittadinanza ai bambini nati in Italia e figli di immigrati è una autentica follia, un'assurdità". A pronunciare parole così forti e accorate non poteva che essere il padre nobile della nostra Patria Giorgio Napolitano, come sempre sensibile ai nuovi temi civili e pronto a stigmatizzare quegli obbrobri sociali perpetuati dalla noncuranza delle istituzioni.

Per tornare con tanta perentorietà sull'urgenza di riformare la legge sulla cittadinanza, il Capo dello Stato ha scelto l'occasione dell'incontro coi "Nuovi cittadini italiani", immigrati di seconda generazione, ricevuti al Colle la settimana scorsa. Di bambini nati in Italia da genitori immigrati ne esistono a migliaia, integrati nelle nostre scuole e partecipi della vita civile del Paese. Riconoscere loro la cittadinanza, per dirla proprio con il Presidente della Repubblica, "è non solo un diritto elementare, ma dovrebbe anche corrispondere alla visione della nostra Nazione di acquisire nuove energie per mantenere viva una società invecchiata, se non sclerotizzata".

La politica, come da consuetudine, ha reagito all'appello del Quirinale in modo variamente scomposto. I più ostili a una prospettiva di rinnovamento basata sull'effettiva e piena integrazione dei piccoli nuovi italiani sono da un lato coloro i quali, come gli allegri burloni in camicia verde sedicenti padani, di per sé e a priori rifiutano di identificarsi con la storia e con la cultura dell'Italia, e dall'altro quanti invece rivendicano con enfasi anacronistica (e ridicola) l'utopia della purezza della stirpe italica.

Sul versante opposto, fra i fanatici sostenitori del multiculturalismo ideologico e gli entusiasti solidaristi cattolici trova spazio una posizione laicamente favorevole, ispirata a un sensato principio di civiltà giuridica e democratica che è stato il seme di varie iniziative promosse ad esempio da radicali e futuristi e che di recente ha trovato come naturale approdo l'avvio di una campagna dall'intitolazione inequivocabile: "L'Italia sono anch'io".

I punti qualificanti del progetto, promosso da ben 19 organizzazioni della società civile, sono l'introduzione del principio dello jus soli nel nostro ordinamento, il riconoscimento della cittadinanza italiana a chi è nato nel nostro Paese e la possibilità di acquisirla da maggiorenne per chi vi è entrato entro il decimo anno di vita, il diritto di voto agli stranieri per le elezioni degli enti locali dopo cinque anni di soggiorno e maggiori competenze ai sindaci in materia di diritti civili.

Oggi vivono in Italia oltre 5 milioni di persone di origine straniera, molte delle quali sono per l'appunto bambini e ragazzi nati o cresciuti fra noi che solo al compimento del diciottesimo anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, attraverso un lungo e difficoltoso percorso burocratico che genera diseguaglianze e ingiustizie. E che limita le possibilità di un compiuto processo di integrazione disattendendo il dettato costituzionale dell'art. 3, che impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione delle pari opportunità per ogni individuo.

L'azione di sensibilizzazione delle associazioni aderenti al cartello di "L'Italia sono anch'io", che hanno appena avviato due raccolte firme per altrettante leggi di iniziativa popolare (una di riforma dell'attuale normativa sulla cittadinanza, l'altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative), può pertanto trovare nuovo impulso grazie al magistrale intervento di Napolitano.

Si tratta di un'istanza assolutamente etica, coerente col dovere di fornire risposte istituzionali ai minori stranieri nati nel nostro Paese. Ma non va trascurata nemmeno una evidente opportunità di carattere socio-economico, in parte ripresa dallo stesso Capo dello Stato: l'Italia continua inerorabilmente ad invecchiare, e l'oltre mezzo milione di minori che da domani possono diventare nostri concittadini, che qui studiano e crescono acquisendo ogni tratto distintivo dell'italianità, rappresentano un enorme patrimonio da utilizzare al servizio della comunità nazionale. Sono, in partica, un elemento di coesione sociale "a costo zero".

