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Figli e padri per il lavoro, secondo Ichino

Ho letto l'articolo di Pietro Ichino, Luca di Montezemolo e Nicola Rossi, pubblicato sul Corriere della Sera dell’8 aprile 2011. Sì circa una settimana fa! E' il tempo, ritardo, che mi prendo quando devo riflettere sulle considerazioni dei berlusconiani dal volto umano. Ma il ragionamento che fa Ichino, (prendo lui considerandolo come precursore delle idee a cui anche gli altri si sono accodati) è davvero singolare, ribaltando la verità dei fatti e della realtà per leggerli tutti a immagine e a comprova delle sue di verità.

Ma andiamo con ordine.
Si prende spunto dalla manifestazione dei Precari e dalla parola d'ordine “Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta” per ribadire che i giovani e meno giovani, i precari insomma, hanno ragione, ma anche torto (opposizioni che oggi vanno tanto di moda come quella di fare la guerra per fare la pace, licenziare per poter assumere e così via di questo passo).

Gli assiomi di Ichino sono:

  1. Non si può semplicisticamente pensare di affrontare il tema prendendo la scorciatoia delle sanatorie o considerando il pubblico come luogo deputato all’occupazione assistenziale.
  2. Non si può altrettanto semplicisticamente pensare di contrastare la patologia della precarietà togliendo al sistema i margini di flessibilità di cui ha grande e, anzi, crescente bisogno.
  3. Mantenere e anzi irrobustire i margini di flessibilità del sistema non si può fare nel modo in cui lo si è fatto fin qui, scaricandone tutto il peso sulle nuove generazioni: oltre che iniquo, può costare troppo caro.

Non sono un economista, né un giuslavorista cattedratico né professore universitario, né tantomeno politico responsabile del lavoro nel partito che si dice dalla parte dei lavoratori, ma mi baso su alcuni dati di fatti (che Ichino probabilmente non vede dall'alto dei meriti e titoli) e dal buon senso di lavoratore che queste cose le vive di persona.

Nella prima affermazione vi è tutto una fraseologia e principi tutti ideologici. Ma perché mai la soluzione del pubblico sarebbe "scorciatoia" e luogo "assistenziale" per definizione? Certo se si continua a considerare il luogo pubblico come serbatoio di voti e di consenso per i politici al pari suo, le cose non cambieranno mai. Il lavoro pubblico italiano è diventato il carrozzone proprio perché i politici al pari suo lo hanno fatto diventare così, e per due motivi. Il primo per poter affidare tutto al privato, dalla sanità, alla scuola, per finire anche ai beni comuni, vedi acqua e fra un po' anche l'aria. Il secondo motivo è che quel poco che ancora di pubblico vi è, diventa macchina del consenso e serbatoio di voti da parte del ceto politico al quale Ichino appartiene a pieno titolo. Se il giuslavorista accademico invece di condurre battaglia contro i lavoratori conducesse battaglie contro il ceto a cui appartiene forse il lavoratori pubblici sarebbero affrancati dall'asfissia e dalla nomea di "fannulloni". Si capisce quindi come mai il lavoro nel pubblico diventa occupazione assistenziale come un assioma naturale insormontabile, trascendentale quasi mistico e inamovibile. Mentre se lo stesso lavoro viene affidato ai privati diventa sinonimo di efficienza, quasi come per il miracolo dei pesci e dei pani.
Ma andiamo oltre.



La precarietà diventa patologia, malattia inguaribile se non a scapito della flessibilità base e fondamento del progresso e del "moderno", della quale non solo se ne ha bisogno ma il bisogno stesso diventa sempre più necessario e sempre più crescente. Beh a questo punto sorgerebbe naturale la domanda del perché mai la stessa flessibilità che si chiede per gli altri lavoratori non venga applicato anche al sig. Ichino visto che da anni occupa sia il posto al parlamento , sia nel partito, sia all'università ecc ecc. Ma sarebbe possibile essere tacciati di qualunquismo e quindi non gli rivolgo questa ipotetica domanda. Ma la precarietà è patologia come dice lui stesso, ma per colpa del modo con cui si è fatta fin'ora. Anche qui potrei essere tacciato di qualunquismo se ricordassi al sig Ichino che fu proprio il suo partito quando era al governo a introdurre la precarietà (legge Treu) come legge di stato sia nel modo che nel metodo, almeno gettò le premesse e quindi sarebbe necessario un minimo di autocritica , ma sarebbe chiedere troppo.

Quindi ora qualcuno si potrebbe aspettare il botto finale, logica conseguenze dei suoi assiomi. Ci si aspetterebbe che si dicesse che affinché la flessibilità non diventi precarietà tutti coloro che di questa flessibilità se ne avvantaggiano, che ci guadagnano, il singolo, la classe o il sistema come lui afferma, si sobbarcassero che alcuni di quei vantaggi monetizzati ricadessero su precari stessi sotto forma di diritti, di salario minimo garantito anche nei momenti di non lavoro, di indennità di malattia, di TFR, di ferie, di una pensione ecc ecc . E no! Sarebbe troppo semplicistico e sarebbe una "scorciatoia", come suol dire
il sig Ichino!

La soluzione geniale trovata dal sig. Ichino e sintetizzabile nella locuzione "son cazzi vostri, di voi lavoratori". Sì perché Ichino dice che si eliminano i contratti chiamati a tempo determinato, li si chiamino a tempo indeterminato, per tutti, ma si può licenziare a libera scelta e volontà del datore di lavoro! Ancora un ossimoro! Si chiama a tempo indeterminato ma diventa determinato a volontà del padrone. Basta dimostrare i motivi economici e organizzativi. E che c'è
vò!
Che siano i padri lavoratori a pagare per i figli lavoratori. Basta che siano lavoratori!

E questo sarebbe uno che milita in un partito che si dice dalla parte dei lavoratori! Stamo bene!

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