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Concorsi territoriali: non risolveranno i problemi della PA

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

negli ultimi 20 anni praticamente ogni Ministro della Funzione Pubblica si è sentito nella necessità di “segnare il territorio”, intestandosi riforme sempre “epocali”, ma fin qui almeno non troppo efficaci, visto che ad una riforma ne sussegue un’altra per correggere e rendere più efficace la prima. Per altro, i problemi operativi della Pubblica Amministrazione non appaiono del tutto risolti, nonostante il diluvio di riforme.

Anche il Ministro Giulia Bongiorno non si sottrae alla tendenza. In effetti, è riuscita a identificarsi con l’iniziativa, da alcuni contestata ma a ben vedere opportuna, del controllo biometrico delle presenze dei dipendenti pubblici, come disincentivo ai truffatori che “timbrano” il cartellino attestando falsamente la presenza in ufficio propria o dei colleghi.

Ma non basta. Sebbene l’inquilina di Palazzo Vidoni abbia manifestato l’intenzione di intervenire sulla PA ispirandosi alla “concretezza”, non si astiene certo dal riformare ulteriormente le norme, in modo ampio e diffuso. Tra i bisogni ai quali rispondere con “concretezza” emerge quello di ringiovanire ed irrobustire le fila di un apparato pubblico che negli ultimi 10 anni è stato soggetto ad una cura dimagrante di circa 300.000 unità, mentre col 2019 – anche grazie a quota 100 – è partito quel processo che porterà al pensionamento di circa altre 400.000-500.000 dipendenti.

Per questo, Palazzo Vidoni vuole accelerare con i concorsi, rendendoli più snelli e veloci. A questo scopo, l’idea manifestata nel disegno di legge delega di riforma della PA, si punta molto ai concorsi centralizzati, del resto già previsti dalla legge di bilancio 2019, che su questo punto attende ancora, però, decreti attuativi.

L’ultima idea, enunciata nei giorni scorsi nel corso del Forum PA a Roma, è, però, non portare i concorsi tutti a Roma, bensì sulla scorta di una sperimentazione avviata con la Regione Campania, rendere obbligatori concorsi “territoriali” su base regionale. Fino ad oggi, ciascuna amministrazione espleta da sé i concorsi: ogni comune, ogni usl, ogni regione. L’idea del concorso territoriale su base regionale è di affidare ad un unico soggetto (la Funzione Pubblica, tramite il Formez) il compito di reclutare figure comuni, per conto dei vari enti che hanno uffici in un’unica regione.

E fin qui, caro Titolare, tutto bene: l’idea di accorpare le procedure non è mai da scartare a priori, anche se l’esperienza degli appalti centralizzati in Consip non si può dire del tutto esente da problemi, come insegnano l’appalto del facility management o quello dei buoni pasto.

Tuttavia, un punto relativamente all’idea dei concorsi su base regionale non convince: il Ministro ha affermato che essi sono necessari per evitare il “fenomeno della migrazione” dei dipendenti pubblici da un territorio all’altro. È, in effetti, vero che le assunzioni presso una pubblica amministrazione possono portare i dipendenti piuttosto lontano dalla propria residenza (il che nell’ambito delle amministrazioni statali accade spesso).

Tuttavia, il concorso su base regionale non è il rimedio. Può essere uno strumento di razionalizzazione delle procedure, ma per contrastare la “migrazione” dei dipendenti da una regione all’altra non è col sistema di reclutamento che occorre intervenire, bensì mediante regole riguardanti la gestione del rapporto di lavoro.

Ora, Titolare, anche se l’attenzione mediatica è stata concentrata sapientemente sui concorsi territoriali, in effetti esiste già una norma che da sempre presidia dal rischio della “migrazione”: è il testo unico del pubblico impiego (d.lgs 165/2001), che all’articolo 35, comma 5-bis, dispone con molta chiarezza:

I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi.

Come si dimostra, allora, non è il concorso svolto in Lombardia che garantisce la permanenza in Lombardia del vincitore, ma una regola di disciplina del rapporto di lavoro finalizzata ad impedire la “migrazione”. Per evitare la quale appare più utile, dunque, intervenire sulla norma già esistente, magari specificandola o rendendola anche più restrittiva. D’altra parte, le deroghe al divieto sono piuttosto diffuse; inoltre, comuni, province, regioni, usl non sono ritenuti obbligati ad applicare quel divieto, sicché potenzialmente la “volatilità” dei dipendenti pubblici è piuttosto ampia. Un tempo il legislatore era molto rigoroso: l’ormai quasi del tutto disapplicato regolamento di disciplina del pubblico impiego, il d.P.R. 3/1957 all’articolo 12 imponeva ai dipendenti pubblici di prendere la residenza nel comune sede dell’ufficio presso il quale erano impiegati.

Comunque, Titolare, se l’intento enunciato è quello di mantenere il più possibile stabile l’allocazione dei dipendenti, occorrerebbe allora capire per quale ragione, mentre Palazzo Vidoni studia i concorsi territoriali indicandoli come strumento per prevenire la migrazione, contestualmente abbia proposto nel disegno di legge delega per la riforma della PA di abolire il nulla osta alle domande di mobilità.

Per chiarire meglio: nel lavoro pubblico la “mobilità” non ha nulla a che vedere con la mobilità del sistema privato, connessa ai licenziamenti collettivi; si tratta semplicemente del trasferimento, su richiesta del dipendente, da un ente ad un altro. Il “nulla osta” è l’autorizzazione data dall’ente dal quale il dipendente intenda andar via a trasferirsi per mobilità nel nuovo ente.

Ora, se per un verso si denuncia l’eccessiva tendenza alla “migrazione” dei dipendenti pubblici, non appare molto coerente, per altro verso, abolire il “nulla osta”, cioè lo strumento che consente alle pubbliche amministrazioni proprio di evitare che ciò accada. A meno che non si blindi e rafforzi il divieto di trasferimento già previsto dalla normativa.

Né pare minimamente pensabile che si intendano i concorsi su base territoriale regionale come uno strumento per imporre che a parteciparvi siano i residenti presso quei territori regionali. Diremmo, in questo caso, caro Titolare, che osterebbero norme non proprio del tutto trascurabili, come il Trattato Ue che fonda il principio della libera circolazione dei lavoratori nel territorio della Ue, o gli articoli 3 e 97 della Costituzione, la cui applicazione impone la più totale libertà di ogni cittadino di partecipare ai concorsi pubblici.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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