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Crescita, decrescita, non crescita

C’è un banale problema di fondo, nella dimensione economica che conosciamo come “economia di mercato” che un totale inesperto (come chi scrive ad esempio) non riesce proprio a capire e che provoca questioni che frullano da tempo nella testa di molte persone.

Perciò, in occasione della presentazione di un interessante e fruibilissimo libro di economia titolato “Crisi: (come) ne usciamo?” (notare la parentesi inquietante) di Carlo d’Ippoliti per L’Asino d’oro Editore, mi è sembrata appropriata una domanda che ho cercato di esprimere in modo sintetico ai presenti, chiedendo come è possibile ipotizzare una ‘crescita infinita’ parlando di produzione di oggetti materiali che - in quanto “materia” - sono “finiti” per definizione.

Mi spiego meglio. Se oggi mangio un etto di spaghetti posso facilmente supporre che un’azienda alimentare domani debba produrre quell’etto che io stesso ho consumato. In questo caso si tratterebbe, mi pare, di un’economia di sostituzione del consumato. Si può facilmente immaginare che ciò avvenga anche per sostituire i prodotti deteriorati, quelli che si rompono, quelli ormai esauriti. Posso anche capire che si possano cambiare, in quest'ottica, i vestiti fuori moda. Sostituzioni insomma.

Ma tutto ciò continua a farmi pensare ad una “produzione” infinita, non ad una “crescita” infinita.

Il concetto di crescita infinita significa che se oggi l’azienda alimentare di cui sopra dovrà produrre l’etto di spaghetti che mi sono mangiato, domani dovrà - per crescere - produrre un etto e mezzo, e dopodomani due etti e poi tre e quattro e così via all’infinito appunto.  Perché se non cresce, collassa. Tutta l’economia se non cresce collassa, lo sentiamo dire ogni giorno. Siamo tutti, più o meno consciamente, sotto l'influenza dell'andamento del PIL: va bene se cresce, va male se cala.

Ma quanti spaghetti può consumare un essere umano ad ogni pasto? E quanti bisogni, di cui finora non si è sentito il bisogno, possono stimolare in una persona gli esperti di marketing ed i pubblicitari? O gli stilisti ed i designer?

Quanti telefonini e quanti computer o tablet o altro posso continuare a comprare perché l’economia abbia la sua chance di continuare a crescere? Non ho niente contro le innovazioni tecnologiche e nemmeno contro i consumi in sé. Spesso li apprezzo. Alcuni mi possono sembrare demenziali, altri interessanti o utili o anche piacevoli. Di sicuro non ho mai sprecato la vita per fare soldi da buttare poi in acquisti idioti, ma non ne faccio una questione di etica o di “intelligenza”. Non ne faccio nemmeno una questione ideologica. Mi chiedo solo se davvero questo sistema ha una possibilità di crescere all’infinito oppure se si profila all’orizzonte quel crash finale da brividi.

Mi pare semplicemente che i due termini, “infinito” e “finito”, riferiti rispettivamente alla crescita economica ed alla materialità degli oggetti prodotti, non stiano insieme. L’uno non ci azzecchi con l’altro; il rapporto fra i due sembra essere un rapporto impossibile.

Prima o poi - dopodomani o fra duemila anni - la crescita finirà, perché la materia non è, di per sé, infinita. E non lo sono nemmeno le risorse né la capacità della terra di reggere uno sviluppo che appare sempre più insostenibile.

Il sistema che si fonda sulla “crescita infinita” per non collassare, sembrerebbe avere in sé (e se per caso Marx l’aveva già detto allora aveva ragione) il gene dell’autodistruzione (ma forse Marx ne indicava un altro di motivi). Almeno così appare ad una mente sempliciotta ed inesperta come la mia.

Ma mi sembra di aver capito che anche la teoria della “decrescita” abbia preso spunto iniziale dalla considerazione di un impossibile infinito nella crescita economica. In questa teoria però, preso atto che “crescita infinita” e “prodotti finiti” non stanno insieme, si è scelto di modificare il primo termine proponendo di gestire una non-crescita.

Il rapporto fra i due termini diventa così: “crescita finita” di “prodotti finiti”.

Trasformando il primo termine - da infinito a finito - si suppone di aver risolto l’incongruenza genetica del sistema. Ma ai miei occhi (di inesperto) questa sembra essere una soluzione di equilibrio pericolosamente instabile che per funzionare dovrebbe aver bisogno di una forte gestione economica centralizzata. A parte il suono un po’ lugubre da Piano Quinquennale, a voi pare che la politica sia davvero in grado di gestire un’economia mantenendola in equilibrio su un tasso zero ? O non ci vorrebbe costantemente un governo ‘tecnico’ per farlo ? E la democrazia che fine farebbe ?

