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Figure della notte: l’ostinata vitalità del vampiro

di Adolfo Fattori

Dracula, insomma, è un risparmiatore. Un asceta. Un campione dell’etica protestante. E infatti non ha corpo. O meglio, non ha ombra. (Moretti, 1978, p. 85). Un’interpretazione affascinante, un’ipotesi seducente – come seducente è la figura del “Principe delle tenebre”, Dracula, il vampiro più famoso, quello evocato per la prima volta da Bram Stoker nel 1897 (2009), e periodicamente richiamato in vita per tutto il Novecento dal cinema, dalla letteratura, dal fumetto, attraverso le sue reincarnazioni dirette e i suoi infiniti parenti, più o meno lontani. Ipotesi anche piuttosto eccentrica, potremmo pensare, che lo studioso romano giustifica così: Dracula “… non ama spargere sangue: è che il sangue gli serve. […] Il suo fine non consiste nel distruggere a suo arbitrio la vita altrui, nello sprecarla: ma nell’utilizzarla.” (Ibidem). È, insomma, una metafora del capitalista. Del resto, il periodo in cui Moretti scriveva del Conte è quello in cui le analisi di ispirazione marxista e quelle di fonte semiotico/strutturalista erano egemoni – e fertili di spunti originali.

Oggi ci soffermiamo su altri aspetti – che non necessariamente contraddicono quelli messi in luce allora: il vampiro, a partire da Dracula, è diventato uno dei più solidi miti della modernità, insieme alla “creatura” del Frankenstein di Mary Shelley e al Dr. Jekill/Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson. Tre degli archetipi del terrore di cui scrive anche Stephen King nel suo Danse Macabre (1992). E in quanto mito è intrinsecamente polisemico, rimanda alle dimensioni simboliche più imprevedibili…

D’altra parte, il mito del non-morto era già ben presente nell’immaginario, a partire dalle sue origini folkloriche, nelle campagne e nei villaggi slavi. Lo ricorda Marco Meloni, nel suo intervento in Morsi di paura (Fatelli [a cura di], 2011, pp. 85 e segg.), citando l’antropologo Paul Barber (1994) che ne spiega le origini più che profane, legate al tentativo di spiegare col soprannaturale le trasformazioni chimiche e fisiche dei cadaveri, a volte mal sepolti, dei contadini dei territori dell’Europa dell’est. Ma, Meloni aggiunge, i progenitori diretti di Dracula non sono certo questi, puzzolenti mezzadri ignoranti, ma le creature di Sheridan Le Fanu, John Polidori, raffinati e gentili signori e avvenenti e languide dame, che ormai si sono trasferiti dalle campagne alle città. Cioè nelle metropoli che stavano nascendo attorno alle fabbriche (ritorna il discorso di Moretti?: potenza della fertilità semiotica dell’immaginario…). Il vampiro è un signore, raffinato, colto, benché umbratile e melanconico. E nasce dall’attrattiva che l’orrido ha per il nuovo pubblico borghese, specialmente femminile, che si sviluppa insieme all’agiatezza, alla liberazione dai lavori di casa, alla crescita dell’importanza dell’istruzione e della cultura per le mogli dei gentiluomini borghesi in cerca di legittimazione. Nasce quindi col romanzo gotico, a cavallo fra XVIII e XIX secolo, con l’emergere di pulsioni che si fanno vive con sempre maggiore urgenza, che hanno a che fare col desiderio, la violenza, il sesso, la morte – ma che in qualche modo devono essere reindirizzate, camuffate, mediate… Meglio l’evanescenza del soprannaturale, allora, piuttosto che la materialità dei corpi, dei sensi… 

È d’altra parte un fatto che, come il capitalismo finora è sempre riuscito a risorgere dalle sue ceneri, superando ogni volta le crisi da lui stesso scatenate (Cfr. Harvey, 2002, Napoleoni, 2008), così questa figura dell’oscurità e dell’orrore è resuscitata continuamente, magari cambiando sembianze e attributi, durante tutto il XX secolo, e anche oltre, fino ad oggi – fino a diventare personaggio seriale, accattivante e ammaliante nella sua affinità con noi, con le nostre nevrosi, con la nostra affettività, in Tv e nel cinema più recente – e tralasciamo il legame che uno dei campioni del Bene più versatili degli ultimi vent’anni Batman, il “Cavaliere oscuro”, ha con il suo ancor più tenebroso cugino (Fattori, 2010). 

Segno del suo polimorfismo, della sua flessibilità (ancora, come il capitale?), della sua duplicità, che gli conferisce una fertilissima ambiguità mitopoietica: a cavallo fra mortalità e immortalità (Gamba, in Fatelli, cit., pp. 67 e segg.). Qui ci imbattiamo in un altro presumibile motivo della persistenza del signore della notte nell’immaginario contemporaneo: il punto di incontro fra il desiderio di immortalità degli uomini, la paura della morte, la dimensione della amortalità, quella della postmortalità, come le definisce Fiorenza Gamba, citando Edgar Morin, Zygmunt Bauman e Céline Lafontaine.

