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Disastro del Moby Prince, 23 anni di misteri e bugie

Il 10 aprile del 1991, il traghetto Moby Prince, appena partito da Livorno alla volta di Olbia, entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo all'uscita del porto. Nell'incendio muoiono le 140 persone a bordo della nave passeggeri. Si salverà soltanto un mozzo. Per le famiglie delle vittime troppe cose non tornano, a partire da misteriose navi militari americane presenti in quell'area. Una nuova perizia potrebbe ora far riaprire le indagini per quella che secondo alcuni è "l'Ustica dei mari".

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Il Moby Prince
Il traghetto nel porto di Livorno dopo il disastro

Sono le ore 22:25:27 del 10 aprile del 1991. Sul canale 16 Vhf, la frequenza di emergenza della banda utilizzata per le trasmissioni sottocosta, la stazione a terra Livorno Radio del ministero delle Poste e Telecomunicazioni (all'epoca non spettava alle Capitanerie di Porto ascoltare quei segnali 24 ore su 24), capta il disperato mayday del Moby Prince.

La comunicazione della nave è disturbata, in quanto spesso coperta da un segnale di un operatore marittimo francese (Isola di Porquerolles, Provenza). Sembra infatti che chi l'ha lanciato, non essendo alla postazione radio, abbia usato il Vhf portatile. Il mayday è tuttavia chiaro, come del resto il nome della nave che l'ha invocato. Non viene captata, viceversa, l'indicazione della posizione del traghetto. La parola pronunciata è però inequivocabile: è una richiesta internazionale di soccorso, inviata solo su ordine del comandante di una nave (ma vale anche per gli aerei) in caso di pericolo immediato per la vita delle persone a bordo. Il traghetto ha insomma chiesto aiuto. In quelle acque si consumerà nei successivi minuti, la più grave tragedia, in termini di vite umane, della nostra marina mercantile fin dalla Seconda guerra mondiale.

Ma partiamo dall'inizio. Alle 22:22:20, i nastri della stazione Livorno Radio registrano la trasmissione iniziale del Moby Prince, ancora in porto, che sta mollando gli ormeggi alla volta della Sardegna, diretto a Olbia. Anche stavolta, la comunicazione copre un segnale francese. Il traghetto Prince appartiene alla compagnia Navigazione Arcipelago Maddalenino (Nav.Ar.Ma) della famiglia Onorato (quella del team velico Mascalzone Latino, che la trasformerà in seguito in Moby Lines e attuali proprietari dell'ex colosso statale Tirrenia). A bordo del traghetto ci sono in tutto 141 persone, di cui 75 passeggeri e 66 membri dell'equipaggio agli ordini del capitano superiore di lungo corso, Ugo Chessa. Pochi minuti dopo, nel cono di uscita del porto, avviene la devastante collisione. Le sentenze della magistratura dicono che è stato il Moby Prince a colpire con la prua l'Agip Abruzzo, ferma però all'uscita del porto, pare all'interno del triangolo in cui vige il divieto di ancoraggio. Fatto sta che viene squarciata la cisterna 7 della petroliera, che conteneva 2.700 tonnellate di petrolio, diverse centinaia delle quali finiscono a bordo del traghetto che prende fuoco.

Il ritardo nei soccorsi è sotto gli occhi tutti. Già il processo di primo grado, che si è svolto a Livorno e la cui sentenza arriva la notte del 31 ottobre 1997, oltre al terzo ufficiale di coperta dell'Agip Abruzzo, Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo, vedeva imputati il comandante in seconda della Capitaneria di porto, Angelo Cedro, e l'ufficiale di guardia, Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo, proprio per non aver attivato i soccorsi con tempestività. C'è poi il marinaio di leva Gianluigi Spartano, a processo invece per lo stesso reato ma per non aver trasmesso la richiesta di soccorso. Verranno tutti assolti perché "il fatto non sussiste". La sentenza verrà poi parzialmente riformata in appello, a Firenze, il 5 febbraio del 1999 anche se verrà dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. I giudici ci terranno però a evidenziare che l'inchiesta della Capitaneria, ritenuta fondamentale perché avviata immediatamente e in grado di influire su quella successiva della magistratura, "può essere stata condotta da alcuni dei possibili responsabili del distrastro", puntando quindi il dito sulla Capitaneria di Livorno (quella che ha viceversa svolto un ottimo lavoro nel naufragio della Costa Concordia del gennaio 2012).

