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 Home page > Tribuna Libera > Elogio della lentezza: il mio caffè non è digitale

Elogio della lentezza: il mio caffè non è digitale

Nella civiltà del faster is better credo che l'ancora di salvezza possa semplicemente essere ritrovata nella lentezza di gesti quotidiani che scavano le loro radici nella memoria del tempo.

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E' appena sorto il sole e mi trascino, addormentato, dal letto ai fornelli, in movimenti asincroni che ricordano da vicino gli zombie dei b movie italiani anni settanta.

La nuvola di vapore, che ribolle con lentezza dal beccuccio metallico della mia moka, invade le narici con una prepotenza diversa, fatta di piccoli gesti ripetuti mattina per mattina, riempie la mia testa di un aroma che sa di giorno appena iniziato, ma anche di un sovrapporsi di immagini costruite sul tempo e nel tempo che scorre in maniera regolare, ritmica senza la fretta che so che mi attende varcata la soglia della mia cucina.

Gli strati, accumulati in quel ciclico ripetersi, non hanno nulla a che fare con il cinico ridarsi di un'abitudine, sono frutto della sedimentazione di giorni filtrati attraverso la memoria delle cose vissute, come la macchinetta filtra il caffè solo quando la temperatura è esatta.

Sono riti. Costruiti con azioni che non sono volte ad un semplice fine, ma si aprono al piacere dell'attesa, alla ricerca del gusto, all'edificazione di uno spazio, definito appositamente per proteggersi dalla dinamica incertezza che ci aspetta nel mondo reale. Il mio caffè la mattina è questo, un'evento denso, una creazione di luoghi e tempi, dove il mio io ricostruisce se stesso, si ritrova e si rigenera, senza dover avere uno scopo o una meta da raggiungere, una certezza fatta di cose sempre uguali a se stesse, che non trovano mai la banalizzazione della meccanica perchè possiedono la capacità intrinseca di esprimere un senso nella piacevole semplicità delle regole forgiate non dalla necessità, ma dalla volontà stessa.

Arrivare in cucina, aprire la mensola, tirare fuori tazza e macinato, pausa; aprire il barattolo, annusarlo, preparare il tutto, pausa; acqua, filtro, fuoco, pausa, gambe accavallate, pensieri e finalmente il risveglio dell'udito, acqua in fermento, poi dell'olfatto, profumo di cose lontane e vicine, della vista, colore bruno che invade il recipiente, del tatto, calore di casa, di colazioni perdute in infiniti anni, solo per ultimo gioca il suo ruolo del gusto, forte, pieno e avvolgente, un incontro preparato che risveglia tutti i sensi attraverso la memoria e la memoria conserva invariato il tutto, come scudo contro lo stress della corsa quotidiana. Ultima pausa, ultima parte del rito, accendo la mia sigaretta e godo. Osservo il fumo che si alza entropico verso il soffitto, lo sento scendere pesante nei polmoni, nulla può disturbarmi perchè sono lontano chilometri.

Qui il significato supera il significante, si carica e esplode di potenza simbolica. Qui nasce la sacralità (nel senso laico del termine) del rito, nel varcare il semplice confine ontologico degli oggeti che gli appartengono, e l'uomo incontra il suo lato "trascendentale". Il valore acquisito dell'azione non corrisponde più al suo effettivo fine, lascia la concezione del suo senso percepito collettivo e acquista nuovi criteri di decodificazione che appartengono solamente ad un gruppo, ristretto e delimitato proprio da questi codici. In questo specifico caso il gruppo conosce solo me.

Lo so che durerà solo un istante, che mi trascinerò lungo la giornata in duelli di equilibrismo per non perdere la calma, che dovrò correre più veloce di quanto il fiato me lo permetta, che userò e sarò usato da tutta quella tecnologia che ormai ha condizionato le nostre vite e che è divenuta un indispensabile aiuto, ma la Nespresso che mi hanno regalato per Natale resterà nella sua scatola, perché, se non altro, ogni mattina, voglio avere la capacità di riprendermi parte della mia indipendenza e del mio tempo, attraverso un rito che diviene simbolo della possibilità di un'esistenza al di fuori della visione utilitaristica e dei termini di efficienza pragmatica, un piccolo secondo, se vogliamo, anche di puro edonismo, per questo il mio caffè non sarà mai digitale.

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