Ma se l’inseguimento dell’amortalità e l’utopia postmortale sono dimensioni squisitamente moderne, l’idea di una possibile immortalità è profondamente radicata negli uomini sin dall’antichità: certo, immortalità dell’anima, intrinseca al soprannaturale e al sacro, ma poi anche immortalità del corpo. Ed è in questo luogo che abita il vampiro, perturbante, inquietante di per sé, proprio perché si colloca laddove avviene la “coincidenza degli opposti”, come scrive Gilbert Durand (ivi, p. 76). Sul corpo del vampiro, un abitante dell’immaginario ben più antico di Dracula, si attua la fusione dei due regimi fondamentali: notturno e diurno, facendone un elemento ibrido, e perciò perturbante, che si esprime compiutamente con il conte Dracula, vero principe oscuro dell’immaginario moderno. Una figura fatta, quasi, perché il cinema se ne impadronisca, e ne faccia uno dei suoi simboli. E qui risparmiamo al lettore esercizi di analisi simili a quelli degli anni Settanta del Novecento, sulla “vampirizzazione” dei corpi degli spettatori a cinema (cosa che probabilmente qualcuno avrà pur provato a fare…), per ricordare un solo particolare: la natura duplice di ambedue – materiale e volatile allo stesso tempo –, la natura virtualmente comunicativa di entrambe (ricordiamo come il romanzo di Stoker sia costituito da una sequela di comunicazioni scritte: telegrammi, lettere, pagine di diario…), la sostanziale coincidenza delle date di nascita del cinematografo e del Conte, che Coppola, nel suo Bram Stoker’s Dracula (1992) fa transitare – senza incorrere in un anacronismo – in un locale dove viene proiettata una pellicola.

Dracula, come i suoi parenti mostruosi, è perfetto per il cinema: incarna incubi (e sogni inconfessabili), perché se il cinema “… possiede la straordinaria capacità di restituire, interpretandoli e riordinandoli, i conflitti, i bisogni, le paure e le ambizioni di un’intera società in un dato momento storico”, come scrive Chiara Ribaldo (Fatelli, cit., p. 134), allora solo al cinema il Signore della notte può reinterpretare le paure degli individui della metropoli novecentesca nei confronti di un passato che ormai appartiene all’”oscuro fiume del tempo”, quello dei propri avi contadini, e degli incubi più attuali, legati negli anni Trenta alla falce della crisi economica – una dimensione ancor più spaventosa: concreta, selvaggia, e contemporaneamente fatidica, quasi metafisica. Tanto che le sale cinematografiche durante la crisi erano sempre piene. A dimenticare la crisi, a dare sfogo immaginario ai desideri più nascosti e profondi: il sesso, la morte, lo stupro, la violenza (Ribaldo, cit., passim), ma anche a languori e voluttà vertiginose. Tanto da far scendere sul sentiero di guerra moralisti e benpensanti preoccupati – per i minorenni, sicuramente, ma forse anche per la virtù delle proprie donne: si sa che, stringi stringi, i difensori del Bene sempre là vanno a finire…

Ma il Conte resiste, anzi, si trasforma e si adatta: lo ritroviamo, ad aguzzare la vista, rispecchiato nel Batman di Christopher Nolan, una figura crepuscolare, dolente, inconsolabile, segnato dall’antico dolore della perdita dei genitori – e forse in preda ai sensi di colpa per essere sopravvissuto, anch’egli viandante sulla strada dell’immortalità, anche se fosse solo quella cinematografica. O nelle versioni giovaniliste e melodrammatiche delle saghe televisive contemporanee. Rielaborazioni e rispecchiamenti, forse, del procedere delle pratiche di amortalità – le cure, il fitness, le chirurgie estetiche, fino all’accanimento terapeutico, quello sì, effetto di un cinismo perfido e maligno, dell’integralismo più ottuso – e alla ricerca di una immortalità razionale, medicale e scientifica, un’immortalità artificiale, come scrive Jean Baudrillard (2007), che ipotizza un futuro di clonazioni. Come in The Island, di Michael Bay (2005): in un futuro non tanto lontano, i ricchi e i potenti del pianeta potranno far “allevare” in “fattorie” dedicate, i propri cloni, per poter sostituire le parti del proprio corpo man mano che si “guastano”. La nascita del postvampiro!

 

Letture

Barber P., Vampiri, sepoltura e morte, Pratiche, Milano, 1994.

Baudrillard J., L’illusione dell’immortalità, Armando, Roma, 2007.

Fattori A., Dracula non più Dracula, in “Quaderni d’Altri Tempi” n. 25/2010, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero25/mappe/q25_m04.htm 13/05/2011.

Gamba F., Il vampiro o l’immaginario dell’immortalità del corpo, in Fatelli G. (a cura di), Morsi di paura, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2011.

Harvey D., La crisi della modernità, Net, Milano, 2002.

King S., Danse Macabre, Theoria, Roma-Napoli, 1992.

Meloni M., Verba volant, cripta manent. Il vampiro fra immaginario letterario e tradizione, in Fatelli G. (a cura di), Morsi di paura, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2011.

Moretti F., Dialettica della paura, in “Calibano 2”, Il nuovo e il sempre uguale. Sulle forme letterarie di massa, Savelli, Roma, 1978.

Napoleoni L., Economia canaglia, Il Saggiatore, Milano, 2008.

Ribaldo C., Demoni, dei e… pop corn, in Fatelli G. (a cura di), Morsi di paura, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2011.

Stoker B., Dracula, in Shelley Stoker Stevenson, Creature dell’orrore, Einaudi, Torino, 2009.

 

Visioni

Bay M., The Island, Usa, 2005.

Coppola F. F., Bram Stoker’s Dracula, Usa, 1992.

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