Già ai tempi della prima sentenza, troppe cose non tornavano, tanto che alcuni parlamentari chiesero, invano, l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. I familiari delle vittime si sono intanto costituiti in due associazioni. La più grande si chiama "140" ed è presieduta da Loris Rispoli, che nel rogo del traghetto ha perso la sorella. La seconda, più recente, è la "10 aprile", guidata da Angelo Chessa, figlio del comandante Ugo. Nel 2006 hanno chiesto alla procura di Livorno la riapertura delle indagini, archiviate quattro anni dopo attribuendo ancora una volta l'incidente «all'errore umano», a una «concatenazione causale di eventi». Ora ci stanno riprovando, sulla base di un nuovo dossier che contiene anche una perizia tecnica affidata a un team di esperti di ingegneria forense di Milano, coordinati da Gabriele Bardazza. Sono stati loro a revisionare tutti gli elementi processuali, rileggendoli con le attuali tecnologie. Il loro dossier potrebbe riaprire le indagini, grazie a tre elementi: l'assenza di nebbia, la diversa posizione dell'Agip Abruzzo e della Moby Prince e le tracce di esplosivo.

La principale concausa dell'incidente è stata fin dall'inizio, secondo la Capitaneria e la Corte d'Appello di Firenze, la nebbia. A caldeggiare questa ipotesi, la testimonianza dell'unico sopravvissuto sul traghetto, il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand, il quale si salvò rimanendo attaccato al parapetto a poppa della nave che diventava rovente. L'uomo, recuperato un'ora e 25 minuti dopo la collisione senza un'ustione addosso, dichiarò ai soccorritori: "C'era la nebbia e siamo andati contro un'altra nave". Secondo i giudici, però, quella nebbia era "strana" e "inusuale", in quanto "copriva la sola petroliera". Per alcuni testimoni era infatti "simile a vapore". Gli stessi consulenti dei magistrati, due ammiragli di marina, ipotizzeranno potesse derivare da un "banale" incidente, come un tubo vaporizzatore dell'impianto caldaie della petroliera rotto. Un nuovo video amatoriale, realizzato dalla terraferma 5 minuti dopo l'impatto, dimostra inequivocabilmente che quella notte non c'era nebbia. A confermarlo anche una comunicazione radio del comandante di un'altra petroliera, la Agip Napoli, che quella sera era anche lui nella rada del porto di Livorno, il quale grida alla Capitaneria: "Io sono a un miglio e un mezzo e sto vedendo quello che succede là eh". L'uomo riusciva quindi tranquillamente ad avere visibilità a quasi 3 chilometri di distanza.

Altra questione fondamentale, la posizione delle navi. Subito dopo l'incidente il comandante dell'Agip Abruzzo (sulla quale è bene ricordare non si contò alcuna vittima), disse che era rivolto con la prua verso sud, ritrattando in seguito questa affermazione. La cosa certa è che i successivi video la ritrarranno in quella posizione. Nel già citato dossier consegnato dal team di Bardazza alla procura, emerge però un'altra sconcertante rivelazione. Riguardando e filtrando alcuni filmati amatoriali, sono riusciti a dimostrare che il Moby Prince speronò la petroliera non uscendo dal porto in direzione Olbia, ma nel tentativo di rientrare a Livorno. Come mai il capitano Chessa invertì improvvisamente, senza comunicarlo e pochi minuti dopo essere partito, la propria rotta, decidendo di ritornare in porto? E qui arriviamo al più grande mistero di questa storia che accomuna questa vicenda a quella di Ustica (il Dc 9 che il 27 giugno 1980 si squarciò in volo all'improvviso e cadde in mare con tutte e 81 le persone a bordo, in uno scenario di guerra).

