Gli italiani all’estero e il quorum

Cosa fare dopo il "pasticcio" del governo che suscita dubbi sul voto degli italiani all'estero per il referendum?
Ora che i referendum sono passati - con il risultato che sappiamo - possiamo osservare con più tranquillità la questione del voto degli italiani all'estero che, per fortuna, non sarebbe stato determinante in nessun caso. Il pasticcio combinato dal governo, che ha cercato di bloccare il referendum in extremis, dopo che gli italiani all'estero avevano già ricevuto le schede, rischiava infatti di rendere nulli i loro voti.
Personalmente, da residente all'estero, ma in tutto e per tutto italiano, sono ben contento di avere la possibilità di votare e, già che ci siamo, mi fa piacere che il mio voto sia conteggiato al pari di quello di qualsiasi altro mio connazionale. La battaglia che si è giocata sul voto degli italiani all'estero, invece, provoca qualche disagio. L'impressione è che esso valga, e sia ben accetto, quando va a nostro favore, e che lo si consideri un fardello, o un inutile lusso, quando non ci aggrada. Un disagio che è tanto più grande, quanto questa volta a manifestare dubbi sull'opportunità di considerare il voto all'estero è la sinistra, per cui, pure, la difesa diritto di voto di tutti i cittadini dovrebbe essere una priorità, indipendentemente dal risultato contingente di una singola elezione. Personalmente, mi sarei sentito derubato e umiliato nel caso il mio voto, insieme a quello degli altri italiani all'estero, fosse stato considerato nullo come escamotage per il raggiungimento del quorum. Lo dico pur essendo ben contento del fatto che il quorum sia stato conquistato e che il risultato del referendum sia stato quello che è stato, e cioè, lo dico senza ipocrisia, il secondo schiaffo in due settimane a Berlusconi.
Sarò forse eccessivo, ma mi sembra che la maniera più sana per gestire la questione sarebbe, a questo punto, quella di annullare il referendum sul nucleare. Tanto ormai lo schiaffo è stato dato, il risultato è comunque inequivocabile. E' vero che Berlusconi è capace di tutto, ed è senza vergogna, e in questo caso potrebbe anche cercare di aggirare il messaggio degli elettori, ma, da una parte, anche nella maggioranza ci sono persone con un po' più di buon senso che glielo impedirebbero, e dall'altra il governo agonizzante che ci troviamo non avrebbe certo la forza di mettere in piedi un programma nucleare serio. Giuridicamente non so se e come sarebbe possibile, ma sarebbe certamente un segnale di rispetto nei confronti di quegli italiani all'estero che a votare ci sono andati, convinti che il loro voto valesse come quello di tutti gli altri.
Certe prese di posizione, infatti, sono più che discutibili, e, ripeto, sono tanto più discutibili se provengono dal'"area culturale", come si dice, della sinistra. Mi riferisco, ad esempio, a quelle espresse da Vittorio Zucconi (pure, un italiano all'estero) sul suo blog, o da Giovanni Sartori sul Fatto Quotidiano. Che si discuta dell'opportunità di riformare le modalità di voto degli italiani all'estero è lodevole, e forse doveroso. Ma le motivazioni sono veramente inaccettabili. Un primo argomento è che la maggioranza degli italiani all'estero sono figli o nipoti di emigranti, che non seguono minimamente la politica italiana e che, se votano, lo fanno senza avere la minima idea di quello che fanno. Inutile precisare che, ahimé, lo stesso vale per milioni di italiani che vivono stanzialmente in Italia. A corollario di questo argomento alcuni, rischiando di sconfinare nel razzismo, fanno notare come sia ingiusto che persone che vivono a migliaia di chilometri dall'Italia e che non sanno niente del paese d'origine possano incidere, con il loro voto, sulla vita di chi in Italia ci abita. Se costoro permettono, invece, io considero che quello che succede in Italia mi riguarda e incide anche sulla mia vita. Ad esempio sul fatto che un domani io possa avere la possibilità di ritornarci a lavorare. Occorrerebbe poi togliersi dalla testa il cliché dell'italiano all'estero che è partito con la valigia di cartone per lavorare in miniera. Nella città in cui abito conosco docenti universitari, avvocati, giornalisti, medici, ingegneri, cuochi, artisti, tutti italiani, ma, curiosamente, nessun minatore.
Un secondo argomento riguarda il fatto che, nei collegi esteri, pochi notabili controllano migliaia di voti e spesso li utilizzano per mandare in parlamento personaggi poco raccomandabili, disposti magari, una volta eletti, a cambiare casacca vendendosi al miglior offerente. Anche qui mi si spieghi la differenza con quello che succede in altre zone nella madrepatria. Forse che gli Scilipoti e i Calearo sono stati eletti all'estero?
Infine, quella che per me è la ciliegina sulla torta. Secondo Zucconi, il fatto che all'estero l'affluenza sia stata 'solo' del 23% sarebbe un motivo sufficiente per abolire il voto degli italiani all'estero. Un tale disinteresse li renderebbe immeritevoli di avere questo diritto. Bizzarra argomentazione, voler togliere il diritto di voto anche a quel quarto che ha votato, in molti casi, sarebbe bene ricordarlo, compiendo un atto più cosciente e volontario di molti italiani. Quando ho lavorato in un seggio all'estero per la prima volta, per le elezioni europee del 2004, ho conosciuto persone commosse perché era la prima volta che lo stato italiano dava un segno di vita, dopo magari 30 o 40 anni che vivevano all'estero. Vorrei poi fare presente una cosa: chi risiede all'estero è forse meno informato di chi abita in Italia, ma sicuramente anche meno condizionato dai giochetti della politica nostrana (o dovrei dire vostrana?). Se si guardano i risultati di quei "quattro gatti" che hanno votato all'estero, ci si accorge che le percentuali di sì variano tra il 67% (nucleare) e il 76% (uno dei due sull'acqua). Percentuali sempre alte, ma assai meno 'bulgare' di quelle registrate in Italia. Il che vuol dire che, forse, chi vive all'estero, peccando sicuramente di ingenuità nei confronti della politica italiana, ha considerato che il suo voto valesse comunque la pena di essere espresso, anche per dire "no".
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