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Paraolimpiadi e orgoglio: Zanardi e la sua rinascita

L'ex pilota di Formula 1 trionfa alle paraolimpiadi vincendo la prova a cronometro H4 nell'handbike a 45 anni, dimostrando che la volontà nella vita è tutto.

Bravo puoi diventarlo, campioni si nasce. Quella sottile differenza che separa l'uomo dall'eroe, fa parte del corredo cromosomico. Non si parla di semplice talento, quello non basta. Si parla di cuore, di testardagine, di rabbia e voglia di dimostrare, a se stessi, prima che agli altri, che non è finita fin quando non lo decidi tu.

Coraggio e determinazione, contro il destino, contro la statistica, contro qualsiasi ostacolo ci si pari davanti. Perché quando hai tutto, pensi di aver trovato la tua strada e a un certo punto la sorte ti si para davanti e ti dice "No!", è molto difficile risalire la china.

Alex Zanardi, classe 1966, nato e cresciuto a Bologna, un solo sogno fin da quando aveva 14 anni, i motori. Ed è nell'ambiente delle corse che matura come pilota e come uomo, gavetta tra i Kart, dove gli viene dato il soprannome di Parigino per la sua guida precisa e pulita, poi il passaggio in Formula 3 alla guida della Dallara-Alfaromeo, ancora uno scalino ed è F-3000, il trampolino di lancio che lo porta alla sua prima vettura nella categoria più prestigiosa.

Sostituì proprio l'avversario contro cui vinse la coppa Europa, nel leggendario circuito di Le Mans (F3 1990), correndo per la Jordan nel 1991 e facendo da terzo pilota per la Benetton l'anno seguente, tutto sembrava andare per il meglio, fino al passaggio alla Lotus, dove cominciano i primi guai. Un incidende lo costringe a chiudere la stagione in anticipo nel 1993 e l'anno seguente la scuderia a corto di fondi gli preferisce un pilota dotato di sponsor.

Ma Zanardi non si perde d'animo e approda alla Cart statunitense, alla Chip Ganassi Racing. Il primo anno vince il titolo di Rookie, esordiente dell'anno, piazzandosi terzo nella classifica generale, anche grazie a una memorabile gara a Laguna Seca, dove conquista il gradino più alto del podio. Nei due anni successivi non c'è più storia, Alex stacca tutti gli avversari, laureandosi campione e divenendo l'idolo delle folle di oltreoceano.

Poi ancora un anno in F1, con la Williams, ma a causa della vettura lenta e dei problemi con la scuderia, l'avventura rimase anonima, infine nel 2001 il ritorno alla Cart e il gravissimo incidente, Alex perde il controllo della vettura, in uscita dai box, e la sua auto, messa di traverso sulla pista, viene letteralmente tagliata a metà. Il buio, perde entrambe le gambe e rischia la morte. Di più, è tanto vicino ad essa che il cappellano di pista gli pratica l'estrema unzione.

Ma lui è caparbio, rimane in coma per due settimane e poi miracolosamente si riprende. Finito direte voi? Una persona normale, dopo l'incidente all'Eurospeedway di Brandeburgo e dopo che i dottori gli fanno capire che nulla sarà come prima e che dovrà ripartire da zero, si sarebbe arresa. Il trauma, le difficoltà e anche la paura avrebbero avuto la meglio. Ma lui non è normale, non solo riprende la sua vita di uomo con l'aiuto delle protesi, ma vuole recuperare anche il suo sogno, tornare a correre, tornare a vincere.

E lo realizza nel 2005 nella classe WTCC con una Bmw, conquista il titolo del Campionato Italiano Superturismo, con una macchina modificata apposta per le sue esigenze. Inoltre trova una nuova passione l'handbike, passione che lo porterà all'argento ai Mondiali di Roskilde 2011.

Così, si arriva diretti alle paraolimpiadi del 2012, a Londra, dove nella stessa prova, la cronometro H4, arriva un oro dal sapore particolare, che ha il gusto della rivincita e ripaga le enormi fatiche fatte dal campione per rimettere la sua esistenza sui binari del successo. Eroe perchè non si è arreso, grande uomo perchè sa ancora stupirci e quando scherzando gli chiedono "Cosa farà da grande?", lui risponde con un'onestà che sa di tenerezza: "Senza sport non so vivere. Mi considero uno che ha avuto tanto nella vita e continuo ad aggiungere. Di questo non posso che ringraziare la Dea bendata".

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