Ma, a parte queste considerazioni pessimistiche sulla possibilità di gestione, mi sembra che sia un’ipotesi che si propone di azzerare la crescita o per aver maturato la convinzione che sia la sola strada percorribile oppure per motivi ideologici da buon vecchio anticapitalismo che ogni tanto riemerge. In entrambi i casi non ho alcuna riserva né critica da fare.

Mi piacerebbe invece ipotizzare di poter trasformare la crescita, non di bloccarla. Cioè cambiarne i connotati.

Perché allora non proporci di modificare il secondo termine (“prodotti finiti”) anziché il primo (“crescita infinita”)? Avremmo di nuovo un sistema fondato sulla “crescita infinita”, ma questa volta di “prodotti” (qui ci vogliono le virgolette) che avremmo trasformato anch’essi in “infiniti”. L’incongruenza sistemica potrebbe essere risolta anche in questo modo.

I prodotti infiniti non possono essere altro che tutto ciò che appartiene all’immateriale, ovviamente. Un’economia fondata sulle caratteristiche non materiali dell’essere umano. Cultura, scienza, ricerca, arte; che altro? Lasciando alla materialità delle cose la pura economia di sostituzione o poco più (ad esempio nuove scoperte o invenzioni).

Utopia? A pensarci bene mi pare che in qualche misura il "primo mondo" sia andato già in questa direzione; quanto valgono ai fini della crescita economica i grandi avvenimenti culturali, i grandi concerti, le mostre, le manifestazioni sportive di portata globale come le olimpiadi o i campionati di calcio? Quanto il cinema? O il campo vastissimo dell'informazione?

E non vi pare che la speculazione finanziaria funzioni così anche lei ? Comprare e vendere “cose” materiali sarebbe attività industriale e commerciale, ma in finanza si comprano e si vendono ipotesi, prospettive, interpretazioni, valutazioni: non-materia, insomma. E speculandoci sopra, a partire dalla famosa “bolla dei tulipani” nell’Olanda del Seicento, quando al commercio di bulbi (cose materiali) si sostituì velocemente il commercio dell’ipotesi (immateriale) che la proprietà di un bulbo avrebbe avuto un valore molto più alto qualche tempo dopo. Oggi mi pare che si chiamino futures.

La gente si giocò la casa per acquistare un titolo che gli dava la proprietà di qualcosa che non si sapeva se fosse esistito di lì a due mesi o se nel frattempo fosse marcito, se avesse o non avesse prodotto un fiore, né infine che valore avrebbe avuto. Quando le autorità preoccupate dell’andazzo completamente fuori controllo imposero un improvviso stop al commercio dei futures dei tulipani, un sacco di gente rimase con un pugno di mosche in mano; non come gli speculatori della finanza attuale.

Alla fine: se vogliamo ipotizzare un futuro per la nostra società ed evitare capitomboli drammatici come quello che viviamo, dovremmo per forza farci delle domande sulla realtà di questa nostra economia ed imparare dagli speculatori che si occupano davvero di “crescita infinita”. Per togliergli lo strumento ed usarlo per aumentare il benessere (fisico e psichico) degli esseri umani, non il loro personale conto in banca. In mano loro è un giocattolo un po’ troppo pericoloso.

Continuare così, continuare a pensare di dover produrre sempre più macchine e lavatrici e telefonini, sperando di poterlo fare per non rischiare di perdere tutto all'improvviso, sembra un po' demenziale.

Fermo restando, sia chiaro, che nell'immediato avremmo proprio bisogno di rilanciarla questa benedetta crescita, perché senza lavoro la gente si ammala, puramente e semplicemente, di disperazione e non ha né tempo né voglia di occuparsi di progettare nuovi panorami per l'umanità del futuro.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.109) 27 settembre 2012 19:58

    Bellissimo articolo molto circonstanziato ... io dopo aver studiato il problema sono per la decrescita o se vogliamo citare Lombardi "diventare diversamente ricchi" quindi un elogio alla lentezza perché la corsa alla crescita ci porterà in brervissimi tempo alla fine delle risorse del pianeta. Da non tracurare il problema demografico. Non possiamo crescere anche lì perché il tempo di sopravvivenza si dimezzerebbe ogni dieci anni.

    Grazie GCZ

  • Di (---.---.---.63) 27 settembre 2012 23:56

    Grazie GCZ; avevo risposto ma il mio commento non è passato, chissà perché.
    Ne riscrivo la sostanza, ripetendo comunque che sono veramente poco pratico di economia e quindi... con tutta la modestia possibile.

    Ovviamente il "diversamente ricchi" propone logiche molto diverse da quelle attuali e trovo che quella di Lombardi - ricordiamo il libro di Carlo Patrignani "Lombardi e il fenicottero" - non sia affatto inconciliabile con l’ipotesi di una crescita infinita, nel senso che uso nell’articolo. Mi lascia perplesso invece la teoria della decrescita: il concetto di "diversamente" implica un’idea di "trasformazione" che non mi sembra di trovare nel concetto di decrescita; ma forse sono io che non la capisco.

