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Dibattito internazionale. Due proposte per porre fine alla guerra, a tutte le guerre

Boicottaggio di Stati e aziende che alimentano interessi economico-finanziario-politici legati alla guerra. Chiusura e riconversione delle basi militari e delle fabbriche di armi.
di Collettivo autoconvocato Le Maleteste

Il movimento internazionale per la Pace nel mondo ha elaborato nel tempo molti strumenti per chiedere la cessazione dei conflitti, laddove siano interessati singoli Paesi o grandi coalizioni mondiali, a seconda dei casi di ampiezza e responsabilità.

Sit-in, cortei, marce, incontri, conferenze, congressi, comunicati-stampa, blocchi di traffico e condanne, con relativi appelli al cessate-il-fuoco e alla fine dei conflitti, direttamente alle parti in causa o, al più, alle istituzioni sovranazionali, in primis l'ONU.

Queste forme di lotta e rivendicazioni sì e no giungono fino all'attenzione dell'opinione pubblica e forse, talvolta, anche oltre; più facilmente arrivano a chi di dovere, le richieste per la fine di una singola guerra, ma ben più difficilmente queste rivendicazioni riescono a rappresentare la soluzione ultima, almeno rispetto al problema della messa al bando delle guerre ovunque nel mondo.

Allora, cosa fare per dire NO ALLA GUERRA in modo che il Movimento internazionale per la Pace arrivi davvero a rappresentare una minaccia per chi le guerre le scatena o le subisce?

Noi proponiamo, insieme ad altri, naturalmente, due strumenti che ogni movimento nazionale, o sovranazionale, dovrebbe, secondo noi, fare propri, per chiudere una volta per tutte, attraverso una forte azione individuale e collettiva, con il senso di impotenza, inefficacia e sfiducia nella capacità di incidere seriamente all'interno delle guerre che spesso ci pervade, come attivisti.

  • farsi portavoci del boicottaggio internazionalmente diffuso, individuale e collettivo, rivolto contro i Paesi in guerra. Mettere cioè in campo, a livello internazionale, tutta una serie di azioni contro il commercio relativo a prodotti, servizi civili e militari, e altro, di ambedue gli attori in conflitto.

    Di certo non pensateci così ingenui dal non sapere che sulla testa degli aggrediti, solitamente la parte più debole, si andrebbero ad addensare nuvole ancor più nere -anche a causa, naturalmente, di questo boicottaggio bilaterale- rispetto a quelle che solitamente si presenterebbero sulla testa degli invasori e occupanti; ma, e qui sta la nuova grande scommessa, questa concorde azione mondiale dovrebbe soprattutto rappresentare il punto di partenza per elaborare strategie condivise di uscita dalla guerra e dalle guerre, sapendo creare occasioni per l'espletarsi di nuove realtà di resistenza nonviolenta, dal basso, di ambedue i popoli (non più agenti di antitesi e conflitti per ragioni di Stato; mai un popolo sceglie di muovere guerra ad un altro popolo), attraverso risposte con-partecipate, con-decise e con-solidali, mettendo finalmente al bando reazioni di forza, istillate dall'alto, che hanno, come risultato, quello di provocare solo altre morti e altre distruzioni.

    Solo favorendo la realizzazione di operazioni davvero dal basso e di pace si può sperare di isolare mentalità aggressive, dall’una e dall’altra parte -promuovendo magari la possibilità di poter scegliere un'opzione del tipo 'diserzione di massa' o, tutt'al più, facendo propria una scelta individuale del tipo "io non imbraccio armi"- e sconfiggere così, in ambedue le parti, la maledizione della propaganda di guerra che vive e sempre più si alimenta, drogando sia l’informazione che la libertà di scelta e di pensiero, in un campo e nell’altro.

    Oltremodo rimarrebbe auspicabile la formazione di eventuali "forze nonviolente d'interposizione". Si tratta di una alternativa concreta, che funziona almeno dal 1992 per quanto riguarda l'Italia -Operazione Colomba- ed è una modalità di intervento decisamente meno dispendiosa di quella militare. Soprattutto l’intervento di civili non armati e nonviolenti in zone di guerra costituisce una storia diversa che apre prospettive nuove, che non crea più “assenza di guerra” ma “pace“, non più “rapporti di forza“, ma “forza dei rapporti”».

    Ma, per poter riuscire, questa pratica del boicottaggio bilaterale con, annesse forze d'interposizione nonviolente e forme di rifiuto personale e collettivo delle armi, deve necessariamente avvalersi di TUTTE le forze internazionali autenticamente pacifiste e nonviolente, altrimenti il risultato sarà l’ennesima manifestazione inconcludente di “belle anime” che nessun peso avrebbe di fatto sulle scelte all’interno dello scenario mondiale.

    Come semplice esempio, di campagne di boicottaggi internazionali, avanzate e che hanno sortito effetti positivi, ce ne sono state, grazie a mobilitazioni condotte negli anni contro multinazionali e Stati accusati di mancato rispetto delle condizioni di vita dei lavoratori e dell'ambiente, di spacciare cibi transgenici o diffondere inquinanti e addizionanti alimentari dannosi per le persone e l'ecosistema (Norvegia, Monsanto, Shell, Unilever, Nike, giusto per fare qualche nome).

