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Euro-retorica: questione di narrative

Oggi in Eurozona abbiamo dati macro “positivi” che sono semplicemente una forma piuttosto ectoplasmatica di derivata seconda; dati macro negativi che sono tali sotto ogni aspetto e senza virgolette; e dichiarazioni politiche che fanno una enorme fatica a cogliere il punto della questione, abbandonandosi ad una euro-retorica che semplicemente non ha senso.

Tra i dati inequivocabilmente negativi abbiamo la produzione industriale tedesca, che a ottobre flette dell’1,2 per cento su base mensile. Visto che un singolo dato non rappresenta un trend, è utile segnalare che anche a settembre il dato era negativo, per lo 0,7%. La crescita su base annua scende così ad un assai esile 1%. Se non bastasse, i dati sull’occupazione tedesca sono in lento ma costante deterioramento da ormai quattro mesi. A giudicare da questi numeri l’economia tedesca non sembra essere entrata nel quarto trimestre esattamente a passo di carica. Altro dato macro inequivocabilmente negativo è quello dell’indice greco dei prezzi al consumo, il cui tendenziale a novembre segna un meno 2,9%, da meno 2% di ottobre ed attese per un meno 1,8%. Nel frattempo, il Pil greco (che è, ricordiamolo, una grandezza reale), nel terzo trimestre si è contratto di “solo” il 3% su base annua, pur se su base non corretta per i giorni lavorati. Questo è il dato “positivo”, o meglio la derivata seconda.

Ovviamente, se il Pil reale si contrae ed i prezzi a loro volta calano, ciò significa che anche il Pil nominale è in forte ridimensionamento assoluto. Ciò premesso, come faccia un paese con un rapporto debito-Pil al 170% ed una feroce deflazione in atto (che riduce il Pil nominale) a non necessitare di una ristrutturazione di debito, cioè ad un abbattimento del suo valore nominale, resta un mistero per nulla gaudioso. Per ora tutti fischiettano facendo finta di nulla, soprattutto a Berlino, ma la resa dei conti arriverà.

Sul capitolo delle “narrative”, segnaliamo le dichiarazioni di ieri del premier Enrico Letta. In esse si riscontra l’esigenza di cambiare qualcosa, ma tale esigenza appare sepolta sotto una retorica europeista piuttosto inquietante, visto quanto sta accadendo. Intervenendo alla iniziativa “A new narrative for Europe“, organizzata a Milano dalla Commissione europea, Letta ha tra le altre cose commentato:

«E’ il momento di combattere per l’Europa, di difendere le conquiste che abbiamo fatto in passato perché l’inerzia non basta più. Con l’inerzia perderemo tutto quello che abbiamo conquistato. E’ ora di metterci tutti la faccia e di combattere se no si lascerà spazio ai nazionalismi e agli sciovinismi. A ottobre abbiamo raggiunto un accordo per mettere fine al fenomeno perverso del roaming, che costituisce un ottimo affare per gli operatori di tlc ma è un costo enorme per noi. Eppure di questo non è fregato niente a nessuno nei media, nell’opinione pubblica, nella discussione, zero. E un tema rimasto solo per i giornali tecnici. Si è parlato solo del telefonino della Merkel ascoltato dagli americani, forse perché non è mai stato appurato. Dico questo per sottolineare come in questo momento noi abbiamo il vento contro in Europa, ogni cosa che facciamo, anche la più utile, non viene apprezzata come dovrebbe e invece è facile buttare benzina sul fuoco. Occorre dunque una battaglia culturale e politica perché se ci fermiamo, non riusciremo a mantenere le conquiste fatte, torneremo indietro e daremo spazio a sciovinismi e nazionalismi»

Certo, se abbiamo l’Eurozona che rischia di essere il maggiore generatore di deflazione del pianeta e siamo qui a rallegrarci per aver abbattuto le tariffe di roaming, la situazione è gravissima ma non è affatto seria. E peraltro, volendo seguire il ragionamento di Letta nei dettagli, in Europa le società telefoniche hanno un problema in corso di aggravamento: la Commissione ostacola un inevitabile processo di concentrazione su scala continentale, forzato da redditività insufficiente che ostacola lo sviluppo degli investimenti e lo stesso progresso tecnologico. Ma non divaghiamo.

Letta ha ribadito che serve l’Unione bancaria europea ma non dice che, sulle basi attuali del dibattito, l’unione che avremo sarà una gracile confederazione che accentuerà l’arretramento su basi nazionali dei mercati finanziari, non riuscirà a recidere il legame banco-sovrano ed aumenterà le pressioni deflazionistiche nell’area. E le pressioni deflazionistiche, per il nostro paese, significano una cosa sola: rischio crescente di insostenibilità del debito pubblico, quindi rischio crescente di imposizione patrimoniale, ordinaria e straordinaria. Altro che roaming, presidente Letta!

E quindi, che fare? Servirebbero alleanze europee, ma al momento il peso massimo e massimamente sofferente, la Francia, si dedica attivamente alla politica estera post-coloniale e militare, e non ritiene di gettare il proprio peso nella contesa, anche perché i mercati continuano a premiare il suo debito pubblico, che resta cocciutamente a poco più di mezzo punto percentuale sopra quello tedesco, una vera sfida alla forza di gravità.

Decisamente, serve cambiare narrativa e chiamare le cose col loro nome, oltre che mettere per il momento da parte la solita melassa scaduta su Adenauer, Schumann, Spinelli, eccetera. Perché ora siamo di fronte ad una sfida esistenziale che pare messa su una traiettoria di esiti infausti. Ed accusare “gli sciovinismi” equivale ad incolpare il termometro quando si ha la febbre. Giusto per capirci.

Ad ogni buon conto, pensate positivo. Ecco cosa il presidente della Commissione europea, José Manuel Durao Barroso, pensa possa servire all’Europa per trasmettere il proprio soft power di regione minata dalle fondamenta:

«E’ vero, come diceva prima il premier Letta, che temi come l’Unione Bancaria non scaldano il cuore della gente anche se sono fondamentali. Però è vero che in Europea serva una discussione più emotiva, servono emozioni, grandi manifestazioni, qualcosa di più vicino alle persone, magari lo sport e il calcio. L’immagine dell’America è stata ben trasmessa da Hollywood ma il problema è che in Europa noi siamo tanti paesi diversi, con lingue e culture diverse. E’ tutto più difficile ma il cinema può diventare un mezzo per alimentare un’immagine europea nel senso più ampio. Ne ho parlato anche con l’accademia cinematografica europea perché è difficile fare girare il film fatti in Europa da un paese all’altro. In genere questo succede solo a un film o due mentre i film americani girano molto più velocemente»

Se volete il nostro contributo narrativo contro l’eurodepressione, eccolo: il mandato di Barroso è quasi terminato. Da qui possiamo solo migliorare.

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