    Prendo spunto invece da quello che dici per ricordare che, in fondo, la tassativa opposizione della Chiesa cattolica ad ogni pratica anticoncezionale (ed all’idea balzana che ad ogni rapporto debba seguire una gravidanza che forse solo dopo il vaticano II hanno un po’ modificato) si fonda sul concetto che anche l’umanità debba essere soggetta ad una "crescita infinita". Ovviamente improponibile. Di nuovo "crescita infinita" di "materia (vivente in questo caso) finita". Che sia un’altra forma della sostanziale alleanza tra etica religiosa ed ideologia capitalistica ?

    FDP

  • Di (---.---.---.190) 28 settembre 2012 09:23

    "senza lavoro la gente si ammala" No, non mi sembra vero, direi invece che "senza un minimo di risorse (soldi) per vivere dignitosamente la gente si ammala.
    Durante la crisi del 29 qualcuno proponeva di dare lavoro facendo scavare buche ad uno e facendole riempire ad un altro, in sostanza proponendo un reddito di sussistenza anche a chi non ha lavoro.
    Oggi il lavoro esiste solo come strumento per generare profitto economico e non come strumento per distribuire beni e servizi utili alla comunità. Infatti la droga e le armi e la politica e le truffe finanziarie danno tantissimo lavoro e profitto e soldi.
    Il reddito di cittadinanza in diverse forme esiste in molti paesi europeii: Belgio, Lussemburgo, Scnadinavia, Olanda, Grmania Gran Bretagana. Non esiste in Grecia e Italia. (WIKIPEDIA)
    L’ idea che i soldi si facciano col lavoro e che il lavoro dia dignità sono sostanzialmente luoghi comuni sbagliati. Sempre di più i soldi si fanno con la speculazione finanziaria e la maggiornanza delle persone fa un lavoro solo per lo stipendio mica perchè lo ama.
    La maggior parte dei lavori sono inutili alla collettività, e in una visione di decrescita e di eliminazione degli inutili orpelli che dovrebbero migliorarci la vita potrebbero essere eliminati del tutto e non sarebbe affatto un ritorno al medioevo: inutili burocrazie, strade, autostrade, aeroporti, auto che fanno i 200Km/h ecc. Meno strutture pesanti per il territorio e banda larga per la comunicazione in qualsiasi luogo. L’ unica grande opera che ci serve è la banda larga.
    Io credo che solo pochi che ne hanno la passione dovrebbero lavorare. Assurdo? E allora come mai il SW open come LINUX è gratis?
    Si alla decresita
    Si al reddito di cittadinanza
    No al lavoro di tutti perchè il pianeta non lo sopporterebbe
    No alle grosse diseguaglianze sociali, quindi no ai ricchi e no ai poveri.
    Saltando un pò di passaggi, dico che dobbiamo cambiare mentalità e dobbiamo considerare la ambizione personale, il desiderio di competere e di emergere, la vittoria, dei mali, meglio, la radice dei nostri mali. Lo so che è così da migliaia di anni, ma o cambiamo o il pianeta ce la farà pagare cara.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.63) 28 settembre 2012 11:12
    Fabio Della Pergola

    il reddito di cittadinanza non esiste in quei paesi in cui la strategia perseguita è stata diversa. Attraverso vari strumenti, assunzioni in massa nel pubblico impiego (sanità, scuola, poste, ferrovie etc.) si forniva il lavoro - quindi una paga - a chi non aveva altre possibilità che emigrare. E mi sembra (non vorrei sbagliare) che l’emigrazione in Italia sia andata esaurendosi parallelamente alla crescita del debito pubblico. Solo un caso ? (e probabilmente ora si avvierà un processo inverso: riduzione del debito e crescita dell’emigrazione).

    Una cosa è interessante nell’ultimo commento: ridurre auto, autostrade, ferrovie, aerei per fare spazio alla banda larga mette in evidenza la differenza fra il secolo scorso e quello attuale. Quello era il secolo dello spostamento fisico degli esseri umani per cui si è inventato e prodotto ogni tipo di mezzo di trasporto. Questo sembra essere il secolo dello spostamento dei dati e delle informazioni mentre gli uomini potranno stare più fermi. Tendenzialmente ognuno potrebbe starsene a casa a lavorare, per certi ambiti di lavoro. Il che non mi pare affatto male, anche se molti potrebbero perdere momenti importanti di socializzazione.

    Certo che finire invocando un cambio di mentalità è sacrosanto, ma "no ai ricchi e no ai poveri" ce la potevi risparmiare.

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