Elezioni in Venezuela: perché Chávez ha vinto
Contro tutte le previsioni interessate della maggior parte della stampa europea, anche di centrosinistra, Hugo Chávez ha vinto ancora una volta, e con un margine tale da impedire contestazioni: 54,42% Chávez, 44,97% per Capriles. Non il 70% che nell’esaltazione della campagna era stato chiesto dal presidente, ma sempre un risultato ottimo. Gli elettori dell’area NI-Ni (“Né-Né”), cioè i delusi dal bolivarismo che non volevano però votare per la destra, e che costituirebbero il “Terzo Venezuela”, non sono risultati così numerosi, e in ogni caso hanno eroso solo marginalmente il consenso al presidente.
Un dato sottovalutato dai commentatori ostili (e sorpresi) è l’alta affluenza alle urne, che ha imposto in molti seggi il prolungamento del voto per oltre un’ora, fino all’esaurimento delle code. I votanti hanno superato l’80% degli aventi diritto, segno inequivocabile di una passione politica che in Europa (per non parlare degli Stati Uniti) non esiste più da molti anni.
La ossessiva speculazione dell’opposizione sulle condizioni di salute del presidente, e quindi sul rischio che a breve scadenza gli possa subentrare qualcuno degli esponenti meno amati dell’apparato che lo circonda, non ha funzionato. Altra cosa sarà verificare se nelle elezioni dei governatori che si terranno il 16 dicembre il PSUV manterrà la stessa maggioranza, o se continuerà la dinamica che ha già portato l’opposizione al governo di alcuni degli Stati più popolosi in cui i candidati “bolivariani” erano considerati inefficienti, o corrotti, e in ogni caso non erano stati scelti dalla base.
L’assurdo è stato che in Italia si afferma spesso che la libertà di espressione sarebbe limitata in Venezuela. La verità è che il settore privato, ostile a Chávez, controlla ampiamente i mezzi di comunicazione: di 111 canali televisivi, 61 sono privati, 37 comunitari e 13 pubblici. Con la particolarità che l'audience dei canali pubblici non passa il 5,4 %, mentre quella dei privati supera il 61% E anche l'80% della stampa è nelle mani dell'opposizione, essendo i due giornali più influenti, El Universal e El Nacional, contrari al governo.
Ma siamo abituati alle montature propagandistiche, ad esempio quelle che drammatizzano quasi ogni giorno le notizie su Cuba, della nostra stampa “indipendente”, che è invece schierata - con una compattezza da socialismo reale - a favore delle peggiori proposte di Monti, sia pure senza troppo successo.
L’importante è che l’esperimento di Chávez non sia stato interrotto come sperava l’imperialismo europeo, né indebolito da uno scarto troppo piccolo di voti rispetto all’avversario, determinando una fase di instabilità. È ovvio che questo avrebbe avuto ripercussioni pesanti in tutta l’America Latina. Enrique Capriles assicurava che non avrebbe interrotto le politiche di “convergenza bolivariana” de nuestra América, ma questa dichiarazione era inattendibile nell’uomo che durante il golpe del 2002, appena dieci anni fa, aveva tentato di assaltare l’ambasciata di Cuba. E la parte più positiva e originale del programma di Chávez era proprio quella internazionale: la creazione dell’UNASUR, l’Unione delle Nazioni Sudamericane, l’allargamento del MERCOSUR, di cui il Venezuela è divenuto socio recente, superando non poche difficoltà.
Un suo insuccesso avrebbe spostato anche i complessi equilibri nella neonata CELAC, la Comunità degli Stati Americani e Caraibici, e dato un colpo gravissimo alla già fragile Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), che ha in Venezuela e Cuba l’asse portante. D’altra parte il presidente Obama, che pure ha finalmente dichiarato che il Venezuela non rappresenta un pericolo per gli Stati Uniti (bontà sua!), aveva comunque finanziato con 20 milioni di dollari l’opposizione, in perfetta coerenza con i principi della “non ingerenza” pretesa dagli altri e mai praticata. Non sarà un pericolo, ma è meglio che Chávez se ne vada…
E una conferma dell’importanza della sua vittoria per tutto il continente viene dall’immediato commento di Cristina Fernández Kirchner, la prima a congratularsi: “La tua vittoria è anche la nostra. È quella dell’America del sud e del Caribe. Forza Hugo! Forza Venezuela! Forza Mercosur e Unasur”.
Perché i sostenitori di Chávez nel mondo sono stati col fiato sospeso fino a ieri? Perché il suo bilancio sul terreno della trasformazione del paese non era così esaltante. Certo, ci sono stati risultati sottovalutati all’estero, ma apprezzati in patria, soprattutto dai beneficiati. Per esempio la recente creazione di altre 30.000 abitazioni confortevoli e moderne (tre stanze, cucina e due bagni) per i danneggiati dalle alluvioni di un paio d’anni fa. Iniziativa elettoralista? Magari ce ne fossero da noi, di queste: pensiamo a come sta ancora L’Aquila…
E non è vero che queste iniziative siano state fatte solo a ridosso delle elezioni: in Italia nessuno ne ha parlato, ma ad esempio, e senza troppa propaganda, è stata costruita a tempo di record una rete teleferica che collega alla città il popoloso barrio di San Agustín, un caotico ammasso di baracche e case autocostruite sui monti che circondano il centro. Una modernissima cabinovia, gratuita, che ha permesso a molti anziani bloccati da anni nelle favelas più alte e lontane, collegate solo da strade precarie o addirittura da ripide scalinate, di rimettere piede in centro. Decisa nel 2006, la prima pietra fu posta già nel novembre di quell’anno, e nel 2010 era già completato un primo tratto con cinque stazioni, mentre quest’anno dovrebbe esserne completato un altro ben più lungo. Ce lo sogniamo noi questo tipo di efficienza e rapidità? E quale opera pubblica è mai stata concepita da noi per migliorare esclusivamente le condizioni di esistenza degli strati più poveri della popolazione, senza nessuna ricaduta economica per lo meno a breve termine?
Chi ignora queste concrete trasformazioni delle condizioni di vita di tanti abitanti di Caracas, non può capire il loro impegno a sostenere il presidente. Dopodiché si può anche sospettare che l’impresa austriaca Doppelmayr e la multinazionale brasiliana Odebrecht (che hanno costruito l’opera insieme al ministero venezuelano delle Infrastrutture) abbiano guadagnato parecchio, e che qualche esponente della “boliburguesía” ci abbia ricavato un bel gruzzolo. Si può obiettare che nonostante quest’opera e nonostante le misiones il reddito medio degli abitanti delle centinaia di San Agustín che ci sono nel Venezuela non sia cresciuto a sufficienza, e che in definitiva si sia mantenuto sostanzialmente il divario rispetto ai redditi degli strati più ricchi. Si può contestare la fondatezza dello slogan sul “socialismo del XXI secolo”, ricordando che negli anni di Chávez il peso del settore privato nel PIL è aumentato significativamente.
Si può anche e soprattutto discutere la fortissima personalizzazione del potere, e il ruolo schiacciante del presidente (che lo rende tra l’altro più vulnerabile dai suoi nemici), ma non si può sfuggire alla domanda: cosa sarebbe l’intera America Latina senza l’impulso dato da questo originale presidente, e senza la sua popolarità dovuta alla semplicità del suo programma, che ha permesso la straordinaria mobilitazione dal basso che lo ha liberato al momento del golpe del 2002?
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