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Gabriele Salvatores, intervista per AgoraVox

Poteva mancare nell’archivio delle nostre interviste anche un grande regista? No, assolutamente!

Così ci prepariamo tutti insieme ad attraversare l’interessante tema del cinema e della celluloide con una firma eccellente della cinematografia italica. Lo abbiamo incontrato in esclusiva all’interno della redazione di Palermo di Repubblica, dove stava affrontando una conferenza stampa: è Gabriele Salvatores.

 

Un regista simpatico e affabile, con una filmografia notevole. Questo è Gabriele Salvatores, che dall’83 ad oggi ha girato film come “Io non ho paura”, “Amnesia”, “Nirvana”, “Sud”, “Mediterraneo”, “Puerto Escondido”, “Quo Vadis Baby” e molti altri, lavorando con attori interessanti come Diego Abatantuono e Claudio Bisio.

Salvatores, parliamo di Cinema e commercio… hai mai pensato di fare un film in funzione del pubblico che lo vedrà, cioè pensando a chi incuriosirà di più e a chi potrebbe essere rivolto?

Beh, il pubblico è importante ma il film commerciale fatto per solo per essere venduto non mi piace. Lo schermo cinematografico non deve mai diventare semplicemente uno specchio in cui il pubblico si riflette, si riconosce e per questo si sente gratificato. Deve essere invece uno specchio deformante che ti permette di guardare dietro la realtà. Solo che il Cinema si è abituato ad usare una narrazione piatta, tipicamente televisiva.

Per questo i tuoi film - come “Quo Vadis, Baby?” - non hanno nulla di televisivo: dalla luce ai ritmi fino ad arrivare alle immagini?

Certo. Pasolini diceva che la dittatura della tv era il nuovo fascismo, la nuova demagogia.

E aveva ragione?

Purtroppo si. Pasolini lo profetizzava all’inizio degli anni ’70, e alla fine di quel decennio Licio Gelli (e la sua loggia massonica P2) ha teorizzato e tentato di mettere in pratica il condizionamento della gente attraverso l’informazione.


E negli anni ’90 è arrivato pure Berlusconi!

Che ha praticamente applicato le indicazioni di Gelli. Per questo il cinema deve stare molto lontano dalla tv.

Qual è, secondo te, un difetto del cinema italiano?

E’ un cinema essenzialmente di sinistra, che tende a raccontare storie politicamente corrette e per questo minimaliste anche nelle emozioni. Io mi entusiasmo da morire quando mi accorgo che certi registi che amo come Marco Tullio Giordana, Nanni Moretti, Marco Bellocchio, si lasciano andare e vengono finalmente fuori le emozioni.

Giordana ne “I Cento Passi” utilizza un attore siciliano, qual è Luigi Maria Burruano…come lo vede?

E’ un attore che fa sembrare vero tutto quello che fa sulla scena. In ogni sua interpretazione c’è una sua verità. Una qualità che ammiro molto e che lo porterà lontano.

Claudio Bisio, Paolo Rossi, Antonio Catania, Gigio Alberti: sono il gruppo di amici con cui è partito. Che cos’è rimasto di quei ragazzi degli anni ’70?

L’altra sera ero a cena a Milano con Antonio e Gigio, che erano appena stati sul set del film di Claudio Bisio. Mi ha chiamato Paolo, che stava tornando da Torino in macchina. Ha saputo che eravamo tutti lì e ci ha raggiunti a notte inoltrata. Nel frattempo era arrivato anche Claudio. È rimasto questo: la voglia di stare ancora insieme senza fare troppo caso ai ruoli, alle carriere, al successo.

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