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Diaz - Non pulire questo sangue

Domenica 15 aprile 2012. E’ stato interessante vedere il film dopo una presentazione in sala fatta dal regista Daniele Vicari e dal produttore Domenico Procacci.

 Vicari ha raccontato che dopo una proiezione a Palermo una giornalista locale gli ha scritto in privato ringraziandolo e raccontandogli che suo marito, poliziotto, quel 21-7-2001 non si trovò nella Scuola Diaz per puro caso, ma che se avesse dovuto partecipare a quella “mattanza” o “macelleria messicana”, era convinto che il loro matrimonio sarebbe terminato da un pezzo.

Procacci ha detto che sentirono entrambi l’esigenza, regista e produttore, di realizzare quel film, non farlo sarebbe stato come dimenticare tutto ed invece, come il sottotitolo del film, “Don’t clean up this blood”. Il regista non pretende che si vada a casa dopo il film con una nuova verità, con la coscienza tranquilla per il semplice fatto di averlo visto, ma con maggiori dubbi e perplessità. Tutto è tratto dagli atti processuali, durante i quali le vittime di quel pestaggio hanno dovuto subire una seconda tortura raccontando in dettaglio quanto vissuto.

Quell’azione fu una “grande cazzata” come dice a un poliziotto il personaggio di Renato Scarpa, l’anziano che nella Diaz cercava solo un dormitorio così come giornalisti (uno è Elio Germano) e volontari del Social Forum. Erano stanchi i poliziotti del “superlavoro” di quei giorni e caricati a molla dalle provocazioni e dalle violenze dei black-blocs, andavano cercando uno sfogo: l’occasione venne loro data da chi decise l’irruzione nella scuola, arrivato a Genova poco prima. Impressionante la scena dell’arrivo all’aeroporto con le immagini dell’aereo che plana, la scala che si apre come “il braccio” di un volatile e l’accoglienza deferente riservata a questa autorità che scende sulla pista. Erano esausti ormai pure tanti dimostranti e soprattutto qualche black-bloc cominciava ad andarsene, convinto di momenti pessimi in arrivo.
 
Patetica fu poi la ricerca di “corpi di reato” nella palestra dove dormivano persone incolpevoli, e i pretesti addotti prima e dopo l’attacco, penosa la conferenza stampa mentre i feriti venivano portati via in ambulanze, con la portavoce della polizia che indossa una maglietta Dolce & Gabbana e spiega l’inverosimile, che quelle ferite costoro se le erano procurate prima. L’invasione della Diaz sembra proprio un assalto di bufali dalla vista annebbiata di sangue, il rumore prodotto dagli scarponi è simile a quello della corsa di una mandria di bisonti pieni di livore, che “sembrano” non avvedersi, una volta dentro, di trovarsi di fronte a persone inermi e non a black-blocs, come pure penosamente e colpevolmente giustifica in televisione l’allora presidente del consiglio Berlusconi, l’uomo della realtà virtuale; altri campioni del momento furono Castelli, ministro della Giustizia, Fini, vice-presidente del consiglio presente nella Questura di Genova e Scajola, ministro dell’Interno, persona sempre sbagliata nel posto sbagliato. Tutti a coprire quella nefandezza e a raccontare delle “tremende” provocazioni subite dalla polizia; al processo furono pure svelate le violenze nella caserma di Bolzaneto contro gli arrestati o “zecche comuniste”. Certamente a quel G8 - inutile come tanti altri con le varie delegazioni a prevedere riprese economiche che ancora aspettiamo esasperati - un ruolo perverso fu giocato da infiltrati violenti che non vennero isolati.
 
Il film è ricco di originali flash-back e flash-forward, inquadra le stesse situazioni da punti di vista e persone diversi, vi sono molte riprese d’archivio, tutto questo lo rende più facilmente leggibile; la crudezza delle immagini e le riprese fanno sentire lo spettatore presente a quegli atti terribili. Il proposito “Don’t clean up this blood” è per ora raggiunto; gli autori auspicano che qualche autorità d’allora chieda scusa ai cittadini, sarà difficile vista la recente sentenza sulla strage di Brescia e a 43 anni da Piazza Fontana.

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