• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Fini e la democrazia

Fini e la democrazia

Tra Berlusconi e Fini sembra che si sia arrivati al capolinea. Da una parte un leader che non ammette contraddizioni all’interno del suo partito, dall’altra, un leader sminuito dalla preponderanza del primo.

Che Fini sia "diverso" da Berlusconi è chiaro sin dall’inizio dell’avventura del "partito della libertà (?)", sin dall’inizio si è distinto per le sue idee "social popolari progressiste" dando l’impressione di un cambiamento che lo sposterebbe a sinistra, ma è poi vero?

"L’impegno" sociale di Fini è insito nel dna del fascismo italiano, basti pensare alle pensioni, inserite, a suo tempo, da Mussolini e alla sua posizione nei confronti della chiesa (patti lateranensi che definirono la nascita dello stato del vaticano e i rapporti con lo stato italiano); se, apparentemente, tende ad affrontare i problemi in termini di aiuti concreti alle persone e in termini etici, in relatà, il suo impegno non è tanto il sostegno, quanto la ricerca di consenso. In questo è molto simile alla lega anche se in termini diversi.

Fini e la democrazia

Fini, che era leader di AN, con la fusione nel Pdl, perde gran parte del suo potere nei confronti dei compagni (camerati) di partito perché si ritrova in una posizione subalterna rispetto a Berlusconi, leader e "inventore" del partito; ma quel che più conta, è lo spostamento degli aennini verso il capo indiscusso. Non uno spostamento parziale in attesa dell’esaurirsi degli impegni istituzionali che la sua carica a presidente della camera gli impongono, ma definitivo. Questo grazie anche alle posizioni di Fini in merito agli immigrati e ai problemi etici che in AN venivano affrontati in modi più simili alla lega, cioè, di chiusura nei confronti delle innovazioni proposte dalla società laica. Inoltre, l’alleanza di Berlusconi con la lega, che Fini vede come antagonista sul piano dell’unità d’Italia, ha prodotto un divario poiché Fini, come cofondatore del partito, vorrebbe un coinvolgimento personale maggiore nelle decisioni e non relegato a figura marginale a favore di Bossi.

Il percorso di Fini verso un sistema liberale di destra, presuppone un cambiamento nell’approccio alle tematiche un tempo legate al mondo cattolico ma che oggi, la società moderna e laica, pone in una visione diversa rispetto al passato. Non dovendo più rispondere al mondo cattolico delle sue scelte - questo perché i cittadini, inclusi parte di quelli cattolici, hanno sviluppato un senso civile autonomo e per questo non sono più soggetti ai ricatti della chiesa - può esprimere liberamente il suo dissenso su questioni come: diritti, giustizia ma anche eutanasia ecc.
Fini è laico e sarebbe errato credere il contrario. Lo era pure il fascismo. Il concordato con la chiesa si basò su interessi di consenso, o meglio, fu Mussolini ad averne bisogno poiché, essendo il fascismo una dittatura, cioè, a pensiero unico, aveva bisogno della chiesa perché questa era in grado di portare consensi, per il resto (salvo alcuni settori come la scuola) agiva indipendentemente dalla "fede".

Nel rapporto con Berlusconi, la richiesta di Fini per una maggior democrazia all’interno del partito viene liquidata da Berlusconi stesso che asserisce la necessità di adeguamento della minoranza alla maggioranza interna dopo ogni decisione. Questa divergenza non nasce, come si potrebbe essere portati a credere, da una visione democratica di Fini, ma è determinata dalla necessità, di Fini, di porsi come antagonista a una politica interna che, se da una parte attende alle aspettative totalitarie di parte della destra, dall’altra, impedisce il formarsi, all’interno del partito di correnti capaci di sostituirsi all’attuale dirigenza, in caso di necessità; necessità reale in quanto renderebbe possibile, in caso di crisi, l’alternanza di soggetti all’interno limitando la perdita di consensi.

La determinazione di Berlusconi a espellere dal partito ogni dissenso - che, tra l’atro, è identica alla prassi dei regimi comunisti, regimi che lui stesso condanna fermamente - pone Fini, agli occhi dei cittadini, come vittima del sistema interno al Pdl che potrebbe essere interpretato, anche dagli elettori di destra (perlomeno quelli liberali), come un segno di antiliberalismo nella prassi del partito e che, rischierebbe di riflettersi anche nella società (questo presupponendo che l’elettore del Pdl sia, comunque o in parte, democratico). Questo comporterebbe una divisione (qualora Fini venisse espulso) dell’elettorato di destra; divisione che si tradurrebbe in due partiti di destra, uno al governo e uno all’opposizione. Opposizione che, però, non agirebbe per la sconfitta della destra - il che sarebbe una contraddizione - ma andrebbe a rafforzarla richiamando il voto di quanti, fino ad ora, non hanno visto in Berlusconi il difensore delle loro aspettative e hanno votato altri o non hanno votato.

Fini dunque, se da una parte si propone come "progressista" nella misura in cui con i progressisti condivide il modo di risolvere i problemi, dall’altra rimane uomo di destra perché il suo problema principale è sia l’affermazione di sè stesso sia l’utilizzo dei problemi a fini consensuali.

Sperare che l’uscita di fini dal Pdl porti alla caduta del governo (Bossi, nel corso degli anni ci ha abituato alle sue affermazioni contro, salvo poi affermare il contrario; prima dice che è a rischio l’alleanza tra Pdl e lega, poi afferma la sua completa fiducia in Berlusconi) è pura utopia. Lo è altrettanto sperare che la sinistra possa, nel breve periodo, vincere le elezioni.
 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares