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Giappone. L’uomo che decise di morire

Prendo l’ autobus locale n. 2, davanti alla stazione di Tsuruoka, la città degli origami a forma di cigno, in direzione del monte Haguro, per 45 minuti (1010 Yen, solo andata). L’autobus sembra uno scuolabus tenuto male, ma l’autista è vestito elegante, con il suo cappello, ben pulito, da macchinista. C’è molta neve, ma riesco ad arrivare a Oami, il villaggio in cui si trova Il tempio Dainichibo.

In tempi lontani, tra Tamagi e Oami (questultimo significa “grande rete”) vi era una area chiamata Dewa (“da dove provengono le piume”) in cui vi dimoravano parecchie aquile. Un giorno, un abitante del villaggio coprì le montagne attorno con una grande rete, per catturare le aquile e farne dono al principe Mimurowake. Alla sua morte, fu piantato un cedro nei pressi della sua tomba. Quell’albero, è ancora li, dopo 1800 anni, vicino al tempio, fondato durante l’era Daido (807 a.C.).

Scendo dall’autobus e comincio a camminare per il villaggio. Sembra non ci abiti nessuno. Poche case e un piccolo ufficio postale; nessuno al suo interno. Dopo 15 minuti e una rampa innevata, giungo al tempio. La visione è surreale. Non te lo aspetti proprio li. Un monaco, gentilissimo, mi accoglie, portandomi subito nella stanza più importante dove è ubicato il Monaco Shimyokai – Syonin.

Era un Monaco che, sentendo le sofferenze e l’agonia delle persone, decise di diventare un “Monaco eterno”, una mummia, al fine di proteggere la gente per tutta l’eternità. Cosi iniziò una pratica, rigorosa e tremenda, fin dalla giovane età di 20 anni. Si tolse anche un occhio quando ha saputo che c’era una malattia, infettiva alle pupille, tra i suoi compaesani. La sua dieta era solo a base di noci, in modo da potere bruciare grassi durante l’inverno. Beveva degli infusi particolari in modo da non putrefarsi, una volta diventato una mummia.

 Nel 1783, all’età di 96 anni, decise di farsi seppellire nel sottosuolo, con una piccolo cannuccia di bambù per respirare, meditando e recitando dei mantra. Tramite una campanella, confortava I suoi discepoli, preoccupati se fosse ancora vivo. Lo fece per 3 anni e 3 mesi. In seguito, fu seppellito e collocato nel tempio Dainichibou – Ryusuiji. Ogni 6 anni, i monaci li cambiano gli abiti e, con quelli vecchi, ne ricavano delle reliquie per amuleti. La religione della mummia vivente è la Shugendo, un misto di Buddismo sincretico e shintoismo. Come principale tema veneratorio hanno le montagne.

La storia, per altro non unica (ce ne sono altri, pochi, da queste parti) non la ho ascoltata dal citato monaco, il quale parlava solo giapponese. Anche se ha capito la mia incomprensione verso la sua lingua, è così contento di parlare con me, cosi lo lascio fare. Apprendo la storia, grazie al volantino, in inglese, che mi ha dato. Lui continua a parlarmi, aggiungendo ad ogni fine frase un “ne”. In giapponese è una forma elegante di dire qualcosa come “ok? giusto?” ma, in effetti, essendo cresciuto nella provincia di Milano, mi ricordava proprio il dialetto della madunina. E il significato e’ esattamente lo stesso.

Dopo 15 minuti del suo monologo, scatta in piedi e corre ad aprirmi una altra porta, invitandomi ad entrarci. Un po’ titubante, e ignorante, non e sono molto propenso di avviarmi là dentro, con un monaco solitario il quale non riceve spesso visite per anni. Cacciato il pensiero idiota, ci entro e ho fatto bene: ci sono reliquie e statue, soprattutto deità demoni ancestrali. Il monaco torna con altri volantini, tutti in giapponese. Uno colpisce la mia attenzione. Cosi grazie all’aiuto di un amico giapponese, lo traduciamo diversi giorni dopo. C’e’ scritto che, se hai 25 o 45 anni, non è proprio una bella età, e dovresti andare al tempio per toglierti la sfortuna di dosso.

Ritorno all’austero ingresso principale dove ci sono due vetrine nelle quali sono conservate dei gong e delle statue di Giada. Tuttavia, vengo attratto dalla preghiera iniziata da poco alle mie spalle. C’èun altro monaco, il quale accende degli incensi, omaggiando una statua. Dietro di lui, due devote, credo del villaggio, sulla cinquantina. Sono sedute, facendo attenzione a non indirizzare le piante dei piedi verso la statua e stando molto vicini all’unico termosifone a gas dell’edificio. Fa freddo, piu’ che nel giardino. L’offerta al tempio e’ di 500 Yen.

Il monaco è molto preoccupato, infatti mi indica il suo orologio per tutto il tempo, imitando, secondo lui, il rumore di un veicolo. Esco e mi avvio verso la fermata dell’autobus: altri 10 minuti in mezzo alla neve e altri 20 minuti d’attesa. La neve comincia a scendere più forte, ma è possibile camminare, finché non si alza il vento.

Dopo 3 minuti immobili, una auto si ferma. Una donna sulla quarantina al volante, con la madre in stampelle, mi fa cenno di entrare in macchina. Le dico che sto tentando di tornare a Tsuruoka. Sta andando proprio là. Coincidenza o l’ha mandata Shimyokai – Syonin? In cerca mezzora, raggiungiamo la stazione. Intanto cerco di parlare con lei. L’unica cosa che riesco a dirle è di dove sono e dove sto andando. Più che una frase filosofica, una frase di necessità.

Una volta venuta a conoscenza della mia prossima tappa (Aomori, nel nord dell’isola Di Honshu), mimando il freddo che soffrirò lassuù, mi regala quattro pacchi di Kairo: cerrotti autoriscaldanti, da porre sulle parti del corpo in cui si sente freddo. Un regalo strano, come strano è il Giappone, ma molto apprezzato.

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