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Einaudi e le cause del dissesto economico finanziario odierno

Luigi Einaudi fu protagonista del ‘900 non tanto come presidente della Repubblica quanto come economista di stampo liberale.

Il presidente della Repubblica Luigi Einaudi (a destra) a colloquio con l'ingegnere Oscar Sinigaglia (a sinistra) al Palazzo del Quirinale negli anni cinquanta

Quindi di idee differenti se non contrastanti rispetto a quelle che hanno dominato la filosofia economica del ‘900 e di moda ancora nel presente anche in tutto l’occidente.

In molti saggi sostiene che il suo piano economico non è quello di Keynes. A più riprese nei suoi scritti mette in discussione la cosiddetta <<trappola della liquidità >>(secondo cui il risparmio frenerebbe la crescita), anche riflettendo sul boom economico di Italia e Germania all’indomani del 1945 ed evidenziando il ruolo positivo del risparmio privato, vittima in troppe circostanze di una tassazione espropriativa.

In altra occasione egli sottolinea quanto sia cruciale la pietra d’angolo di ogni analisi monetaria: quella teoria quantitativa che connette l’aumento della moneta e la crescita del livello dei prezzi esaminando la velocità della circolazione della moneta e il ruolo dei surrogati monetari: dagli assegni ai titoli di altro tipo. 

Al contempo Einaudi amava sottolineare la riflessione degli economisti classici, verità semplici e chiare,esposte in un linguaggio rigoroso e affascinante.

E nei suoi scritti è sempre netta la convinzione che una società solida esiga una moneta «sana», una proprietà tutelata, un ordine giuridico che limiti l’azione pubblica e tuteli gli imprenditori. Proprio per questo in Einaudi abbiamo un «piano» assai diverso da quello di Keynes. Dinanzi alla proposta di espansione della massa monetaria avanzata dall’economista britannico, Einaudi è netto. Per lui aumentare la quantità di moneta significa produrre inflazione, ma «l’aumento dei prezzi equivale a una imposta», e per giunta si tratta di una tassazione del tutto peculiare e tale da disturbare la vita economica. E aggiunge che «il disordine sociale del dopoguerra fu dovuto non alla guerra in sé, ma alla inflazione monetaria la quale si accompagnò, sebbene non necessariamente, ad essa». Conclusione: adottare di nuovo soluzioni espansive «potrebbe significare il crollo della civiltà occidentale». Nel 1946, riflettendo sulle condizioni della ripresa, Einaudi fa questa puntuale affermazione: «il male di cui noi soffriamo non è che ci sia troppo risparmio impiegato; il male è che oggi i risparmi sono cresciuti di meno di quanto non sia cresciuto il fabbisogno del risparmio, determinato dal moltiplicarsi dei biglietti e dal crescere dei prezzi». Esattamente in questo senso il keynesismo quale koiné comune delle politiche monetarie del nostro tempo risulta allora in stretto rapporto con quelle crisi a ripetizione da cui ancora non siamo usciti e col generale dissesto istituzionale con cui ogni giorno facciamo i conti. L’economista Einaudi, oggi, avrebbe insomma molte critiche da indirizzare a Mario Draghi e Ben Bernanke ed altri.

Insomma per Einaudi il risparmio paga, i debiti no.

Foto Wikimedia

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