Nella rada del porto di Livorno, e in quello specchio di mare, quella notte c'erano diverse navi militari statunitensi, compresi cargo carichi di armi (la Gallant II, la Cape Breton, la Cape Flattery, la Cape Farwell e la Efdin, quelle note). Stavano riportando il loro carico nella vicina base militare di Camp Darby, dove tuttora è custodito il più grande arsenale Usa all'estero. Del resto non dobbiamo dimenticare che siamo nell'aprile del 1991, la prima Guerra del Golfo in Iraq è finita da meno di due mesi e gli Stati Uniti stanno facendo rientrare il materiale bellico adoperato per quell'imponente attacco (già allora i carriarmati americani stavano marciando su Baghdad, ma all'ultimo momento decisero di tornare indietro, senza occupare il Paese e rovesciare Saddam). In quell'area c'era insomma parecchio traffico militare e subito dopo il disastro alcuni testimoni avrebbero riferito persino di un elicottero non civile che avrebbe compiuto una ricognizione sopra la Moby Prince ormai in fiamme. Il tutto molto prima dell'arrivo dei soccorsi.

Quella notte, alle 22:49:30, a 25 minuti dalla collissione, i nastri del canale 16 destinato esclusivamente alle emergenze, registrano un'altra oscura comunicazione: "This is Theresa, this is Theresa for Ship One on Livorno's anchorage... I'm moving out I'm moving out, breaking station" (Qui Theresa, qui Theresa a Nave Uno, in rada a Livorno... Me ne vado, me ne vado... passo e chiudo).

 

La magistratura si è soffermata a lungo sulla comunicazione e su questa nave, senza venirne a capo. Nessuna imbarcazione di nome Theresa si trovava infatti all'ancora in rada o in transito quella notte, ma qualcuno usò questo nominativo in codice per comunicare il proprio spostamento a un'altra imbarcazione, la Nave Uno, senza voler celare le rispettive identità. E subito dopo l'incidente comunica di volersi allontanare in tutta fretta. Sempre quella sera, all'incirca alle 21:20, quindici miglia a sud del porto di Livorno, un cargo aveva inoltre costretto un'altra imbarcazione, la Margaret Lykes, a un'improvvisa accostata per evitare la collisione. Si trattava della stessa imbarcazione? E se sì, dove andava così di fretta e perché invece dopo l'incidente della Moby Prince con altrettanta velocità fugge dalla scena del disastro? Trasportava qualcosa di compromettente?

L'identità della misteriosa Theresa, secondo il nuovo dossier, è svelata sempre dal nastro delle registrazioni di quella notte. Alle ore 23:15:33, sempre sul canale 16 delle emergenze, gli ormeggiatori stanno effettuando delle comunicazioni relative ai soccorsi. A un certo punto si sente di nuovo la conversazione di una nave straniera: "Tank boat, I'am Gallant 2, please keep clear of me, I’m moving out!" (Petroliera, stammi lontana, sono il Gallant 2, mi allontano). E subito dopo: "Stack boat, I'am Gallant 2, please keep clear of me, I’m moving out!” (Nave in collisione, stammi lontana, sono il Gallant 2, mi allontano). Il team di Bardazza ha analizzato graficamente le due voci in questione (quelle della misteriosa Theresa e quest'ultima del Gallant 2, un cargo militarizzato dagli Usa). In tutti e due i casi il segnale vocale è "compreso tra i 300 ed i 1.500 Hertz". Sono così giunti alla conclusione che "la voce che ha comunicato è la stessa". Ritengono così "plausibile che a parlare, in entrambi i passaggi, è il capitano del Gallant 2-Theresa: il comandante greco Theodossiou".

