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Educazione siberiana

Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare.

L'Educazione siberiana di Gabriele Salvatores è una storia di formazione, almeno nella sua prima parte. È cioè la storia di due giovani che vivono in una sorta di ghetto, "Fiume basso", in una non specificata località della Trasnistria dove da qualche decennio son stati deportati e ammassati i criminali provenienti da ogni parte del pianeta Russia.

I siberiani sono il clan più povero ma rispettato, dotato di un codice d'onore ferreo e tradizionale che fa dire di se stessi "onesti criminali": niente soldi rubati in casa; rubare a ricchi, polizia, banchieri e usurai è un diritto; possedere soltanto però ciò che il cuore di un uomo può amare. Sono le regole che nonno Kuzja (John Malkovich) impartisce assieme ai rituali e all'addestramento alle armi.

Come nell'Oliver Twist di Charles Dickens, l'infanzia di Kolima e l'amico Gagarin scorre testimone del mondo degli adulti criminali, per diventare ben presto protagonista. Due piccoli delinquenti calati in una Russia che cambia sotto la caduta del muro di Berlino ma pur sempre un mondo povero e senza prospettive. Un mondo nel quale il volo spensierato su una giostra ascoltando Bowie a tutto volume introduce il benessere occidentale, che scardina i valori tramandati: Bowie contro Mama Sybir. L'uomo può volere più di quel che il suo cuore può amare e Gagarin, dopo la galera, vuole di più.

Alla piccola banda di Kolima, Gagarin e gli altri inseparabili amici si unisce Xenja, una ragazza bislacca, una "voluta da Dio" come si chiamano quelli come lei che i criminali non solo non devono toccare, ma accettare e proteggere. I due opposti – il bello onesto e la carogna senza regole – divergeranno inesorabilmente e diventeranno protagonisti di quelle parabole che nonno Kuzja racconta con trasporto per insegnare loro a vivere: il lupo non ritroverà il branco dopo essersi unito agli uomini, e chi ha abbandonato la dignità per salvarsi da quella fame che soltanto viene e va, non potrà ritrovarla. Temi che non sono soltanto istruttivi per i piccoli delinquenti, ma istruiscono la trama stessa come una metanarrazione sulla quale si disporranno le vite dei due.

Ogni cosa pare segnata da un destino. Il destino iscritto sulla pelle di un uomo attraverso i tatuaggi. La Russia è quella della trasformazione: parte dalla tradizione di una diaspora gelosamente custodita che attraversa la Glasnost sino al Caucaso dei trafficanti di eroina. In questa tradizione nonno Kuzja è il vecchio saggio la cui autorità è riconosciuta da tutti.

Ma ciascuno ha il proprio ruolo, come il maestro tatuatore a cui nonno Kuzja rimette Kolima perché faccia del suo disegno un'arte che serva. Ink il tatuatore è sorta di sciamano, come dei tanti che ancora la Siberia conta, conserva il sapere delle storie e dei simboli poiché il "tatuatore è un confessore". Il tatuaggio non è quello cui siamo abituati, una moda diffusasi nel tempo della crisi di valori e di risorse, di sogni, come inconscio appiglio a una sicurezza che si porta sulla pelle, indelebile mentre fuori tutto è instabile e volubile. Il tatuaggio è la storia della vita di un uomo, ma è il tatuatore che decide quale simbolo collegare alla storia che un uomo di sé racconta e a scriverlo sulla sua pelle. "Che cosa leggi di lui?" chiederà Ink a Kolima davanti a una spia assassinata.

Una storia che si adagia aristotelicamente entro i limiti della tragedia che cresce un'amicizia tenace fino a opporre amico ad amico. Un film che per molti critici rimane irrisolto, per la semplificazione che del libro di Nicolai Lilin viene fatta scevrandone la violenza vera e la crudeltà quotidiana, edulcorandone gli affetti e la costruzione dei personaggi. Un film in cui però la costruzione di simboli stratifica la narrazione stessa.

 

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