Qualche giorno fa è salito alla ribalta delle cronache nazionali il caso, assai emblematico di questa virtuosità culturale a tutto tondo come pure delle contraddizioni e dei ritardi che caratterizzano il dibattito pubblico intorno alla questione, della scuola elementare "Fabio Filzi" di Prato dove quasi il 70% dei 200 studenti è di nazionalità straniera. I docenti dell'istituto dicono con orgoglio che nella loro scuola "c'è tutto il mondo". Ma forse sarebbe più giusto affermare, proiettando quella situazione ad un ambito più generale, che è in Italia che oggi convivono tante culture del mondo, portando per naturale conseguenza la nostra istituzione scolastica ad assumere il ruolo di esemplare fucina di integrazione.

Non vi è dubbio alcuno circa il fatto che gli studenti, specialmente nella moderna società fondata sulla "misticanza" e certamente con maggiore autenticità e immediatezza rispetto agli adulti, riescano oggi a vivere la multiculturalità come un'esperienza stimolante e arricchente. Ma a questa genuina propensione dal basso non corrisponde un adeguato impianto legislativo (la legge n. 91 del 1992 è quanto di più "evoluto" il nostro sistema contempli), con l'avvilente effetto pratico di un'infinità di bambini di origine straniera costretti in una sorta di limbo ed esclusi da tutta una serie di diritti primari per i quali è espressamente previsto l'effettivo possesso della cittadinanza.

Le ragioni che inducono ad essere pessimisti rispetto alla concreta possibilità di una svolta, che spezzi questo connaturato e insensato immobilismo, sono senza dubbio maggiori dei motivi di fiducia. Eppure, dopo Napolitano, anche il neo Ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi, tradizionalmente impegnato nel sociale sul fronte dell'accoglienza, è intervenuto per sostenere le aspirazioni dei "nuovi italiani".

Non solo ha definito gli immigrati "una grande chance per il domani dell'Italia", ma ha annunciato che terrà fede anche nella nuova veste di uomo di governo agli ideali che lo hanno sempre ispirato nell'azione civile. Se poi si vuol mettere da parte la prosa buonista, per ricercare magari motivazioni più pragmatiche e utilitaristiche, è sufficiente rammentare una volta di più agli avversari della cittadinanza facile ciò che molti imprenditori da tempo sostengono: l'economia italiana beneficia e non può fare a meno della presenza degli immigrati. Tanto che quasi tre milioni e mezzo di loro hanno quest'anno presentato allo Stato la dichiarazione dei redditi.

Chissà che il nuovo corso di riconciliazione imposto proprio da Giorgio Napolitano e avviatosi assieme all'esecutivo guidato da Mario Monti per mondare il clima sociale dalle scorie del berlusconismo, non consenta di trovare pure un'intesa civile fra le forze politiche del Paese al fine di addivenire presto alla totale legittimazione dei desideri e dei diritti finora negati ai bambini italiani nati con la pelle scura o con gli occhi a mandorla.

Nelle more di comprendere come il dibattito potrà evolversi ed eventualmente attecchire nell'opinione pubblica, non si può che ringraziare il Presidente della Repubblica per la straordinaria correttezza istituzionale nuovamente dimostrata rispetto a una questione così delicata e complessa.

Come ha già fatto la Rete G2 che rappresenta gli immigrati italiani di seconda generazione con un comunicato ufficiale, o ricorrendo alla suggestiva espressione utilizzata dal responsabile dell'Associazione dei Medici di origine Straniera in Italia prof. Foad Aodi: "La ringraziamo per far sentire i nostri bambini e giovani cittadini italiani a tutti gli effetti, aiutandoli a non soffrire più di doppia identità e senza considerarli cittadini di serie B inferiori ai loro coetani e colleghi. Perché nascere in Italia non è una colpa. Anzi, è un'opportunità di arricchimento reciproco".
 

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