Come abbiamo già visto, nella sua prima comunicazione, la Theresa rende noto alla Nave Uno il suo allontanamento, che sarebbe avvenuto a tutta velocità. Enrico Fedrighini (consigliere dei Verdi al Comune di Milano), nel suo libro "Moby Prince un caso ancora aperto" (Paoline editoriale libri 2005) ha paventato l'ipotesi che il traghetto si sia trovato nel bel mezzo di un traffico illegale di armi che coinvolgeva alcune navi statunitensi, militari e militarizzate. Analizzando i registri marittimi, Fedrighini ha scoperto la presenza di tre navi che si facevano chiamare Theresa (Theresa, Theresa II e Theresa III). Le ultime due, per un breve periodo, erano comandate da un ucraino: Yuriy Vitaliy Senkevych, il quale proprio nel 1991 era a bordo di una motonave in rada a Livorno (la Cape Syros). Fedrighini scrive inoltre che:

"Era una delle numerose navi militarizzate al comando del Leg horn Terminal di Camp Darby che aveva fornito alle autorità portuali livornesi una lista al momento del loro arrivo in rada, nel marzo 1991. Abbiamo scoperto che questo elenco non era completo: mancavano i nomi di due imbarcazioni militarizzate anch'esse presenti, rimaste escluse (per qualche ignota ragione di natura militare, forse a causa del carico trasportato), dall'elenco ufficiale. Una di queste due imbarcazioni militarizzate fantasma presenti con il loro carico di materiale bellico era proprio la Cape Syros».

Gallant II e Cape Syros, potrebbero di conseguenza essere le misteriose Theresa e Nave Uno.

Nella riapertura delle indagini, a firma dell'ex PM antimafia Carlo Palermo, la tesi di Fedrighini viene rilanciata da un'altra strana presenza nell'area in quel periodo. Si tratta del peschereccio d'altura 21 Oktobar II, ormeggiato dal 15 marzo al giugno del 1991 alla Calata Magnale del porto di Livorno, ufficialmente per manutenzione. Quell'imbarcazione verrà in seguito donata dalla cooperazione italiana alla compagnia somala Shifco e venne filmata da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin poche ore prima di essere barbaramente assassinati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. I due giornalisti stavano indagando proprio su un traffico di rifiuti tossici in cambio d'armi. Fatto sta che già nel 2009, l'associazione familiari delle vittime "10 aprile" presieduta da Chessa, scrisse una lettera al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, chiedendogli di intercedere col presidente Usa, Barack Obama, per ottenere tracciati radar, immagini satellitari e qualsiasi altro materiale americano potesse svelare il mistero delle navi presenti in rada nel porto di Livorno la sera del disastro. Inutile aggiungere che questa richiesta non ha finora avuto alcun esito.

Inquietante anche la storia di Fabio Piselli, ex parà della Folgore esperto in spionaggio elettronico, sopravvissuto a un'aggressione per miracolo. Nel novembre 2007 stava conducendo indagini private sulla morte del cugino, Massimo Pagliuca, affogato al largo dell'Isola di Capraia e considerava strana in quanto era un sub molto esperto. Anche lui parà "era membro della Defence intelligence agency presso l'ambasciata americana a Roma e subito dopo la collisione del Moby Prince accompagnò a Camp Darby (la base americana che si trova al confine tra Pisa e Livorno) l'addetto militare dell'ambasciata", ha rivelato Piselli. In merito alla morte del cugino, sempre a suo dire, avrebbe incontrato un uomo (sul quale "non è possibile dare informazioni"), che gli riporta alcuni episodi relativi a movimentazioni di armamenti "non istituzionali dalla base di Camp Darby", durante la notte della collisione. Decide così "d'incontrare l'avvocato Carlo Palermo, parte civile nel processo Moby Prince, per raccontargli tutto e fargli incontrare questa persona". Ma a Tirrenia (Pisa), viene aggredito da "quattro persone, con il mephisto, del tipo di quelli utilizzati dai corpi speciali delle forze armate", e racconta:

