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 Home page > Attualità > Cronaca > Giovani che muoiono di precarietà mentre voi parlate di voi

Giovani che muoiono di precarietà mentre voi parlate di voi

"Dobbiamo ritrovare la certezza che vivere dignitosamente è essenziale." Ricorda Beppe Grillo quanto scrissi? Ebbi l'onore inaspettato di essere oggetto e soggetto di un suo post nel suo blog l'8 luglio 2013, in cui riportavo: “Un 26enne si è sparato ieri mattina, a Meda (Monza e Brianza). Secondo le prime informazioni si tratterebbe di un giovane che non sopportava più di non riuscire a trovare un lavoro. Il particolare è emerso dai famigliari, che lo vedevano da tempo molto preoccupato e depresso, cioè da quando aveva smesso di lavorare come muratore senza più riuscire a trovare una nuova occupazione.

I genitori, rientrando a casa intorno alle 11, si sono insospettiti: il ragazzo non si era ancora alzato, così hanno sfondato la porta della sua stanza e lo hanno trovato senza vita con accanto una pistola. Spesso continuava a ripetere di "non riuscire a trovare niente" e di "non avere nemmeno i soldi per le sigarette"

Concludevo come ho iniziato ieri, 7 febbraio 2017.

E' una giornata di cronaca nera, tanto per cambiare in Italia: sì, nessuno deve suicidarsi per paura di perdere il lavoro. Nessuno deve rimanere indietro.

I genitori di Michele, 30 anni, grafico, senza lavoro stabile,hanno affidato al Messaggero Veneto la lettera scritta dal figlio prima di suicidarsi, lo scorso 31 gennaio 2017, in Friuli.

«Dentro di me non c'era caos, Dentro di me c'era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità... Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, è un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive. Ho vissuto (male) per trent'anni, qualcuno dirà che è troppo poco i limiti di sopportazione sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un'arte... Ci avete rubato la felicità. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere...

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho resistito finché ho potuto. Michele"
 
Mi prende un grande sconforto, i miei figli lavorano all'estero perché qui non avevano futuro, ma qui sono rimasti milioni di giovani che non possono diventare una generazione di migranti, gli stessi che noi respingiamo come tutta l'Europa si vede costretta ormai a fare se non addirittura a sperare.
E ancora leggo di una destra che si erge come Fronte del "prima gli italiani" e usa tutto questo sconforto, di Sgarbi che riporta Grillo, di Grillo che dice quanto è buono l'imitatore, della sinistra che non sa cosa ci sia a sinistra, di una umanità che è un miracolo che ancora regga e non scenda in piazza a milioni come a centinaia di migliaia fanno in queste fredde giornate in Romania, calde di passione ritrovata per strada, insieme. Ci avete fatto iniezioni di varietà e avanspettacolo da 2 soldi, ci avete raccontato tutti i fattacci di Casa vostra e quelli di Cosa Nostra e noi li a sperare che fosse solo una fiction.
 
E' reale la malattia, è reale tutto, anche questa frustrazione cattiva, questa depressione che non si cura con una droga o uno psicofarmaco, questo non far niente, se non essere parassiti delle corrotte gesta di costoro, dell'uso che fanno del nostro dolore delle nostre preoccupazioni dell'ansia che a volte ci prende e regala solo notti insonni e mattine piatte, quando ci si illumina ben poco d'immenso a guardare quella faccia, analfabeta di Umanità.
 
E allora ripenso sempre a un Maestro e affido anche io una sua lettera, del 1976: è di Alberto Manzi ai suoi alunni di V elementare. E adatta a tutte e tutti, come fossimo tutte e tutti tornati a scuola ad imparare, da un maestro che non ci mette voti e non li chiede, e che dice solo che non è mai troppo tardi.

Doriana Goracci

"...Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore....Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: NON RINUNCIATE MAI, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, AD ESSERE VOI STESSI. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe...Siete capaci di camminare da soli a testa alta, PERCHE' NESSUNO DI VOI E' INCAPACE DI FARLO.Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, SE VOI NON LO VOLETE.Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l'affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è gia in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, e ancora onesta, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare, e… amore, amore.Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio.
Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi..."
(dalla lettera del 1976 di Alberto Manzi agli alunni di V elementare)
 

Commenti all'articolo

  • Di Silvia (---.---.---.219) 8 febbraio 2017 13:01

    Il maestro Manzi era un’anima rara e nobile. Le sue parole sono vere e di lotta.
    Io da emigrata, dico che questo tristissima morte dovrebbe far riflettere su tutti i calci in bocca che i giovani italiani si prendono tutti i giorni. Non è migliore colui che parte o colui che resta. Non ci sono eroi, vinti o vincitori. C’è solo il diritto alla dignità che spesso nel nostro Belpaese viene calpestato. Questo diritto è universale e tutti dovrebbero avere la possibilità di varcare le frontiere e i muri , sia quelli fisici che quelli mentali, per trovarlo.
    E riguardo alle parole di Poletti mi viene solo da commentare cosi: non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
    Casa è dovunque si trovi dignità e serenità.