  • Chiedere la chiusura e riconversione "in produzioni civili" di tutte le basi militari e di tutte le aziende che producono e favoriscono la movimentazione delle armi sui territori, armi destinate sia all'interno che all'estero.

    Mentre sembrerebbe, ma non lo è affatto, così scontata la richiesta della chiusura delle basi militari nazionali e straniere sui vari territori del mondo, il discorso tende a complicarsi maggiormente in presenza delle richieste di chiusura delle aziende che fabbricano e commerciano in armi e, logica conseguenza, di riconversione a "banca disarmata" di tante banche che, sui suoli nazionali, facilitano le transazioni economiche-finanziarie tra agenti sulla piazza degli armamenti civili e militari

    Ma, anche qui, per facilitare questa riconversione, la risposta, a questo punto, potrebbe essere anche solo individuale, potendo/volendo chiudere ognuno il proprio conto corrente aperto presso istituti di credito che lavorano nel/per il mercato delle armi, le cosiddette "banche armate".

    "La dittatura delle armi" riesce a proteggere gli affari militari sotto qualsiasi governo, di qualunque colore politico.

    Per questo, è necessario far fronte comune per pretendere anche l'uscita da qualsiasi coalizione internazionale, quando queste diventano, persino malcelatamente, organizzazioni nate per "riportare la pace" nelle zone di conflitto (Nato, ecc...), mentre diventano esse stesse istigatrici di discordie tra Paesi, favorendo nei fatti il grande mercato della vendita di armi e sistemi cosiddetti di difesa/offesa, in un ginepraio inestricabile di interessi geopolitici e macrofinanziari.

    Da ricerche ampiamente diffuse, per quanto riguarda il mercato delle armi in Italia, molti sono gli istituti di credito che finanziano o si fanno interlocutori per transazioni economiche-finanziarie: ai primi due posti della classifica delle "banche armate" si confermano Unicredit con «importi segnalati» dal ministero dell’Economia e delle Finanze pari a un miliardo e 751 milioni di euro, e Deutsche Bank, con 793 milioni. Al terzo posto c’è Barclays Bank (244 milioni). Al quarto e quinto altri due istituti italiani: Popolare di Sondrio (189 milioni) e Intesa San Paolo, con 143 milioni.

    A seguire, per completare la top ten delle «banche armate», Commerzbank (121 milioni), Credit Agricole (111 milioni), Banca nazionale del lavoro (98 milioni), Bnp Paribas Italia (76 milioni) e Banco Bpm (59 milioni). (fonte: Nigrizia.it)

    Poco più del 75% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive ha interessato in particolare 3 aziende: Leonardo (62,36%), Fincantieri (8,43%) e Iveco defence vehicles spa (4,75%).

    Con riferimento alle esportazioni 2022 per area geografica, al primo posto i paesi Ue e membri europei della Nato (46,13%) seguiti dall’Africa settentrionale, Vicino e Medioriente (18,17%) ; poi America settentrionale (16,07 %); Asia (13,89%); America Centromeridionale (2,69%); Oceania (2,09%) per cento; Africa centromeridionale ( 0,61%). (Ancora fonte: Nigrizia.it).

     

    Le prime 15 società esportatrici nel 2022 hanno un peso finanziario del 92,59% sul totale del valore esportato con licenze individuali da 138 operatori complessivi. I primi quattro operatori del settore sono Leonardo (47,05%), Iveco Defence Vehicles (14,08%), MBDA Italia (7,96 %) e Elettronica S.p.A. (4,36 %). Da sole rappresentano circa il 73% del valore monetario degli scambi. 

    Leonardo, in particolare, è destinataria di circa il 23% del totale delle autorizzazioni. (fonte: http://nigrizia.it/).

     

    Naturalmente, queste sono solo due idee che vanno ancora elaborate e definite, perché si possa davvero giungere ad un programma d'uscita nonviolenta da tutti i conflitti, ma ci sentiamo sufficientemente supportati da esperienze similari che hanno avuto anche un qualche successo, anche se all'interno di singoli Paesi.

    Ma la nostra grande scommessa è che, di due pratiche così importanti e decisive, che metterebbero seriamente in crisi gli interessi economico-finanziario degli Stati, almeno per quanto riguarda la fabbricazione e il commercio delle armi, e che potrebbero, in prospettiva, rappresentare un'effettiva coazione per l'uscita da tutte le guerre, dovrebbe farsi carico una Conferenza Internazionale, in rappresentanza di tutti i popoli del mondo, per la Pace, da costituirsi su base paritaria e dal basso, promossa da associazioni e organizzazioni autenticamente popolari che si siano, negli anni, prodigate sui terreni della nonviolenza e del disarmo.

    Per altro, rinviamo ad un nostro precedente articolo apparso nell'edizione de "LE MALETESTE" pre-2023.

 

Collettivo Autoconvocato LE MALETESTE

18 dicembre 2023

Questo articolo è stato pubblicato qui

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