"Mi hanno costretto ad aprire la bocca dove mi hanno infilato una sostanza amarognola. Ho perso i sensi e mi sono svegliato in auto a causa del fumo acre che stava riempiendo l'abitacolo. Sono riuscito a uscire dallo sportello posteriore, appena in tempo per vedere avviare l'incendio ed evitare così di rimanerci secco".

Oggi sarebbe ancora più importante far luce su questa vicenda, soprattutto in seguito al ritrovamento sotto la linea di galleggiamento del Moby Prince, nella zona della plancia di comando (la prima ad essere distrutta), di tracce di Semtex H, ribattezzato l'esplosivo delle stragi, visto il suo largo uso in attentati terrortistici. Una presenza che si somma al cattivo funzionamento, o manomissione, di diverse strumentazioni e dotazioni di bordo del traghetto. Andrebbe inoltre chiarito come mai l'unico sopravvissuto del Prince, Bertrand, il cui salvataggio è stato definito "miracoloso", abbia inizialmente detto che sulla nave c'erano ancora molti passeggeri in vita ma nessun soccorritore venne autorizzato a salire. Il traghetto verrà infatti ispezionato dai vigili del fuoco soltanto due giorni dopo, il 12 aprile. Nell'immediato, alla Capitaneria, venne invece comunicato che Bertrand aveva detto: "Sono tutti morti".

Che forse qualche vita si poteva salvare, lo dimostrano anche nuove registrazioni ritrovate dal team di Bardazza. Si tratta di quelle di un'altra frequenza di emergenza, i 2182 kHz delle onde medio-corte, una banda che le navi usano per comunicare con la terraferma quando sono in alto mare, perché in grado di raggiungere distanze notevolmente maggiori rispetto al normale Vhf. Può sembrare impossibile ma finora nessuno era andato a riascoltare quei nastri. Anzi, la versione ufficiale degli inquirenti è stata: "Non vi è stata alcuna comunicazione la notte della tragedia sul canale a onde medio-corte". E invece, all'incirca alle 22:56, quando dal terribile scontro sono ormai passati 31 minuti, quel nastro registra la seguente comunicazione: "Stiamo aspettando qui, stiamo aspettando qui, stiamo aspettando qui ma nessuno viene ad aiutarci…". E ancora, molto disturbato: "C’è nessuno, c’è nessuno c’è nessuno… qui non ci sente nessuno…". Richieste d'aiuto tragiche e disperate. "Riuscite a sentirmi almeno un po'… stiamo aspettando qui!… se qualcuno ci sta a sentire, non lo so io… stiamo aspettando qui ma nessuno viene ad aiutarci!".

Oltre mezz'ora dopo, c'erano ancora membri dell'equipaggio, e probabilmente anche passeggeri, coscienti. Il cameriere Antonio Rodi resterà ad esempio vivo fino al giorno successivo: verso le 7 di mattina dell’11 aprile raggiunge infatti il ponte di poppa della nave, dove poi perde i sensi e muore bruciato dal calore. Si potevano insomma salvare vite umane, anche perché il traghetto non era nel mezzo del Mediterraneo ma all'uscita di un porto. Il perché di tutto questo se lo chiedono ancora oggi i familiari delle vittime, che hanno ora deciso di mettere online tutto il materiale raccolto finora (dai cui è in larga parte tratto anche questo articolo) ma anche i deputati di Sel o i senatori 5 Stelle che 23 anni dopo vogliono provare di nuovo a far istituire una commissione parlamentare d'inchiesta su questo disastro.

 

 

 

Foto: CosaAccadde

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