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.17) 9 febbraio 2017 14:15
      Doriana Goracci

      Grazie! Ti rispondo con un’altra lettera di una ragazza Veronica Andrea Sauchelli, fotografa di 25 anni

      "Un giovane uomo si suicida perché non ha il lavoro che desidera e scoppia l’urto di accuse. Ovviamente la maggior parte sono commenti alla "governo ladro", "sistema bastardo" e "povera vittima". Non voglio tentare neanche per un secondo di commentare il gesto di chi se n’è andato perché non ne ho né il diritto né l’interesse.
      Quello che mi preme dire, invece, è che io non mi sento follemente arrabbiata solo con un "sistema" generico, impersonale, intangibile; io mi sento arrabbiata col sistema reale, e mi dispiace sottolinearlo, ma del sistema reale fanno parte anche tutti quei miei coetanei che adesso puntano il dito verso un responsabile invisibile. Siamo tutti responsabili. Tutti: dal primo all’ultimo, e non solo chi arriva nei palazzoni con le auto blu.
      Partecipo più o meno attivamente alla vita di questo Paese da quando avevo 15 anni, ora ne ho venticinque e sono già stanca, amareggiata e stufa. Non dalla classe politica, ma dalla mia generazione. Sì, lo sono anche dalla prima categoria, però da quella te l’aspetti, dalla seconda no. Ero rappresentante del mio liceo e organizzavo conferenze a cui non veniva nessuno perché "meglio i tornei di calcetto e pallavolo". Alle manifestazioni talvolta un po’ di gente c’era, ma il più delle volte per saltare scuola o per vivere un pizzico di quell’atmosfera sessantottina di cui abbiamo sentito solo parlare. Poi sono cresciuta ed ho iniziato ad andare all’università e ad altri incontri pubblici: sulla questione dell’acqua, conflitti vari, giornalismo, crisi giovanile, complesso di Telemaco, Costituzione italiana… indifferente l’argomento, c’era sempre una sola costante: ero l’unica (o quasi) a non avere la testa grigia. I miei coetanei non ci sono mai, li si vede in massa solo quando c’è da fare aperitivo.
      Al festival di Internazionale ho assistito ad un incontro sul (non) futuro giovanile in cui l’attempato relatore si è consumato in un sentitissimo mea culpa perché loro, i nostri nonni, ce l’hanno rubato, il divenire. Beh, questa frase fatta - che ormai si sente troppo spesso - sortisce come unico effetto quello di assecondare il nostro volerci sentire vittime. Magari in parte lo siamo, ma non possiamo usare questo come scusa per redimerci dalla responsabilità di costruire quello che vogliamo. Non abbiamo una coscienza sociale, questo è il vero problema. Ognuno è a testa china sulla propria strada, in mezzo a smartphone, ambizioni, menefreghismo e bicchieri di vino. È una grossa generalizzazione, sicuramente, ma che siamo imbottiti di un individualismo spesso quanto le nostre speranze è innegabile.
      Spesso ho fatto la pendolare coi miei colleghi di studio, ed è stato sempre un penoso lungo viaggio fatto scivolando sulla superficie delle cose. Uno solo l’argomento di conversazione, puntuale: l’esame e la mole di studio. Non riesce a preoccuparsi d’altro se non dei suoi problemucci quotidiani, questa nuova maggioranza; compresa la più istruita, "l’élite". Gente che anche quando si lamenta perché il libro scritto (e inflitto) dal professore non è nemmeno in italiano corretto e a studiarlo ci si sente presi per il sedere, sorride compiacente all’autore perché c’è un voto da portare a casa. Come si può pretendere da un insieme di persone incapace d’unirsi anche solo per ottenere un libro dignitoso da studiare, che sappia creare una forza sociale in grado di far valere i propri diritti.
      Una persona molto cara a me (laureata) aveva trovato un posto in cui veniva pagata cinque euro l’ora (in nero) come responsabile di sala, e se avesse voluto bere o mangiare qualsiasi cosa avrebbe dovuto pagarlo a prezzo intero. «Non andateci», ho detto ad alcuni amici «non dobbiamo sostenere il nostro sfruttamento», «mi dispiace, ma la birra lì è buona!», mi hanno risposto. Stesso tipo di risposta quando ho riportato il medesimo suggerimento per un’altra situazione analoga di sfruttamento vaucheriano giovanile, «ma non sta sfruttando mica me!», già. Non oggi, non lì.
      Quindi la riflessione prima ancora che ai poteri forti spetta a noi. Noi abbiamo la forza fisica, mentale e anagrafica per proporre e reggere uno scontro tangibile con questa realtà. La società non si fa da sola, e in questo momento noi giovani stiamo lasciando che subisca se stessa. Noi abbiamo il diritto e il dovere di partecipare, di creare un tessuto, al posto di un pettine di fili paralleli, destinati a non incontrarsi mai. Siamo noi che ci stiamo annegando a vicenda in un assordante silenzio di contenuti. Siamo noi che dobbiamo (ri)costruire per primi un ambiente vitale, vivace, fatto di braccia salde e responsabili. Chi altri sennò? La cosa pubblica non si fa da sé. Michele s’è ammazzato da solo eppure l’abbiamo ammazzato un po’ tutti, col disinteresse, la critica altero-diretta e l’incapacità di essere un gruppo. Sinergia, questa dovrebbe essere la parola d’ordine per arrivare tutti da qualche parte. Sempre che ci interessi."

      (Veronica Andrea Sauchelli è una fotografa di 25 anni di Udine. Ha inviato questa lettera a L’Espresso che l’ha pubblicata con il suo consenso)

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