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Fusione comuni Valmarecchia. Perché è migliore tra i 7 di alta Valle

La porta di ingresso nella ex Comunità Montana Alta Valmarecchia al Torello (San Leo) può dare una prima indicazione della considerazione in cui chi amministra tiene questo territorio.

Per valutare le ipotesi di fusione invito ad una analisi volta alla ricerca di affinità e differenze degli ambiti di bassa ed alta valle:

E’ evidente una differente orografia essendo più accentuate le pendenze in alta valle e questo comporta una ulteriore difficoltà nella gestione della viabilità sia per la manutenzione che per la messa in sicurezza anche per effetto del dissesto idrogeologico generali. Va anche rimarcato che la differenza di altitudine determina anche un differente impatto degli eventi metereologici (sia nella stagione fredda, per quantità e durata, sia in quella calda essendo meno oneroso il contrasto alle alte temperature.)
In inverno e con le maggiori estensioni obbiettivamente nella parte alta sussiste una maggior difficoltà a manutenzionare la viabilità. Il riassetto istituzionale che ha previsto la creazione delle Unioni dei Comuni ha ora esteso la qualifica di “Comunità Montana” a tutta l’Unione Valmarecchia diluendo parzialmente quel sostegno che era prima appannaggio esclusivo dell’alta valle.

Altra grossa differenza riguarda la densità abitativa. In questi ultimi anni si è registrata una contrapposta tendenza nei due ambiti dimostrata dall’incremento demografico della bassa (+7) nei confronti dell’alta (-8). A questo si aggiunge un uguale rapporto per quel che riguarda popolazione giovane e nuclei familiari.

Ancora sostanziali differenze dal punto di vista dell’urbanizzazione e delle attività produttive.
Forte l’espansione di bassa valle con la tendenza ad un consumo del territorio disordinato con aree scollegate o peggio mal collegate ed ingolfate tra loro. Questo provoca uno spreco delle opportunità ed un malfunzionamento del sistema dell’insieme urbano che dovrebbe basarsi su servizi efficienti individuando nel complesso la migliore prossimità.
Pericolosa è la vocazione di esportare questo modello espansionistico sregolato verso territori adiacenti con malcelata volontà di mantenere attivi comparti quali quello edile o allargare l’area dormitorio in funzione di una costa abbastanza squalificata.
Dall’altra parte, in alta valle, quello che fino a ieri era considerato motivo di area svantaggiata è oggi una opportunità se preservata dai facili interessi e dagli smodati appetiti edificatori. La condizione fino ad oggi mantenuta, come dimostra il fatto che la grande maggioranza degli immobili d’alta valle è precedente al 1920 mentre in bassa valle è dopo il 1960, può comunque rappresentare occupazione e reddito essendo necessario e da più parti suggerito l’efficientamento strutturale ed energetico degli immobili.

A ciò si aggiunga che la sensibilità ambientale innata nelle genti di montagna (ma egualmente attenta alla “modernità”) è tuttora custodita come dimostra il forte interesse al paesaggio ma anche, per esempio, il fatto che le case con più di 4 piani sono 66 a Novafeltria contro le 58 di Santarcangelo.
Anche il rimettere in discussione modelli di sviluppo legati ad una produttività insalubre ha nei territori d’alta valle un banco di sperimentazione decisamente meno problematico. Per attuarlo però vanno designate norme dedicate e non generalizzate altrimenti si perde quella “verginità” con vecchie pratiche sbagliate.

In ultimo consideriamo anche il consumo energetico a cui oggi tanta attenzione oggi si deve dare. Ovviamente per effetto di quanto sopra esposto non stupisce che l’84 % sia appannaggio della bassa contro il 16% dell’alta ma questo non deve indurre a replicare modelli finora adottati. E’ curioso che la produzione da fotovoltaico sia minore in bassa che in alta valle mentre, seppure più fisiologico, è massima la produzione di CO2 con pochi investimenti per la riduzione. Emblematica è l’ipotesi di sviluppo sacrificando ad una costa energivora il paesaggio e quindi tutte le opportunità che da esso derivano.


In questa disanima, malgrado le intenzioni, non ho trovato affinità tra i territori d’alta e di bassa valle se non la necessità di sperimentare modi di sviluppo alternativi a quelli del passato ma da costruire in modo dedicato alle differenti realtà.
I sostenitori di accorpamenti vasti liquidano la questione con “differente è meglio” ma confesso che non riesco a capire come. Mi pare invece che alla luce di quanto descritto si evincano interessi diversi quando non addirittura contrapposti tra le parti in oggetto.

La sostanza delle fusioni è fatta sia da incentivi ed aiuti temporanei, importanti, per i nuovi Comuni nati da fusione sia dal progetto di fusione stesso, che deve essere credibile di portata durevole.
Non ci si fonde per sopravvivere qualche anno grazie alle agevolazioni ed agli incentivi (temporanei), ma perché si vuole costruire una nuova entità amministrativa capace di organizzarsi meglio e di programmare servizi sul proprio territorio.
Questo significa che innanzitutto bisogna capire se ha senso la fusione a 10 o è preferibile quella fra i Comuni dell’Alta Valle.

La geografia locale parla di alcuni Comuni piccoli e con pochi abitanti, nella parte più alta, e di Comuni a valle che da tempo sono il punto di attrazione di servizi, opportunità, imprese. Non a caso connotati da un rilevante incremento demografico.
I Comuni dell’Alta Valmarecchia hanno i requisiti per essere candidati ai benefici dei programmi destinati alle Aree Interne emanato dal Ministro Barca. Questa possibilità non cambierebbe con una fusione a 7 ma si perderebbe con una fusione a dieci, perché Comuni come Verucchio o Santarcangelo presentano indici di sviluppo ovviamente diversi da quelli dell’alta valle. (Verucchio ha più che raddoppiato gli abitanti nel periodo 1971-2011, Casteldelci li ha dimezzati).

Una cosa è gestire servizi in associazione (a dieci per esempio), un’altra costruire un nuovo Comune, che se fosse il risultato della fusione di dieci Comuni riprodurrebbe la situazione di oggi, con il rischio di un progressivo depauperamento demografico e di opportunità e di servizi, di lavoro e di imprese.
La fusione a dieci rischierebbe di riproporre la grande periferia montana della zona sulla via Emilia, una periferia sempre più spopolata ed impoverita.
La Fusione a 7 può consentire la costruzione di un Comune nuovo e forte che opera e progetta in armonia con gli altri a valle il territorio, i servizi, le opportunità di crescita e di lavoro anche ridefinendosi in una nuova Unione.

Questo il panorama: il percorso per la cusione presuppone immediatamente una scelta: a sette o (irrevocabile) a dieci. Quella a dieci sembra sbagliata e al di là delle volontà, somiglia a un’annessione da cui non si torna indietro. Quella a sette significa riprogettare il territorio ed è possibile, anche se ciò rappresenta perdita di tempo e risorse, farla gradualmente .
Comunque dovranno essere le Pubbliche Amministrazioni che si dicono a favore della partecipazione ad interpellare doverosamente i Cittadini. Le Amministrazioni devono tirar fuori non già l’interesse, essendo cmq di tutti, ma la voglia di conoscere i desideri dei cittadini e su questo attivare degli studi di fattibilità che chiariscano i pro ed i contro.
Solo allora richieste ufficiali ed il conseguente referendum consultivo avranno spessore democratico.

 

Foto: Massimiliano Calamelli/Flickr

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